Le storie raccontate da Gesù - Il Buon Samaritano, Luca 10,25–37

Di Peter Amsterdam

Maggio 27, 2013

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Molti di noi conoscono bene la parabola del Buon Samaritano. Comunque, poiché viviamo in culture molto diverse da quella della Palestina del primo secolo, ci sono aspetti della storia che potremmo non capire. Quando la ascoltiamo o la leggiamo, non sembra che questa parabola possa impressionarci o sfidare lo status quo del mondo moderno. Tuttavia, il pubblico del primo secolo che avesse udito Gesù raccontare questa parabola ne sarebbe rimasto sbalordito. Il messaggio sarebbe stato contrario alle sue attese e avrebbe sfidato i limiti della cultura di quei tempi.

La parabola introduce diversi personaggi e avere qualche informazione in più sui sacerdoti, i leviti e i samaritani può aiutarci a cogliere meglio il significato del ruolo giocato da ognuno all’interno della storia.

Vediamo i personaggi in ordine di apparizione.

L’uomo ferito

La parabola ci racconta pochissimo del primo personaggio, l’uomo derubato e picchiato, ma ci fornisce un fattore cruciale per la storia. Fu spogliato e abbandonato mezzo morto. Fu lasciato a terra, gravemente ferito e privo di sensi.[1]

Questo è significativo, perché nel primo secolo le persone erano facilmente identificabili dal tipo di vestiti che indossavano e dalla loro lingua o il loro accento. Ai tempi di Gesù, il Medio Oriente era governato dai romani, che parlavano latino. La regione era ellenizzata, cioè ampiamente influenzata da tutto ciò che era greco. C’erano molte città greche e la lingua greca era molto diffusa. Gli studiosi ebrei parlavano ebraico e i contadini ebrei, come la gente comune di tutta la zona, parlavano aramaico. Così, sentir parlare qualcuno permetteva di identificare la sua origine.

Poiché l’uomo ferito non aveva abiti, era impossibile capire la sua nazionalità. Il fatto che fosse privo di sensi e non potesse parlare rendeva impossibile capire chi fosse o da dove venisse. Come vedremo, tutto ciò rappresenta un fattore chiave nella parabola.

Il sacerdote

Il secondo personaggio della storia è il sacerdote. I sacerdoti ebrei in Israele erano il clero che prestava servizio all’interno del tempio a Gerusalemme. C’era una certa gerarchia nel sacerdozio, con in cima il sommo sacerdote, seguito dai capi sacerdoti. Il capitano del tempio era il capo sacerdote principale, cui erano sottoposti altri sacerdoti che fungevano da tesorieri e supervisori del tempio e altri che erano incaricati dei sacerdoti ordinari.

I sacerdoti ordinari erano quelli che prestavano servizio nel tempio con turni di una settimana in un periodo di ventiquattro settimane, per cui ogni sacerdote serviva nel tempio due volte l’anno, ogni volta per una settimana. Molti di loro prestavano servizio anche durante le tre feste principali dell’anno; per questo alcuni sacerdoti lavoravano nel tempio cinque settimane l’anno.

Si stima che a quell’epoca ci fossero circa settemiladuecento sacerdoti in tutta Israele, tutti quanti facenti parte del ramo della tribù di Levi che poteva tracciare i propri antenati fino ad Aronne, fratello di Mosè.

Non tutti i sacerdoti vivevano a Gerusalemme; molti vivevano nella vicina città di Gerico o in altre città sparse per Israele. Così i sacerdoti che non vivevano a Gerusalemme dovevano andarci da due a cinque volte l’anno.

In genere i sacerdoti facevano parte della media borghesia, anche se molti appartenevano a una classe più elevata. Alcuni erano molto ricchi ed erano considerati l’aristocrazia del paese. D’altra parte, altri sacerdoti erano poveri. Molti avevano un mestiere, o lavoravano come scribi, per la maggior parte dell’anno quando non prestavano servizio nel tempio.

Non ci sono particolari riguardo al sacerdote in questa storia, ma chi ascoltò la parabola di Gesù molto probabilmente immaginò che stesse tornando a casa sua a Gerico dopo aver fatto la sua settimana nel tempio.[2]

Il levita

Il terzo personaggio della parabola è il levita. Anche se tutti i sacerdoti erano leviti, non tutti i leviti erano sacerdoti. Quelli che non lo erano avevano comunque un ruolo nel tempio. Erano considerati un clero minore, con una posizione minore rispetto ai sacerdoti. Come questi ultimi, prestavano anch’essi servizio nel tempio per due settimane due volte l’anno. Si stima ci fossero novemilaseicento leviti che servivano nel tempio nel corso dell’anno.

