Le storie raccontate da Gesù: il re e i suoi servi – Luca 19,11-27

Di Peter Amsterdam

Gennaio 14, 2015

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I Vangeli di Matteo e di Luca raccontano entrambi la storia di un ricco che si stava preparando per una lunga assenza e diede ai suoi servi certe somme di denaro da amministrare per suo conto.1 Nel Vangelo di Luca Gesù raccontò la sua parabola a Gerico, mentre era in cammino per Gerusalemme, poco prima di essere crocifisso. Aveva appena pranzato con un esattore delle tasse, Zaccheo. Entrare nella casa di un odiato esattore era un’offesa, secondo l’opinione della folla che seguiva Gesù, perché essi erano considerati allo stesso tempo peccatori e traditori di Israele. Durante il pasto, Zaccheo, annunciò che avrebbe restituito il denaro che aveva preso illegalmente nell’esazione delle tasse. Udendo questo, Gesù disse che la salvezza era giunta quel giorno nella casa di Zaccheo e che il Figlio dell’uomo era venuto a “cercare e salvare ciò che era perduto”.2 Questo è il contesto in cui Gesù raccontò questa parabola.

Gesù proseguì a raccontare una parabola, perché era vicino a Gerusalemme, ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi subito.

Gesù stava andando a Gerusalemme per la Pasqua ed era a soli trenta chilometri, a Gerico. Il popolo ebreo si aspettava che il Messia, discendente dalla linea di Re Davide che era vissuto mille anni prima, fosse incoronato a Gerusalemme. Questo Messia avrebbe restaurato la maestà del regno di Davide, liberando Israele dagli oppressori stranieri. Quando Gesù arrivò a Gerusalemme, la folla si riunì davanti e dietro a Lui, gridando: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!”3 Si aspettavano tutti che la fine del governo degli odiati romani e il ristabilimento del regno di Israele con il Messia come re fossero appena dietro l’angolo.

Anche se Gesù aveva detto ai suoi discepoli che a Gerusalemme sarebbe stato ucciso, loro non avevano capito il significato delle sue parole, perché avevano le stesse tipiche aspettative degli Ebrei nei riguardi del Messia.4 C’era molta eccitazione tra i seguaci di Gesù, perché si anticipavano il suo ingresso a Gerusalemme e la possibile gloria che avrebbe ricevuto una volta arrivato là. Giacomo e Giovanni aspettavano con ansia il futuro ormai vicino, quando chiesero a Gesù di consentire loro di “di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria”.5

Disse dunque: Un uomo nobile andò in un paese lontano, per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare. E, chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Trafficate fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasciata, dicendo: “Non vogliamo che costui regni su di noi”.

Gesù forse si stava riferendo a un episodio di storia ebraica come sfondo per la parabola. I governanti dei paesi controllati da Roma dovevano rivolgersi all’imperatore per avere il permesso di regnare. Erode il Grande, re d’Israele ai tempi di Gesù, era andato a Roma nel 40 a.C. per chiedere all’imperatore Augusto di nominarlo re. Alla sua morte aveva lasciato la regione della Galilea a suo figlio Antipa; e la Samaria, l’Idumea e la Giudea a un altro figlio, Archelao, che nel 4 a.C. andò a Roma per chiedere all’imperatore di confermare la sua posizione. Poiché il popolo sapeva che Archelao sarebbe stato un sovrano duro, una delegazione di cinquanta giudei illustri andò a Roma per chiedere all’imperatore di non consentire ad Archelao di diventare re. L’imperatore gli affidò il governo della regione, ma non lo nominò re, dandogli invece il titolo di etnarca, con la promessa che se avesse regnato bene gli avrebbe affidato il titolo di re. Entro dieci anni, però, l’imperatore lo rimosse da questo incarico. Quando Maria e Giuseppe, i genitori di Gesù, rientrarono in Israele dopo la loro fuga e la conseguente permanenza in Egitto per un certo periodo, non si sentirono sicuri nel tornare a Betlemme, che era in Giudea, perché il suo governante era Archelao. Così si trasferirono a Nazareth, in Galilea.6

La situazione del nobile della parabola, che va in un paese lontano per ricevere un regno, sarebbe stata vista come quella di un uomo che facesse richiesta all’imperatore romano di essere nominato re di un paese. Nella parabola c’erano chiaramente alcuni compatrioti del nobile che lo odiavano e non volevano che regnasse su di loro, tanto da mandare una delegazione per convincere l’autorità suprema a non farlo re.

