Al cuore di tutto: il peccato

Di Peter Amsterdam

Ottobre 8, 2012

Che cos’è il peccato?

Questa serie di articoli prenderà in esame l’argomento del peccato. Studierà le definizioni di peccato, le origini del peccato e i suoi effetti sull’umanità e sul mondo; accennerà al piano divino per la redenzione dal peccato. (La redenzione sarà esaminata più completamente in articoli successivi.)

Quello del peccato è un argomento importante da studiare, visto che influenza la vita di ogni essere umano ed è ciò che ha causato la separazione  tra gli esseri umani e Dio. Per nostra fortuna Egli, nel suo amore e nella sua misericordia, ha reso disponibile all’umanità la salvezza dal peccato, mediante la sofferenza e la morte di Gesù. Come cristiani abbiamo l’incredibile benedizione di essere stati perdonati e redenti dai nostri peccati. Siamo stati salvati dalla punizione del peccato nella vita dell’aldilà — un dono di valore inestimabile, perché vivremo in eterno con Dio. Purtroppo viviamo in un mondo pieno di persone che non sanno di avere a disposizione la salvezza. La nostra missione di cristiani è di metterle a conoscenza delle buone notizie del Vangelo.

Come cristiani, è importante capire i vari aspetti ed effetti del peccato sulla nostra vita personale e su quella delle persone che cerchiamo di raggiungere e aiutare; questo poi ci offre la motivazione di portare la buona notizia della salvezza dal peccato a chi non l’ha ancora ricevuta. Ci aiuta anche a capire e a spiegare meglio agli altri il motivo del male che avviene oggi nel mondo e l’origine di molti dei problemi e delle sofferenze che l’umanità si trova ad affrontare. Avere una chiara immagine del peccato ci fa capire e comunicare meglio agli altri la necessità e l’importanza della salvezza, aiutandoci allo stesso tempo ad apprezzare maggiormente il fatto di averla ricevuta e di aver evitato la punizione. Mentre noi abbiamo la benedizione di essere salvati, gli effetti del peccato su chi rifiuta la salvezza avranno serie conseguenze a lungo termine, non solo in questa vita ma in quella futura.

Il filosofo cristiano Rufus M. Jones offre la seguente spiegazione sul peccato:

Il peccato non è un dogma astratto. Non è un debito che si possa pagare e cancellare. Il peccato è un fatto della nostra vita. È una condizione del cuore e della volontà. Non esiste peccato senza peccatore. Dovunque esista il peccato c’è una deviazione consapevole da uno standard morale, un cedimento della natura, che produce un effetto su tutta la personalità umana. Chi pecca disubbidisce al senso del giusto. Perde la visione del bene. Vede un sentiero, ma non lo segue. Ode una voce, ma dice “no” invece di “sì”. È consapevole di un io più nobile che gli rivolge un appello, ma permette all’io più ignobile di avere libertà d’azione. Non troviamo in alcun luogo una descrizione del peccato comparabile a quella dataci dall’apostolo Paolo nella sua vita vissuta, in Romani 7,9-25. Quello che ci colpisce quando la leggiamo è l’immagine che dà del nostro stato. Una natura più bassa ci domina e rovina la nostra vita: “Il bene che io voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio”.[1]

L’argomento principale di questi articoli è il peccato nell’umanità in generale, insieme agli effetti e alle conseguenze che ha sugli esseri umani globalmente. Accennerò anche ai peccati o alle debolezze dei cristiani, ma questo non è il punto principale.

Che cos’è il peccato

La parola ebraica usata più comunemente per “peccato” nel Vecchio Testamento è chata, la cui definizione è “perdere l’obiettivo o la via del giusto e del dovuto, mancare il bersaglio, allontanarsi dal cammino”. Il Vecchio Testamento usa anche parole tradotte con rompere (come rompere il patto con Dio), trasgressione della volontà divina, ribellione, errore.

Il Nuovo Testamento usa varie parole quando si riferisce al peccato. Sono tradotte con violare, trasgredire, oltrepassare, cadere, errare; sviarsi, uscire dalla retta via, deviare dalla verità e dalla giustizia, cadere; iniquità del cuore e della vita, sregolatezza, empietà, incredulità, ribellione, disubbidienza e apostasia.