C’erano quattro funzionari leviti che avevano una posizione permanente nel tempio: il direttore della musica, il direttore dei cantanti, il capo portinaio e un funzionario incaricato della supervisione di tutti i leviti che servivano nel tempio.

Alcuni di loro erano cantanti e musicisti. Altri erano i servitori del tempio, responsabili della sua pulizia e della sua manutenzione, e aiutavano i sacerdoti a indossare e levarsi le vesti. Anche le forze di polizia del tempio erano costituite da leviti. Facevano la guardia alle porte e nel cortile dei gentili, oltre che all’esterno dei luoghi in cui solo i sacerdoti potevano entrare. Potevano arrestare le persone e somministrare punizioni su indicazione del Sinedrio, che era il tribunale ebraico dell’epoca.

Si poteva pensare che anche il levita sulla via di Gerico stesse tornando dopo una delle sue settimane di servizio nel tempio a Gerusalemme.[3]

Il samaritano

I samaritani erano un popolo che viveva sulle colline della Samaria, tra la Galilea, al nord, e la Giudea, al sud. Credevano nei primi cinque libri di Mosè, ma credevano anche che Dio avesse designato come luogo di culto il Monte Gerizim, invece di Gerusalemme.

Nel 128 a.C., il tempio samaritano sul Monte Gerizim fu distrutto dall’esercito ebraico. Tra il 6 e il 7 d.C. alcuni samaritani sparsero ossa umane nel tempio ebraico, contaminandolo. Questi due avvenimenti ebbero un ruolo nella profonda inimicizia esistente tra ebrei e samaritani.

Questa inimicizia è chiara nel Nuovo Testamento. Quando gli ebrei della Galilea viaggiavano a sud per andare a Gerusalemme, spesso facevano la strada più lunga, girando attorno alla Samaria. Ciò aggiungeva altri quaranta chilometri, due o tre giorni di viaggio. La strada era molto più calda e comprendeva una lunga salita da Gerico a Gerusalemme, ma molti pensavano che ne valesse la pena pur di evitare il contatto con i samaritani.

Una volta che Gesù stava andando dalla Galilea a Gerusalemme passando per la Samaria, i samaritani, sapendo che era diretto al tempio di Gerusalemme, non gli diedero alloggio. Questo è un esempio del loro risentimento e della loro ostilità nei confronti degli ebrei e del loro tempio. Nella stessa occasione il risentimento degli ebrei nei confronti dei samaritani si fece notare quando i discepoli di Gesù, offesi che quelli non gli dessero alloggio, chiesero al Signore se dovessero far scendere del fuoco dal cielo per consumarli.[4]

Gli ebrei usavano il nome “samaritano” come insulto tra di loro, come fecero una volta con Gesù, quando gli dissero: “Non diciamo con ragione che sei un samaritano e che hai un demonio?”[5]

È in questo contesto di animosità culturale, razziale e religiosa, che Gesù raccontò la parabola del Buon Samaritano.[6]

Il dottore della legge

Il nostro ultimo personaggio è il dottore della legge. Anche se non fa parte della parabola, è proprio a causa delle sue domande a Gesù che essa viene raccontata. Senza il dialogo tra Gesù e il dottore della legge, la parabola sarebbe priva del suo contesto originale e alcuni suoi aspetti significativi andrebbero persi.

Ai tempi del Nuovo Testamento, un dottore della legge equivaleva a uno scriba. Erano specialisti della legge religiosa, interpreti e insegnanti delle leggi mosaiche. Esaminavano le questioni più difficili e sottili della legge e offrivano la loro opinione. A causa della loro conoscenza erano molto stimati. In segno di rispetto, la gente si alzava quando faceva loro una domanda.

Questi insegnanti spesso impegnavano altri insegnanti e rabbini in discussioni e dispute sull’interpretazione e la comprensione delle Scritture. Il motivo per cui questo dottore fece delle domande a Gesù potrebbe essere stato per iniziare un simile dibattito, ma potrebbe anche essere stato perché era alla ricerca spiritualmente.

La parabola

Ora che conosciamo meglio i vari personaggi, vediamo cosa successe quando il dottore della legge fece le sue domande a Gesù nel capitolo 10, versetto 25, di Luca.

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: «Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?»