Prima di partire per il suo viaggio il nobile chiamò dieci dei suoi servi e diede a ciascuno di loro una mina. Era un’antica moneta greca che valeva circa tre mesi del salario di un operaio, quindi la somma data a ciascuno rappresentava un centinaio di giorni di paga. Anche se i soldi non erano tanti, diede a ciascuno l’istruzione precisa di farli fruttare fino al suo ritorno.

Nel Vangelo di Matteo, la parabola parla di servi che ricevettero dei talenti — cinque a uno, due a un altro e uno all’ultimo. Un talento era un peso monetario tra i 27 e i 90 chili di oro o di argento. A seconda del metallo, un talento poteva valere fino a 60 mine, la paga di seimila giornate per un operaio, all’incirca il pagamento di vent’anni di lavoro.7 (Il valore della mina o del talento non fa nessuna differenza per quel che riguarda il messaggio delle parabole.)

Il nobile nel Vangelo di Luca si aspetta di ritornare nella veste di re, anche se la delegazione spera di evitare che succeda. Per la popolazione della regione su cui avrebbe potuto regnare, la questione che il nobile diventasse re, o che la delegazione riuscisse a impedirlo, avrebbe reso la situazione piuttosto instabile. In pratica, i servi che avessero fatto affari in suo nome o per suo conto avrebbero dimostrato di stare dalla sua parte. I nemici del nobile avrebbero certamente preso nota di chi gli era leale e, se fossero riusciti a far nominare re qualcun altro, i suoi amici avrebbero corso un rischio. In un periodo d’instabilità, molte persone avrebbero mantenuto un profilo basso, seppellendo il loro denaro e altri oggetti preziosi per evitare i rischi finché la situazione politica non si fosse stabilizzata.8 Comunque, i servi del nobile avevano ricevuto l’ordine di fare affari con le mine.

Alla fine scopriamo che la delegazione non ebbe successo e che il nobile tornò in patria come re.

Ora, quando fu di ritorno, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece chiamare quei servi ai quali aveva dato il denaro per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato trafficando. Allora si fece avanti il primo e disse: “Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine”; ed egli disse: “Bene, servo buono, poiché sei stato fedele in cosa minima, ricevi il governo su dieci città”. Venne poi il secondo, dicendo: “Signore, la tua mina ha fruttato altre cinque mine”; ed egli disse anche a costui: “Tu pure sii capo di cinque città”.

Le parabole sono brevi e danno solo minimi dettagli, così, anche se erano stati dieci i servi a ricevere una mina ciascuno, si parla solo dei risultati di tre di loro. Il modo in cui rispondono i primi due servi dimostra che avevano capito che le mine che avevano ricevuto, insieme ai profitti guadagnati mediante i loro traffici, appartenevano al re. Il primo dice: “Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci”; e il secondo dice che la mina del suo signore ne aveva fruttate cinque.

Questi uomini si erano dimostrati fedeli nel condurre gli affari secondo le istruzioni del re. Oltre a essere fedeli, le loro potevano essere intese come azioni coraggiose. Nonostante l’instabilità della situazione politica e le persone che odiavano il futuro re, avevano condotto i suoi affari e l’avevano fatto con successo.

Questi buoni servi furono ricompensati per la loro fedeltà, la loro ubbidienza e il loro coraggio. Come premio, i servi fedeli ricevettero il governo e il controllo di alcune delle città nel regno del nuovo re: il primo sopra dieci e il secondo sopra cinque città.

Le azioni e la risposta del terzo servo, invece, furono molto diverse.

