Di Peter Amsterdam
Febbraio 24, 2013
Nel precedente articolo abbiamo visto che il piano divino per la redenzione dell’umanità fu implementato prima della creazione dell’umanità stessa e che ebbe origine dall’amore, dalla misericordia e dalla grazia di Dio, che fanno parte della sua natura.
Ora esamineremo alcuni punti riguardanti il modo in cui la morte di Gesù sulla croce porta il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio: come la sua morte è l’espiazione che porta alla nostra redenzione.
Nella Bibbia, la parola espiazione è la traduzione del termine ebraico kippur, che deriva dalla parola kaphar, che significa “coprire”, “ricoprire”, o “essere coperto”.
J. I. Packer la definisce così:
Espiazione significa riparare una colpa, scontarla, facendone ammenda o accettando la relativa punizione; riconciliandosi con la parte offesa e riparando il rapporto spezzato.[1]
Il concetto biblico dell’espiazione si riferisce al modo rivelato della riconciliazione a Dio attraverso la mediazione di suo Figlio.[2]
Nel Nuovo Testamento s’indica molto chiaramente che la morte di Gesù sulla croce e la sua risurrezione sono una parte essenziale della sua missione sulla terra. Matteo dedica circa un terzo del suo Vangelo all’ultima settimana della vita di Gesù, Marco oltre un terzo, Luca un quarto e Giovanni poco meno di metà.[3]
La morte di Gesù sulla croce e lo spargimento del suo sangue per noi come Agnello di Dio hanno portato qualcosa di unico nel mondo dell’umanità: l’eterna riconciliazione con Dio. Da quel momento, gli esseri umani si poterono riconciliare permanentemente con il loro Creatore.
Una domanda che ci si pone spesso è questa: perché Gesù dovette morire sulla croce? In che modo la sua morte ci portò il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio? La combinazione di quattro concetti scritturali ci offre una comprensione completa di come la morte di Gesù ci salvò dalla punizione dei nostri peccati e ci riconciliò con Dio. Questi quattro concetti vedono la stessa immagine da angoli diversi.
Il primo concetto è la propiziazione. Il significato fondamentale di propiziazione è un’offerta che allontana l’ira. Questo concetto ha a che fare con l’ira di Dio, perché a causa della sua santità e giustizia Dio deve giudicare e punire il peccato. Tuttavia l’offerta sacrificale della morte di Gesù, come i sacrifici del Vecchio Testamento, propizia Dio, cioè ne soddisfa l’ira. Grazie al suo amore per noi, Dio ha creato un modo per perdonare il nostro peccato, pur rimanendo fedele alla sua natura.
Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.[4]
Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue.[5]
In che modo la morte di Gesù distolse da noi l’ira di Dio? Lui la distolse prendendola su di Sé. Noi meritiamo giustamente l’ira di Dio, ma Gesù si addossò la colpa dei nostri peccati e ne soffrì la punizione. Subì al nostro posto l’ira di Dio per i nostri peccati.
Gli autori Lewis e Demarest lo spiegano in questo modo:
Il Giudice del mondo, la cui legge morale è costantemente violata, ci ha trovato colpevoli e ha pronunciato la giusta sentenza di morte. Poi, lasciando il cielo, il Figlio divenne uomo, visse senza peccato e pagò fino in fondo il prezzo incalcolabile dei nostri peccati. Per dimostrare come rimanga giusto pur giustificando gli empi che credono, il Padre mandò il Figlio come sacrificio di espiazione. Il Giudice che ci trovò colpevoli venne a espiare i nostri peccati nella persona di suo Figlio.[6]
Alcuni obiettano al concetto di un innocente che si addossa la punizione di un colpevole, dicendo che è immorale. In questo caso, comunque, è un membro della Trinità — Dio Figlio — che riceve la punizione. Così Dio, contro il quale si è peccato, è sia il Giudice che esprime il giudizio sia la persona che subisce la pena del peccato. Il sacrificio del Figlio di Dio è la propiziazione che soddisfa Dio. L’ira di Dio, il suo giusto giudizio, si riversa sul peccato, ma Dio stesso, avendo preso la forma di un uomo, subisce quell’ira al nostro posto. È una cosa che va oltre la giustizia: è il piano compassionevole e amorevole del nostro Dio d’amore.