Il dottore si alzò per parlare a Gesù e lo chiamò “maestro”. In altri punti dei Vangeli Gesù è chiamato “rabbi”, che è il titolo usato per un insegnante di religione. Il dottore riconosce che Gesù è un insegnante e lo dimostra non solo dandogli quel titolo, ma levandosi in piedi per fare la sua domanda.

Il problema di come si ottenesse la vita eterna era dibattuto dagli studiosi ebraici del primo secolo, sottolineando l’ubbidienza alla legge come mezzo per ottenerla. È possibile che il dottore stesse cercando una prova che Gesù negasse l’importanza delle leggi mosaiche.[7]

Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso».[8]

Come si nota in tutti i Vangeli, questo era esattamente ciò che Gesù stava insegnando e forse il dottore della legge glielo aveva già sentito dire. È preso da due versetti: Levitico 19,18 e Deuteronomio 6,5.

Non farai vendetta e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono l’Eterno.[9]

Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza.[10]

Gesù disse al dottore della legge che aveva ragione e che avrebbe dovuto mettere in pratica queste cose. Avrebbe dovuto rispettare la norma di amare Dio con tutto ciò che aveva dentro e di amare il suo prossimo.

Nella sua frase successiva, il dottore cerca un modo per giustificarsi davanti a Dio. Essere giustificato vuol dire essere considerato meritevole agli occhi di Dio, avere la salvezza. Lui vuole sapere che cosa deve fare, quali opere, quali azioni sono necessarie per giustificarsi; in altre parole, per guadagnarsi la salvezza.

Ma egli [il dottore della legge], volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?»[11]

Il dottore sa che può amare Dio osservando la legge, ma questo “ama il tuo prossimo” è un punto un po’ vago. Così vuole sapere chi è il suo prossimo, chi esattamente deve amare. Sa che il suo prossimo include “i figli del tuo popolo”, come afferma il versetto in Levitico, quindi include gli altri ebrei. Ma c’è qualcun altro? I gentili non erano considerati “prossimo”, anche se in Levitico 19,34 dice:

Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso...[12]

Quindi è stabilito che se uno straniero vive nello stesso paese del dottore della legge, anche lui dovrebbe far parte del prossimo. Così il prossimo del dottore sarebbero probabilmente stati i suoi conterranei ebrei e qualsiasi straniero vivesse nella sua città. Chiunque altro certamente non sarebbe stato il suo prossimo, specialmente non gli odiati samaritani.

È in risposta a questa domanda, “chi è il mio prossimo” — in altre parole, “chi devo amare” — che Gesù racconta la parabola.

Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto».[13]

Il viaggio fino a Gerico era in discesa, circa 27 chilometri, dai circa 800 metri di altitudine di Gerusalemme ai 240 metri sotto il livello del mare di Gerico, su una strada che era notoriamente pericolosa a causa dei rapinatori. In Medio Oriente, i ladroni picchiavano le loro vittime soltanto se facevano resistenza. Probabilmente è quello che aveva fatto l’uomo in questione, perché era stato spogliato, picchiato e lasciato sulla strada privo di sensi e mezzo morto. “Mezzo morto” è l’equivalente di una categoria che i rabbini definivano “prossimo alla morte”, cioè in punto di morte. Anche se era impossibile stabilire la nazionalità dell’uomo, basandosi sul contesto della storia, gli ascoltatori originali molto probabilmente avrebbero supposto che l’uomo in punto di morte fosse un ebreo.[14]

Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre, dall’altra parte.[15]

È probabile che il sacerdote tornasse da una delle sue settimane di servizio nel tempio. Per via della sua condizione sociale, è facile che cavalcasse un asino e quindi avrebbe potuto trasportare il ferito fino a Gerico. Il problema era che non poteva stabilire chi fosse, o di quale nazionalità, dato che era svenuto e nudo. A causa della legge mosaica, il sacerdote aveva il dovere di aiutare un concittadino ebreo, ma non uno straniero, e in quelle circostanze non poteva stabilire chi fosse il ferito.