Venne poi un altro, che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto, perché ho avuto paura di te, che sei un uomo severo; tu prendi ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato”.

Nella parabola raccontata da Matteo, il servo infedele aveva seppellito il denaro, cosa che secondo il codice rabbinico era considerata il mezzo più sicuro di proteggere dal furto gli oggetti di valore. Quando una persona era incaricata di tenere dei valori per qualcuno, se li seppelliva immediatamente era libera da ogni responsabilità in caso di furto. In questo caso, invece, il servo aveva avvolto il denaro in un pezzo di stoffa grande forse un metro quadrato. La legge rabbinica diceva che in quel caso una persona aveva la responsabilità di risarcire qualsiasi perdita.9

Il terzo servo sapeva di essere responsabile del denaro e aveva paura d’investirlo, per non essere punito dal re in caso di perdita. Nel farlo si era dimostrato disubbidiente alle istruzioni del re. La sua giustificazione per non aver seguito le istruzioni originali era la paura del sovrano e del suo acuto senso degli affari. Gli investimenti del re avevano grandi profitti che non derivavano dai suoi sforzi personali, ma dal lavoro di altri. Per paura, invece di investire il denaro, lo tenne nascosto e non guadagnò nulla.

La risposta del re non fu piacevole.

E il suo signore gli disse: “Ti giudicherò dalle tue stesse parole, malvagio servo; tu sapevi che sono un uomo duro, che prendo ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato; perché non hai depositato il mio denaro in banca; così, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse?”.

Il re rivolse contro il servo le sue stesse parole. Se vedeva il re in quel modo, allora avrebbe dovuto sapere che al suo ritorno si sarebbe aspettato dei profitti dalla mina. Anche se il servo aveva paura di perdere il denaro in investimenti rischiosi, avrebbe potuto almeno guadagnare qualcosa dandolo a chi faceva cambio di valuta o a chi prestava denaro a interesse. Non gli avrebbe richiesto alcuno sforzo e, anche se non sarebbe stato un profitto del mille per cento come nel caso del primo servo, o del cinquecento come per il secondo, sarebbe stato pur sempre qualcosa. Invece trascurò di farlo perché aveva interpretato male la natura del re.

Non che le sue intenzioni fossero cattive; stava cercando di non perdere quello che aveva ricevuto, ma non capì quello che il re si aspettava da lui e gli aveva ordinato di fare. Avrebbe dovuto essere disposto a muoversi e correre dei rischi per guadagnare qualcosa. Gli altri due servi chiaramente avevano capito, si erano comportati di conseguenza ed erano stati premiati. Oltre ad aver disubbidito agli ordini del re e ad aver interpretato male la sua natura, forse c’era anche qualche esitazione o paura da parte sua nel fare affari in nome del nobile nel caso in cui fosse stato nominato re qualcun altro.

Il re giudicò il terzo servo in maniera sbrigativa.

Disse poi ai presenti: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”. Ed essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine”. “Poiché io vi dico che a chi ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.

La mina viene tolta al terzo servo e data al primo. I presenti, che sono testimoni alla scena, hanno delle obiezioni; ma il re ribatte che chi si è dimostrato fedele con ciò che ha ricevuto avrà doni più grandi, mentre chi è infedele perderà anche i doni che ha.

La parabola poi si occupa dei nemici del re.

“Inoltre, conducete qui i miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi su di loro e uccideteli alla mia presenza”.

Il re ordina che i suoi nemici siano uccisi e questo avrebbe fatto ricordare le azioni di Archelao, che aveva fatto uccidere i suoi oppositori. Nel linguaggio delle parabole, viene dato l’avvertimento di un giudizio. Non è necessariamente un’immagine realistica del giudizio che verrà, ma un’affermazione che effettivamente ci sarà. Anche se il giudizio non è la parte degli insegnamenti di Gesù che i più trovano edificante e ispirante, ne è tuttavia una parte importante. Sia nel Vecchio, sia nel Nuovo Testamento troviamo che la Parola di Dio tratta di entrambe le cose: salvezza e giudizio. Nella lettura delle Scritture riconosciamo che Gesù, avendo dato volontariamente la vita per noi, fu in effetti ucciso come sacrificio per i nostri peccati, così quelli che lo accettano possono esser risparmiati dal giudizio a venire.10

Che cosa ci insegna, quindi, questa parabola?