Ecco alcune definizioni che i teologi danno del peccato:

Il peccato può essere definito come l’atto personale di ribellarsi a Dio e alla sua volontà. È la trasgressione delle leggi divine […] la violazione delle istruzioni date da Dio. È l’allontanamento dalla volontà divina da Lui espressa.[2]

Definiamo il peccato in generale come una deviazione dalla legge morale divina, indipendentemente dal fatto che sia stata scritta nel cuore umano, o comunicata all’uomo mediante un precetto positivo indicato dalle Scritture.[3]

Il peccato è la mancanza di adeguamento alla legge morale di Dio in azioni, atteggiamenti, o natura.[4]

Sebbene Dio abbia espresso la sua volontà e la sua legge morale nella Bibbia, ci fu un tempo in cui la Bibbia non esisteva. Ci sono anche molti che non l’hanno mai letta né ascoltata, o non sanno che contiene la verità riguardante Dio e la sua volontà. Comunque, nel corso della storia gli esseri umani hanno in qualche modo conosciuto intrinsecamente la legge morale di Dio, perché Dio l’aveva integrata nel cuore di ogni persona.

Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano, ora li difendono.[5]

Anche se molte persone non sanno specificamente come le leggi morali divine siano espresse nelle Scritture, tutti hanno una comprensione fondamentale che l’omicidio, il furto, la menzogna e così via sono cose errate, e questa è una prova della consapevolezza morale complessiva che tutti gli esseri umani hanno. Spesso ci si riferisce a questa consapevolezza come alla legge naturale, o morale. Essa è contenuta nei Dieci Comandamenti, alcuni dei quali affermano:

Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non farai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.[6]

Poiché gli esseri umani hanno una conoscenza intuitiva della legge morale dentro di loro, hanno il senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di una loro responsabilità morale. “Risulta dalla testimonianza della loro coscienza”.

J. I. Packer ne dà la seguente spiegazione:

La coscienza ha due elementi: (a) una consapevolezza che alcune cose sono giuste e altre sbagliate; (b) una capacità di applicare le leggi e le regole a situazioni specifiche. La coscienza, distinta dalle altre capacità della nostra mente, è unica; sembra quasi una persona diversa da noi, che spesso parla quando vorremmo che tacesse e dice cose che preferiremmo non ascoltare. Possiamo decidere se darle ascolto, ma non possiamo decidere se parlerà o no; dalla nostra esperienza, decide da sola. A causa della sua insistenza nel giudicarci secondo i principi più elevati di cui abbiamo conoscenza, la chiamiamo la voce di Dio nella nostra anima, e in quel senso lo è.[7]

Wayne Grude, lo spiega in questo modo:

La coscienza dei non credenti rende testimonianza ai principi morali di Dio, ma a volte nei loro cuori questa prova della legge divina è distorta o soppressa. A volte i loro pensieri li “accusano” e altre volte li “scusano”, come dice Paolo. La conoscenza della legge divina che proviene da simili fonti non è mai perfetta, ma basta a dare a tutta l’umanità la consapevolezza di ciò che Dio esige da lei. (Ed è in base a questo che Paolo afferma che l’umanità intera è considerata colpevole del peccato davanti a Dio, anche chi non è a conoscenza delle leggi divine esposte nelle Scritture.)[8]

La legge morale e la volontà divina espresse nelle Scritture, insieme al fatto che ogni persona ha una conoscenza istintiva della legge morale e una coscienza che rende testimonianza quando essa viene infranta, significano che tutti gli esseri umani — che conoscano le Scritture o no — sono consapevoli di non riuscire a conformarsi ad essa, di deviare da essa e di fare il male.

Or noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio.[9]

Sebbene i peccati commessi dagli esseri umani siano spesso peccati contro il prossimo, come il rubare o il mentire su qualcuno, e sebbene possano danneggiare anche la persona che li commette, sono innanzitutto peccati contro Dio. Fare cose simili vuol dire infrangere le leggi morali di Dio; cosa più importante, comunque, è che sono peccati contro lo stesso Legislatore. Costituiscono un affronto alla sua santità e alla sua giustizia e causano la separazione tra gli esseri umani e Lui.

Il peccato è universale

La Bibbia insegna che il peccato è universale; che ogni essere umano, a eccezione di Gesù, è stato ed è un peccatore. Sia il Vecchio sia il Nuovo Testamento affermano che tutti sono peccatori e che nessuno è del tutto giusto.

Noi tutti come pecore eravamo smarriti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l’Eterno ha fatto ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti.[10]

E non entrare in giudizio col tuo servo, perché nessun vivente sarà trovato giusto davanti a te.[11]

Chi può dire: “Ho purificato il mio cuore, sono puro dal mio peccato”?[12]

Non c’è infatti alcun uomo giusto sulla terra, che faccia il bene e non pecchi.[13]

Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.[14]

Poiché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.[15]

L’universalità del peccato è un concetto presente anche in molte religioni pagane, a conferma del fatto che l’umanità ha una conoscenza intuitiva della legge morale divina e della condizione corrotta dell’uomo. Nel corso dei secoli nelle varie religioni facevano sacrifici ai loro dei perché pensavano di averli contrariati.