Per giunta, il sacerdote non sapeva se l’uomo era morto e, secondo la legge, avvicinarsi a un cadavere, o toccarlo, lo avrebbe reso cerimonialmente impuro. Se si fosse avvicinato a meno di due metri e si fosse trattato di un morto, il Sacerdote si sarebbe reso impuro e per purificarsi gli ci sarebbe voluta una settimana di riti religiosi, compreso l’acquisto di un animale da sacrificare. In tutto quel tempo non avrebbe potuto raccogliere le decime né utilizzarle per mangiare, e nemmeno la sua famiglia e i suoi servitori.[16]

Se l’uomo privo di sensi fosse stato vivo e lui l’avesse toccato, ma dopo poco tempo quello fosse morto, il sacerdote si sarebbe dovuto strappare gli abiti, quindi avrebbe dovuto comprarne di nuovi. Così, aiutare quest’uomo non meglio identificato sarebbe costato molto al sacerdote. Alla fine, qualunque ne fosse il motivo, decise di passare di fianco all’uomo, restando dall’altra parte della strada per assicurarsi di mantenere la giusta distanza da lui.

La parabola continua così:

Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.[17]

Il levita, probabilmente di ritorno a casa dopo la sua settimana di servizio al tempio, fa la stessa cosa del sacerdote e decide di non aiutare.

Molto probabilmente il levita si era accorto che il sacerdote aveva evitato il ferito. Vari autori indicano che il tracciato della strada da Gerusalemme a Gerico rende possibile vedere a grande distanza. Come ha scritto qualcuno:

Le tracce della vecchia strada romana sono ancora visibili e chi scrive questo l’ha personalmente percorsa in quasi tutta la sua lunghezza. Uno può vedere la strada davanti a sé a una distanza considerevole per la maggior parte del tragitto. Quindi è possibile che quando il levita raggiunse l’uomo sulla strada si fosse reso conto che in precedenza il sacerdote aveva visto il ferito ed era proseguito.[18]

Il levita, avendo una posizione sociale inferiore al sacerdote, forse andava a piedi. Anche se non poteva trasportare l’uomo da nessuna parte, avrebbe però potuto prestargli un primo soccorso, perché non era sottoposto alle stesse leggi di purificazione del sacerdote. Anche se doveva essere puro durante la sua settimana di servizio nel tempio, ora non era più tenuto a esserlo. Dalle parole impiegate nella parabola, è possibile che si sia avvicinato all’uomo. Mentre il sacerdote aveva veduto ed era passato oltre, il levita era “giunto in quel luogo”, aveva visto ed era passato oltre.

Non spiega perché sia passato oltre, ma è possibile che, sapendo che il sacerdote, più esperto di leggi e obblighi religiosi, non aveva fatto niente, abbia pensato che fosse meglio comportarsi allo stesso modo. Fare qualcosa sarebbe potuto sembrare un dubbio che il sacerdote non conoscesse la legge da parte del e quindi un insulto nei suoi confronti.[19]

Un altro motivo per non aiutare potrebbe essere stato il timore per la sua sicurezza. Forse i banditi erano ancora nella zona e se lui avesse passato del tempo ad aiutare il moribondo, avrebbe potuto finire per trovarsi nella stessa situazione. Comunque sia, il levita, la seconda persona proveniente dal tempio, venne, vide, passò oltre e non fece niente.

A questo punto della storia gli ascoltatori originali si sarebbero aspettati che la prossima persona a imbattersi nell’uomo sarebbe stato un ebreo laico. Avrebbe avuto perfettamente senso, considerando che c’era un ordine discendente di condizione sociale: il sacerdote, il levita, il laico.[20] Invece, nella sua storia Gesù si allontana molto dal tracciato. La terza persona che entra in scena è un samaritano disprezzato, un nemico. E la cosa peggiora quando Gesù racconta tutto quello che il samaritano fa per il moribondo, cose che avrebbero dovuto fare il sacerdote e il levita, i religiosi che servivano nel tempio.[21]

Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui.[22]

Il samaritano, probabilmente un mercante che trasportava olio e vino, con almeno un animale, probabilmente un asino, ha compassione del ferito. Prima gli fascia le ferite. Che cosa usa per farlo? Non fa servizio di ambulanza, non ha una cassetta di pronto soccorso. Forse, essendo un mercante, trasporta della stoffa. Forse si toglie la tunica di lino che indossa sotto gli altri vestiti e usa quella; oppure si toglie la fascia dal capo per usarla come benda. Poi usa vino e olio per pulire, disinfettare e guarire.

Oltre a ciò, mette l’uomo sulla cavalcatura e lo porta in una locanda, presumibilmente a Gerico. Il sacerdote avrebbe potuto portare l’uomo a Gerico per prestargli aiuto. Il levita avrebbe potuto almeno dargli un primo soccorso. Tuttavia è il samaritano che fa ciò che né il sacerdote né il levita avevano voluto fare.