Diverse cose, ma cominciamo da ciò che avrebbe capito il pubblico originale. Probabilmente avrebbero compreso che tutto ciò che una persona ha appartiene a Dio e che ognuno è custode di quelle cose, comprese le proprie capacità e i propri punti di forza, e che Dio lo ritiene responsabile di usarle secondo le istruzioni che ha dato nelle Scritture.

Possiamo chiederci: come sto usando i doni che Dio mi ha dato in questa vita, sapendo che è mia responsabilità usarli saggiamente? Riconosco effettivamente che tutto ciò che ho appartiene a Dio, e lo uso secondo le istruzioni che ha dato?

Un’altra cosa che potrebbero aver capito le persone presenti quando fu raccontata questa storia è che la loro attesa che Gesù, come messia o re terreno d’Israele, li avrebbe immediatamente liberati dagli oppressori romani era inaccurata. E venticinque o trenta anni dopo, quando fu scritto il Vangelo di Luca, i lettori avrebbero capito che la parabola aveva anche a che fare con il periodo tra l’ascensione di Gesù e il suo ritorno, quello che viene spesso chiamato la sua seconda venuta, il secondo avvento, o la parusia, un termine greco che significa appunto venuta o arrivo. I Vangeli furono scritti tutti alcuni decenni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, quindi chi li leggeva poteva comprendere meglio il significato del re che era andato via e poi era tornato: che Gesù, anche se adesso è via, tornerà; e che si aspetta qualcosa riguardo ai doni e ai talenti che Dio ci ha dato.

 Le mine, che rappresentano i doni divini, ci vengono date come prova. I servi di Dio se ne occuperanno fedelmente? Saranno leali al re nel cui ritorno sperano e credono? Faranno affari in suo nome? Oppure avranno paura? Se saranno fedeli e leali, se seguiranno i suoi ordini, saranno premiati, come scoprirono quelli che ricevettero il governo su dieci o su cinque città. E se saremo fedeli, anche se non perderemo la salvezza, la parabola ci insegna che subiremo le conseguenze del non aver ubbidito agli ordini del re.

Anche se la prima chiesa e molti cristiani nel corso dei due millenni scorsi si aspettavano che il ritorno di Gesù fosse imminente, questa parabola ci fornisce principi utili su come vivere in attesa che ritorni. Dobbiamo vivere in maniera conforme alle sue istruzioni — la Parola di Dio — e in anticipazione del vederlo faccia a faccia, sia che torni o che ci presentiamo davanti a Lui quando abbandoniamo questa vita. Quando tornerà non è importante come cosa faremo della nostra vita mentre lo aspettiamo.

Ognuno di noi è responsabile del modo in cui conduce la sua vita, di come mette in pratica ciò che le Scritture insegnano e per il grado in cui sceglie di amare e seguire Dio. Come seguaci di Gesù, come discepoli e cristiani, tutti noi siamo in possesso delle istruzioni divine su come vivere per Lui e alla sua gloria. La domanda è se seguiamo quelle istruzioni. Conduciamo la nostra vita secondo i suoi insegnamenti e i suoi principi? Mettiamo in pratica con decisione ciò che Dio ci ha detto, come fecero ubbidientemente i servi con dieci e cinque mine?

Anche se la Bibbia insegna chiaramente che come cristiani non perdiamo la salvezza, insegna anche che ci sono diversi tipi di premi per i cristiani e che ognuno di noi si presenterà davanti a Cristo per rendere conto della propria vita. Il modo in cui viviamo la nostra vita sul fondamento datoci — Gesù — fa la differenza.

Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco”.11

Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte nel corpo in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male.12

Siamo amministratori della vita che Dio ci ha dato. Per il suo amore e la sua grazia ci ha dato la salvezza mediante suo Figlio, che ha dato la vita per tutti noi. Un giorno Gesù, il nostro Re, tornerà a giudicare se abbiamo fatto quello che ci ha detto. Possa ognuno di noi vivere la sua vita in una maniera che rispecchi quella dei servi fedeli che ubbidirono alle istruzioni del loro re. Possa ognuno di noi sentire quelle parole: “Bene, servo buono e fedele!”13

I servi e le dieci mine (Luca 19,11-27)

11 E, mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù proseguì a raccontare una parabola, perché era vicino a Gerusalemme, ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi subito.

12 Disse dunque: «Un uomo nobile andò in un paese lontano, per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare.

13 E, chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: “Trafficate fino al mio ritorno”.

14 Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasciata, dicendo: “Non vogliamo che costui regni su di noi”.

15 Ora, quando fu di ritorno, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece chiamare quei servi ai quali aveva dato il denaro per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato trafficando.

16 Allora si fece avanti il primo e disse: “Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine”;

17 ed egli disse: “Bene, servo buono, poiché sei stato fedele in cosa minima, ricevi il governo su dieci città”.

18 Venne poi il secondo, dicendo: “Signore, la tua mina ha fruttato altre cinque mine”;

19 ed egli disse anche a costui: “Tu pure sii capo di cinque città”.

20 Venne poi un altro, che disse: “Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto,

21 perché ho avuto paura di te, che sei un uomo severo; tu prendi ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato”.

22 E il suo signore gli disse: “Ti giudicherò dalle tue stesse parole, malvagio servo; tu sapevi che sono un uomo duro, che prendo ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato;

23 perché non hai depositato il mio denaro in banca; così, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse?”.

24 Disse poi ai presenti: “Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine”.

25 Ed essi gli dissero: “Signore, egli ha dieci mine”.

26 ”Poiché io vi dico che a chi ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.

27 Inoltre, conducete qui i miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi su di loro e uccideteli alla mia presenza”».


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 La versione di Matteo e quella di Luca presentano alcune differenze e ci sono diverse teorie al riguardo. Alcuni studiosi suggeriscono che siano dovute al fatto che Gesù raccontò la storia in momenti diversi e in situazioni diverse, quindi in una versione diversa. In entrambi i casi, la parabola copre gli stessi punti principali e dà lo stesso messaggio fondamentale con alcune variazioni. Io userò la versione di Luca e farò qualche riferimento a quella di Matteo.

2 Luca 19,1–10.

3 Matteo 21,9.

4 Poi prese con sé i dodici e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e tutte le cose scritte dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compiranno. Egli infatti sarà consegnato in mano dei gentili, sarà schernito e oltraggiato e gli sarà sputato addosso. E, dopo averlo flagellato, lo uccideranno; ma il terzo giorno risusciterà». Ma essi non compresero nulla di tutto ciò: questo parlare era per loro oscuro e non capivano le cose che erano state loro dette (Luca 18,31–34).

5 Marco 10,35–37.

6 [Giuseppe], alzatosi, prese il bambino e sua madre e venne nel paese d’Israele; ma, avendo udito che Archelao regnava in Giudea al posto di Erode suo padre, ebbe paura di andare là. E, divinamente avvertito in sogno, si rifugiò nel territorio della Galilea (Matteo 2,21–22).

7 Klyne Snodgrass, Stories With Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2008), 528.

8 Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 400–401.

9 Joachim Jeremias, The Parables of Jesus (New Jersey: Prentice Hall, 1954), 61.

10 Snodgrass, Stories With Intent, 541.

11 1 Corinzi 3,12–15 NR.

12 2 Corinzi 5,10.

13 Luca 19,17.


Titolo originale: The Stories Jesus Told: The King and the Stewards, Luke 19:11–27
Pubblicato originariamente in Inglese il 23 Settembre 2014
versione italiana affissa il 14 Gennaio 2015;
statistiche: 3.602 parole; 17.474 caratteri

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