Rufus M. Jones scrive:

Quella è la natura umana. Quella sensazione è profondamente radicata nell’uomo, dovunque egli viva. Egli è consapevole che il peccato produce una separazione e sente che è necessario qualcosa di prezioso e costoso per chiudere quel baratro. Il sacrificio è uno dei fattori più radicati e permanenti di una vita spirituale in corso di sviluppo. Ha un’origine lontana nella storia. I brandelli di papiro, i frammenti di argilla cotta, le iscrizioni pittoriche di tipo più primitivo: tutto rende testimonianza a quest’usanza immemorabile. È antica come il sorriso o il pianto; è difficile tracciarne l’origine come per l’amore e l’odio. È strettamente legata al senso di colpa dell’uomo ed è nata quando è nata la coscienza.[16]

Louis Berkhof scrisse:

Le religioni pagane testimoniano la consapevolezza universale del peccato e l’esigenza di una riconciliazione con un Essere Supremo. Esiste una sensazione generale che gli dei siano offesi e richiedano qualche tipo di propiziazione. Esiste una voce universale della coscienza, a testimonianza del fatto che l’uomo non raggiunge l’ideale ed è sotto condanna davanti a una Potenza superiore. Gli altari maleodoranti del sangue dei sacrifici, spesso di bambini innocenti, le ripetute confessioni delle proprie colpe e le preghiere per essere liberati dal male: tutto punta alla consapevolezza del peccato.[17]

Da che cosa ha avuto origine il peccato?

Prima che Dio creasse l’universo, non esisteva il peccato, perché esisteva solo Dio — Padre, Figlio e Spirito Santo. Dalle Scritture è chiaro che Dio è santo, che non tollera il male e non pecca. Il peccato, quindi non sarebbe stato presente prima che Dio creasse gli angeli.

Quando Dio creò gli esseri morali — angeli ed esseri umani — diede loro il libero arbitrio. Li creò con la capacità di fare scelte morali e così facendo permise loro di scegliere di fare ciò che è bene e ciò che è giusto. Dare loro la libertà di scelta, però, lasciava anche spazio alla possibilità che scegliessero di fare il male. Da questa scelta libera di disubbidire a Dio ebbe origine il peccato. Dio non indusse al peccato gli esseri morali che aveva creato. Furono loro a scegliere liberamente di disubbidire ai suoi comandamenti e alla sua manifesta volontà, e di conseguenza peccare. (Ne parleremo ancora più sotto.)

Dio non è l’autore del peccato. È santo; si separa dal peccato. Non commette peccati, non compie azioni cattive o sbagliate e non tenta le persone a fare il male. Il male è assenza di bene. Non è una creazione fisica. Il male, in un certo senso, è assenza di Dio, proprio come il buio è assenza di luce. Dio non poteva creare il male, perché, se l’avesse fatto, avrebbe agito contro la propria natura e il proprio carattere, cosa che non fa e che in effetti non può fare. Diamo un breve sguardo a ciò che dice la Bibbia sulla santità e la giustizia di Dio e sul modo in cui vede il peccato:

Egli è la Roccia, l’opera sua è perfetta, poiché tutte le sue vie sono giustizia. È un Dio di fedeltà e senza ingiustizia; Egli è giusto e retto.[18]

L’Eterno è giusto; Egli è la mia Rocca e non vi è alcuna ingiustizia in Lui.[19]

Lungi da Dio l’iniquità e dall’Onnipotente la malvagità![20]

Nessuno, quando è tentato dica: “Io sono tentato da Dio”, perché Dio non può essere tentato dal male, ed Egli stesso non tenta nessuno.[21]

Anche se in alcune versioni della Bibbia più antiche, come la Diodati, c’è un versetto che dice: “Io formo la luce, e creo le tenebre; fo la pace, e creo il male. Io sono il Signore, che fo tutte queste cose”[22] e può dare l’impressione che Dio abbia creato il male, la parola ebraica ra può significare male morale, ma ha anche altri significati, come sciagura, calamità o avversità, che non sono mali morali. Queste sono le parole usate nella maggior parte delle traduzioni moderne, come le seguenti:

Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il benessere e creo la calamità. Io, l’Eterno, faccio tutte queste cose. — LND

[…] do il benessere, creo l’avversità […] — NR

[…] faccio il bene e provoco la sciagura […] ­— CEI

Dio odia il peccato, che è un’abominazione per Lui.