Il samaritano porta il ferito nella locanda e si prende cura di lui. Se come abbiamo pensato il ferito era un ebreo, il samaritano avrebbe potuto correre un grosso rischio arrivando in città con un ebreo morto sul suo asino, perché i parenti dell’uomo avrebbero potuto incolpare lui delle sue condizioni e vendicarsi. Per la sua stessa sicurezza, sarebbe stato meglio lasciare l’uomo appena fuori città, o alle sue porte; invece lo portò alla locanda e passò la notte a prendersi cura di lui. Ma fece anche qualcosa in più.

Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”.[23]

Due denari era l’equivalente del salario di due giorni di un lavoratore. Lasciare del denaro all’oste garantiva che l’uomo avrebbe ricevuto le cure necessarie mentre guariva. Se l’oste avesse dovuto spendere più di quella somma per aiutare l’uomo durante la sua convalescenza, il samaritano promise che l’avrebbe ripagato alla sua visita successiva. Se non avesse fatto così, l’uomo avrebbe potuto accumulare un debito per l’alloggio, il cibo e l’assistenza; in quei giorni, se uno non poteva pagare i debiti, poteva essere arrestato. La promessa del samaritano di tornare e pagare qualsiasi spesa in più garantiva sicurezza e cure continue al ferito.

Molto probabilmente il samaritano conduceva regolarmente affari a Gerusalemme e passava spesso per Gerico. Se era un cliente regolare della locanda, ha senso che l’oste accettasse la sua promessa di tornare per saldare eventuali spese in più.

Terminando la storia, Gesù chiede al dottore della legge:

«Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».[24]

La domanda fatta dal dottore della legge era: “Chi è il mio prossimo?” Gesù non gli rispose con i particolari che desiderava; invece raccontò una storia e poi chiese al legale chi si era dimostrato un prossimo. Il legale voleva una risposta chiara, categorica, come: il tuo prossimo è il tuo concittadino ebreo, o uno che si è convertito al giudaismo, o uno straniero che vive in mezzo a voi. Se il dottore della legge avesse sentito un simile elenco, avrebbe saputo chi doveva amare nel rispetto della legge. La storia di Gesù, però, dimostrava che non c’è una lista che limita chi sei responsabile di amare o chi devi considerare tuo prossimo. Gesù definì “tuo prossimo” qualunque persona bisognosa Dio metta sul tuo cammino.

Forse l’uomo picchiato e lasciato per morto non era “legalmente” il prossimo dei due uomini religiosi; non era possibile stabilirlo. Ma il levita e il sacerdote si preoccupavano più delle regole, dei riti e dei doveri religiosi, che di dimostrare misericordia e amore. Quelli che servivano nel tempio e che avrebbero dovuto mostrare misericordia, come si sarebbero aspettati gli ascoltatori originali della storia, mancarono di farlo. Il samaritano, invece, la persona che si sarebbero meno aspettati di veder arrivare, fu quello mosso a compassione. Non solo ebbe compassione, nel senso del desiderio di aiutare qualcuno, ma da quella compassione fu spinto ad agire. E gli costò.

Il samaritano affrontò il rischio di fermarsi a curare il ferito in un luogo in cui avrebbero potuto attaccare anche lui. Non sapeva se i ladroni erano ancora nella zona. Usò il suo vino e il suo olio. Strappò della stoffa, o parte dei suoi vestiti, per fasciare le ferite dell’uomo. Provvide a trasportarlo, passò la notte a curarlo e la mattina dopo lasciò dei soldi per la sua assistenza. Erano gesti d’amore costosi.

Le parole finali di Gesù al dottore della legge furono: “Vai e fa’ anche tu la stessa cosa”. Gli diceva che la sua domanda era sbagliata. Invece di voler sapere chi era obbligato ad amare, avrebbe dovuto chiedere: “Di chi dovrei dimostrarmi il prossimo?” Con questa parabola Gesù indicava chiaramente che il suo prossimo — il nostro prossimo — è chiunque abbia bisogno, indipendentemente da razza, religione o posizione sociale. Il messaggio di Gesù era che non ci sono limiti quando si tratta di dimostrare amore e compassione a qualcuno. La compassione va oltre i requisiti della legge. Siamo tenuti ad amare anche i nostri nemici.

In tutti i Vangeli Gesù sottolineò l’amore, la misericordia e la compassione più che il rispetto delle regole. Invece di porre attenzione su ciò che bisogna fare, la mise sul tipo di persona che bisogna essere. In questo caso, compassionevole, amorevole e misericordiosa verso chi ha bisogno — e non solo in teoria, ma nella pratica.