Un altro concetto biblico che contribuisce a spiegare come la morte di Gesù ci abbia donato la salvezza, è la redenzione. La parole tradotte con redimere e redenzione provengono dalle parole greche lutron, per il sostantivo, e lutroo, per il verbo, che hanno il significato di sciogliere, rendere libero mediante il pagamento di un riscatto, riscattare. Ecco alcuni dei versetti in cui sono state usate queste parole:
Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti.[7]
Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo, il quale ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti, secondo la testimonianza resa nei tempi stabiliti.[8]
Aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro, Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere.[9]
Sapendo che non con cose corruttibili, come argento od oro, siete stati riscattati dal vostro vano modo di vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come di Agnello senza difetto e senza macchia.[10]
L’uso in questi versetti di termini come riscatto o riscattare esprime il concetto di pagare un prezzo, un riscatto, per liberare qualcuno, per toglierlo alla schiavitù o all’oppressione.
Il teologo Jack Cottrell dà chiarezza al concetto spiegando la redenzione dei primogeniti maschi nel Vecchio Testamento. Ecco cosa scrisse:
La pratica del Vecchio Testamento che fornisce la spiegazione più chiara per capire l’opera salvifica di Cristo è la redenzione dei primogeniti maschi dal loro stato di consacrazione speciale a Dio. Dio aveva decretato che ogni primogenito maschio, di uomo o di animale, appartenesse a Lui. Il primogenito degli animali considerati puri doveva essergli offerto in sacrificio. Per un animale impuro, come l’asino, c’era una scelta. Gli si poteva rompere il collo, eliminandolo; oppure si poteva riscattarlo — ricomprarlo — pagando il prezzo di un agnello da sacrificare al suo posto (Esodo 13,13). Ci si aspettava che tutti scegliessero la seconda opzione (Numeri 18,15). Per quanto riguardava gli esseri umani, non c’era scelta. Ogni primogenito maschio doveva essere redento — riscattato, o ricomprato, da Dio — pagando il “prezzo del riscatto”, cinque sicli d’argento (circa 76 grammi). Questa pratica indica il significato fondamentale della redenzione, ovvero il pagamento di un prezzo per la liberazione di qualcuno o qualcosa.[11]
Nei versetti citati sopra Gesù disse di essere venuto a offrire la sua vita per il riscatto di molti. Grazie alla sua morte sacrificale, il suo sangue sparso per noi, siamo redenti, o riscattati. Pagò per liberarci dalla punizione dei nostri peccati, addossandosela al nostro posto.
Il riscatto viene pagato a Dio Padre, dato che è Lui che stabilì la pena. Gesù, Figlio di Dio, paga il prezzo del riscatto mediante la propria morte. È come se il giudice giudicasse colpevole un criminale, poi scendesse dalla sua sedia e andasse a pagare la multa al suo posto. Il criminale è giudicato colpevole e per legge deve pagare la pena, ma il prezzo è pagato dal giudice. Giustizia è fatta, la pena per il reato è pagata e il colpevole ora è libero. Non solo il colpevole è dichiarato innocente, ma è anche trasformato in una nuova creatura e idealmente inizia una vita di amore per Dio e per il prossimo, in segno di gratitudine per aver ricevuto il grande dono di Dio.
Nelle analogie qui sopra vediamo che grazie al suo amore Dio ci giudica e ci redime allo stesso tempo. Il suo piano soddisfa l’esigenza di un giudizio giusto, ma il Giudice Divino ha anche pagato il prezzo della nostra redenzione versando il sangue del suo Figlio unigenito.
Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di Lui.[12]
[1] J. I. Packer, Concise Theology: A Guide to Historic Christian Beliefs (Chicago, Illinois: Tyndale House Publishers, Inc., 1993), 134.
[2] W. H. Griffith Thomas, The Principles of Theology (Eugene, Oregon: Wipf & Stock, 2005), 51.
[3] W. H. Griffith Thomas, The Principles of Theology (Eugene, Oregon: Wipf & Stock, 2005), 52.
[4] 1 Giovanni 2,2 NR.
[5] Romani 3,23–25 NR.
[6] Gordon R. Lewis and Bruce A. Demarest, Integrative Theology, Volume 2 (Grand Rapids, Michigan: Zondervan, 1996), 399.
[7] Matteo 20,28.
[8] 1 Timoteo 2,5–6.
[9] Tito 2,13–14.
[10] 1 Pietro 1,18–19.
[11] Jack Cottrell, What the Bible Says About God the Redeemer (Eugene, Oregon: Wipf and Stock Publishers, 1983), 438–439.
[12] Giovanni 3,16–17.
Titolo originale: The Heart of It All: Salvation – Propitiation and Redemption
Pubblicato originariamente in Inglese il 23 Ottobre 2012
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