Queste sono le cose che dovete fare: parlate in verità ciascuno al suo prossimo. Alle vostre porte date giudizi secondo verità, giustizia e pace. Nessuno macchini alcun male in cuor suo contro il suo prossimo e non amate il giuramento falso, perché tutte queste cose io le odio, dice l’Eterno.[23]

L’Eterno odia queste sei cose, anzi sette sono per lui un abominio: gli occhi alteri, la lingua bugiarda, le mani che versano sangue innocente, il cuore che escogita progetti malvagi, i piedi che sono veloci nel correre al male, il falso testimone che proferisce menzogne e chi semina discordie tra fratelli.[24]

Poiché tutti quelli che fanno tali cose, tutti quelli che si comportano ingiustamente, sono in abominio all’Eterno, il tuo Dio.[25]

L’Eterno prova il giusto; ma l’anima sua odia l’empio e colui che ama la violenza.[26]

Sebbene Dio non avesse creato o causato il peccato, creò un universo con creature dotate di libero arbitrio, il che significava che esse potevano scegliere di fare il male. Nella sua onniscienza e preveggenza, sapeva che sarebbe successo; nel suo amore e nella sua misericordia diede modo all’umanità di riconciliarsi con Lui.

Il teologo Jack Cottrell afferma:

Se ci fossero solo rocce, alberi e animali, “giusto e sbagliato” non avrebbero un’applicazione; ma con la creazione degli angeli e degli uomini, che hanno la capacità unica di scegliere consapevolmente di agire secondo o contrariamente alla volontà divina, il giusto e lo sbagliato diventano improvvisamente dei concetti significativi, dato che ora esiste l’eventualità che il male morale, o peccato, possa esistere.[27]

Prima che gli esseri umani peccassero, il peccato era presente nel mondo spirituale o angelico. Gli angeli furono creati come esseri immateriali privi di un corpo fisico. Sono esseri morali dotati di libero arbitrio e della capacità di scegliere il bene o il male, com’è evidente dal fatto che a un certo punto si trovarono di fronte a una scelta morale, nella quale alcuni angeli presero la decisione sbagliata e caddero dalla presenza di Dio, mentre altri scelsero di rimanergli fedeli. Nelle Scritture non si parla molto della caduta degli angeli, di quando avvenne o di quale fosse il loro peccato, anche se comunemente si pensa che fosse dovuta all’orgoglio. In ogni caso, alcuni angeli peccarono e di conseguenza sono separati da Dio. Ora si fa riferimento a loro come ad angeli caduti e al loro capo come al diavolo, o Satana.

Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li cacciò nel tartaro tenendoli in catene di tenebre infernali, per esservi custoditi per il giudizio.[28]

Egli ha pure rinchiuso nelle tenebre dell’inferno con catene eterne, per il giudizio del gran giorno, gli angeli che non conservarono il loro primiero stato ma che lasciarono la loro propria dimora.[29]

Allora Egli dirà ancora a coloro che saranno a sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.[30]

Nel prossimo articolo discuteremo di come il peccato entrò nel mondo degli esseri umani.


[1] Rufus M. Jones, The Double Search—Studies in Atonement and Prayer (Philadelphia, PA: John C. Winston Co., 1906), 60–61.

[2] J. Rodman Williams, Renewal Theology, Systematic Theology from a Charismatic Perspective, Vol. 1 (Grand Rapids, MI: Zondervan, 1996), 222.

[3] John Theodore Mueller, Christian Dogmatics, A Handbook of Doctrinal Theology for Pastors, Teachers, and Laymen (St. Louis, MO: Concordia Publishing House, 1934), 212.

[4] Wayne Grudem, Systematic Theology, An Introduction to Biblical Doctrine (Grand Rapids, MI: InterVarsity Press, 2000), 490.

[5] Romani 2,14–15 CEI.

[6] Esodo 20,13–17.

[7] J. I. Packer, Concise Theology, chapter Conscience (Carol Stream, Illinois: Tyndale House Publishers, 1993), 96.

[8] Wayne Grudem, Systematic Theology, An Introduction to Biblical Doctrine (Grand Rapids, MI: InterVarsity Press, 2000), 122.

[9] Romani 3,19.

[10] Isaia 53,6.

[11] Salmi 143,2.

[12] Proverbi 20,9.

[13] Ecclesiaste 7,20.

[14] 1 Giovanni 1,8.

[15] Romani 3,23.

[16] Rufus M. Jones, The Double Search—Studies in Atonement and Prayer (Philadelphia, PA: John C. Winston Co., 1906), 66–67.

[17] Louis Berkhof, Systematic Theology (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Company, 1996), 239.

[18] Deuteronomio 32,4.

[19] Salmi 92,15.

[20] Giobbe 34,10.

[21] Giacomo 1,13.

[22] Isaia 45,7.

[23] Zaccaria 8,16–17.

[24] Proverbi 6,16–19.

[25] Deuteronomio 25,16.

[26] Salmi 11,5.

[27] Jack Cottrell, What the Bible Says About God the Redeemer (Eugene, Oregon: Wipf and Stock Publishers, 2000), 249.

[28] 2 Pietro 2,4.

[29] Giuda 6.

[30] Matteo 25,41.


Titolo originale: The Heart of It All: Sin – What Is Sin?
Pubblicato originariamente in Inglese il 18 Settembre 2012

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