Esser il prossimo di chi ha bisogno può essere costoso. Il samaritano mise a rischio la propria sicurezza. Gli costò finanziariamente in olio, vino, stoffa e denaro. Gli richiese tempo, energia e risorse.

Amare gli altri è un sacrificio, a volte perfino un rischio.

Come cristiani, come discepoli di Gesù, siamo chiamati ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Non ci sono regole precise su chi sia il nostro prossimo, ma è chiaro che quando il Signore mette una persona bisognosa sulla nostra strada, ci si aspetta che dimostriamo di essere il suo prossimo.

La sfida della parabola è di “andare e fare la stessa cosa”, di essere compassionevoli e amorevoli.

Gli uomini feriti, le donne ferite che incontriamo nella nostra vita forse non sono fisicamente mezzo morti a un lato della strada; ma tanti hanno bisogno di sentire amore e compassione, di ricevere un aiuto, o di avere qualcuno disposto ad ascoltare il loro grido; vogliono sapere che sono importanti, che qualcuno li ama e si cura di loro. Se Dio ti ha portato sulla loro strada, allora forse ti sta chiedendo di essere quel qualcuno.

Puoi dimostrare compassione fornendo assistenza materiale, sostegno emotivo e amicizia, oppure aiuto spirituale. Puoi assistere una persona bisognosa finanziariamente, o dandole sostegno morale, o mettendola in contatto con Gesù e la sua Parola.

Cristo ci chiama a essere compassionevoli. Come il dottore della legge e quelli che originariamente ascoltarono Gesù raccontare la parabola, siamo da Lui incitati a rispondere, andare e fare la stessa cosa.

Mentre lo facciamo, ecco alcuni punti su cui riflettere:

Prenditi un po’ di tempo per pensare ai principi illustrati da Gesù in questa storia.

In questa parabola Gesù ha stabilito i criteri per l’amore e la compassione; le sue parole di chiusura a voi e a me — i suoi ascoltatori di questi giorni — sono: “Vai e fai anche tu la stessa cosa”.

Il Buon Samaritano, Luca 10,25–37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: «Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?»

26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?»

27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso».

28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai».

29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?»

30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada; e lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.

32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.

33 Ma un samaritano che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe pietà;

34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui.

35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”.

36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?»

37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia». Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».


Nota

Se non altrimenti indicato, i brani biblici sono tratti da La Sacra Bibbia, Versione Riveduta 2006 — Copyright © 2008 Società Biblica di Ginevra. Tutti i diritti riservati.


[1] Luca 10,30.

[2] Informazioni sui sacerdoti e il tempio tratte da Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus [Gerusalemme ai tempi di Gesù] (Philadelphia: Fortress Press, 1975).

[3] Informazioni sui Leviti tratte da Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus [Gerusalemme ai tempi di Gesù] (Philadelphia: Fortress Press, 1975).

[4] “E mandò dei messaggeri davanti a sé. Ed essi, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani, per preparargli un alloggio. Ma quelli del villaggio non lo vollero ricevere, perché egli camminava con la faccia rivolta a Gerusalemme. Visto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consumi, come fece anche Elia?»” —Luca 9,52–54.

[5] Giovanni 8,48.

[6] Joel B. Green, Scot McKnight, Dictionary of Jesus and the Gospels (Downers Grove: InterVarsity Press, 1992), 725–728.

[7] In questo articolo ho utilizzato per riferimento gli ottimi libri di Kenneth E. Baily: Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008). Poet & Peasant, e Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985).

[8] Luca 10,26–27.

[9] Levitico 19,18 LND.

[10] Deuteronomio 6,5 LND.

[11] Luca 10,29.

[12] Levitico 19,34 LND.

[13] Luca 10,30.

[14] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, e Through Peasant Eyes, edizione combinata(Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985).

[15] Luca 10,31.

[16] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, e Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985), 44.

[17] Luca 10,32.

[18] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, e Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985), 46.

[19] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, e Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985), 47.

[20] Klyne Snodgrass, Stories With Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2008), 355.

[21] “Amerai il tuo prossimo come te stesso” — Levitico 19,18.

[22] Luca 10,33–34.

[23] Luca 10,35.

[24] Luca 10,36–37.

[25] Matteo 6,4.


Titolo originale: The Stories Jesus Told—The Good Samaritan, Luke 10:25-37
Pubblicato originariamente in Inglese il 21 Maggio 2013
versione italiana affissa il 27 Maggio 2013;
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