Le storie raccontate da Gesù: perduti e ritrovati, Luca 15,1-10

Di Peter Amsterdam

Gennaio 21, 2015

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Nel quindicesimo capitolo del Vangelo di Luca, Gesù esprime molto bene il cuore di Dio in quel che riguarda la salvezza e la restituzione. Difende i suoi contatti con i peccatori e sfida l’atteggiamento di chi lo criticava e giudicava, raccontando tre parabole con trame molti simili: la pecora smarrita, la moneta smarrita e il figliol prodigo.

La storia comincia così:

Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».1

I farisei e gli studiosi della legge criticavano Gesù non solo perché mangiava con i peccatori, ma anche perché li accettava. Disapprovavano che mangiasse con loro senza formalità o accettasse l’invito a pranzo nelle loro case, ma forse obiettavano ancora di più al modo in cui “li accoglieva”, nel senso che li trattava con ospitalità; è possibile che a volte li abbia accolti per un pasto. Ricevere ospiti a tavola per stare in compagnia e mangiare con loro era considerato un segno di accettazione molto speciale.2

Lo scrittore Joachim Jeremias lo spiega così:

Per capire ciò che Gesù faceva nel mangiare con i “peccatori”, è importante rendersi conto che in oriente, ancora oggi, invitare un uomo a pranzo è un onore. Era un’offerta di pace, fiducia, fratellanza e perdono; in breve, condividere la mensa significava condividere la vita. […] Nel Giudaismo in particolare, la compagnia a tavola voleva dire compagnia davanti a Dio, perché il fatto che tutti i commensali mangiassero il pane spezzato indicava che tutti partecipavano della benedizione che il padrone di casa aveva pronunciato sul pane ancora integro. Così anche i pasti di Gesù con pubblicani (esattori delle tasse) e peccatori non erano solo eventi a livello sociale, non solo un’espressione della sua insolita umanità, della sua generosità sociale e della sua simpatia per i disprezzati, ma aveva un significato ancora più profondo. Sono un’espressione della missione e del messaggio di Gesù. L’inclusione dei peccatori nella comunità della salvezza, ottenuta nella condivisione della mensa, è l’espressione più significativa del messaggio dell’amore redentore di Dio.3

La pecora smarrita

In risposta alle critiche espresse dagli scribi e dai farisei, Gesù difese e spiegò le sue azioni con tre parabole, la prima delle quali offre una delle immagini verbali più note della Bibbia:

«Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta”. Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento».4

La difesa di Gesù inizia con la domanda: “Chi di voi, avendo cento pecore…” Anche se nel Vecchio Testamento ci sono riferimenti positivi ai pastori e Dio è chiamato il Pastore di Israele, il mestiere di pastore nella Palestina del primo secolo non godeva di molta considerazione. Ai tempi di Gesù i custodi di pecore venivano automaticamente classificati tra i “peccatori”, perché la loro occupazione era uno dei mestieri considerati poco raccomandabili. Spesso i pastori venivano visti come ladri, perché facevano pascolare le loro greggi sui terreni altrui; non potevano testimoniare in tribunale ed essenzialmente erano allo stesso infimo livello sociale degli odiati esattori delle tasse. La stessa frase d’apertura usata da Gesù era una provocazione, perché chiedeva ai capi religiosi di immaginare di essere pastori – e quindi peccatori – il che non era proprio quello che pensavano di se stessi. La domanda di Gesù è posta anche in maniera da strappare il loro assenso che ogni pastore in una situazione simile avrebbe cercato la pecora smarrita.

Dato che in genere le parabole non danno molti particolari, non ci viene detto cosa succede alle altre novantanove mentre il pastore è fuori a cercare quella dispersa. Considerando che cento pecore era più di quanto un pastore potesse curare da solo,5 possiamo presumere che un altro pastore fosse rimasto con le pecore o le avesse riportate a casa. È probabile che il pastore fosse proprietario solo di alcune d’esse e che il resto appartenesse a membri della sua famiglia allargata o ad altri abitanti del suo villaggio, perché la famiglia contadina ebraica di quei tempi in genere possedeva tra le cinque e le quindici pecore.6

Le pecore sono animali sociali; vivono come gregge e quando una si separa da esso, rimane frastornata. Si sdraia a terra e rifiuta di muoversi, in attesa che arrivi il pastore. Quando il pastore la trova, la solleva, se la mette in spalla e la riporta a casa. È più difficile di quel che sembri. Una pecora in genere pesa circa 34 kg e portarne una sulle spalle per una lunga distanza può essere faticoso.

La pecora smarrita, anche se era solo una in mezzo a cento, era importante per il pastore. Era persa e doveva essere ritrovata; quando la trovò, il pastore ne fu felice. Il passo successivo era portarla faticosamente a casa e restituirla al gregge. Ma la storia non termina qui.

E giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta”.7

Tutta la comunità del villaggio si rallegra che il pastore che stava cercando la pecora da solo sia ritornato sano e salvo e che la pecora sia stata ritrovata incolume. La frase greca utilizzata per esprimere che “chiama i vicini e gli amici” viene a volte usata per descrivere l’invito a una festa. È possibile che parte della festa comunitaria consistesse in un pasto insieme. Vedremo lo stesso scenario di allegria e di un possibile banchetto quando viene ritrovata la moneta nella seconda parabola. E infine c’è il banchetto con un vitello ingrassato quando il figlio perduto ritorna dal padre nella terza storia. Trovare e recuperare quello che era perduto è motivo di gioia!

Gesù termina la storia dicendo:

Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.8

Gesù indica enfaticamente che Dio prova molta gioia quando qualcuno giunge alla salvezza. “Più gioia in cielo” sarebbe stato compreso come dire che “Dio si rallegra enormemente” per il peccatore che si pente.

Sentendo questa parabola probabilmente gli ascoltatori si sarebbero ricordati del capitolo 34 di Ezechiele, che parla delle pecore che vagano per i monti senza nessuno che le cerchi e di come Dio dice che andrà a cercarle, se ne prenderà cura e porrà sopra di loro un pastore della discendenza di Re Davide. Si sarebbero anche ricordati degli avvertimenti di Ezechiele a quei pastori che non si erano presi cura delle pecore.

Rispondendo alle critiche sui suoi rapporti affettuosi con i peccatori, Gesù raccontò una storia sulla buona volontà divina di cercare chi è smarrito e di pagare un prezzo per la loro salvezza o restituzione, oltre alla gioia che prova quando qualcuno che si è smarrito viene ritrovato. Gesù traccia un’immagine verbale che indica il carattere di suo Padre e l’amore che prova per tutti quelli che hanno bisogno di salvezza, chiunque essi siano e a qualunque classe sociale appartengano. L’atteggiamento dei farisei, che si lamentavano che Gesù stesse in compagnia di peccatori, si dimostra contrario alla natura e al carattere di Dio. Invece di cercare le pecore smarrite, i farisei favorivano la propria separazione dai peccatori perduti.

Questa parabola, come molte altre, è presentata nel formato di “dal più piccolo al più grande”: se l’umile pastore è disposto a cercare la pecora smarrita e riportarla a casa, tanto più Dio cercherà e salverà i suoi figli smarriti.

La dramma perduta

Gesù sottolinea questo punto una seconda volta con la parabola della dramma perduta. [La dramma, o dracma, era una moneta d’argento usata nella comunità ellenistica di quel periodo. N.d.T.]. È un’altra riflessione sulla domanda che aveva fatto nella prima parabola, solo che questa volta il personaggio principale è una donna, invece di un pastore disprezzato. Nella Palestina del primo secolo le donne erano considerate inferiori agli uomini. Gesù apre entrambe le storie con un’affermazione dall’effetto sconcertante, usando come protagonisti persone alle quali i suoi ascoltatori si ritenevano superiori.

«Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova? Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”. Così, vi dico, v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede».9

La maggior parte dei villaggi contadini di quell’epoca era praticamente autosufficiente; tessevano le loro stoffe e coltivavano il loro cibo. I soldi erano cosa rara, quindi la moneta perduta avrebbe avuto molto più valore in una casa contadina del salario quotidiano che rappresentava commercialmente.10 A quanto pare, per questa donna lo smarrimento della moneta rappresentava una perdita importante. Notiamo l’enormità di questa perdita quando la confrontiamo con la prima parabola, in cui una sola pecora su cento si era smarrita. Qui vediamo una moneta su dieci; nella parabola del figlio smarrito sarà uno su due.

In Palestina le case povere in genere avevano solo una porta e forse alcune pietre mancanti in cima alle pareti vicino al soffitto per dare ventilazione, quindi c’era poca luce naturale.11 Accendere una lampada e scopare il pavimento era la cosa più logica da fare per cercare accuratamente la moneta. Tuttavia possiamo solo immaginare l’ansia della ricerca, lo spazzare attentamente ogni luogo in cui poteva trovarsi, spostare i mobili e passare e ripassare la scopa fino a trovarla. Proprio come il pastore che cercava la pecora, la donna cerca “finché non la ritrova”. In questa parabola l’attenzione è sull’accuratezza della sua ricerca.

Una volta trovatala, chiama amiche e vicine per rallegrarsi con loro per la moneta perduta e ritrovata. Il termine greco usato in questo caso per “chiamare” è di genere femminile, quindi presuppone che abbia chiamato altre donne per rallegrarsi con loro, magari celebrando il ritrovamento con qualche specie di pasto insieme.

La frase “rallegratevi con me” fa eco alle stesse parole dette dal pastore ai suoi vicini. La donna, come il pastore, invita amiche e vicine a partecipare alla sua gioia per aver trovato quello che aveva perso.

Gesù ripete la frase usata nella prima parabola, dicendo: “Così vi dico”, o come in altre traduzioni: “Allo stesso modo vi dico”. È una frase usata in tutti e quattro i Vangeli quando Gesù afferma qualcosa con autorità; nel Vangelo di Luca è usata quarantacinque volte. In questo caso la usa per dichiarare:

«V’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede».12

“Gioia davanti agli angeli”, o “gioia alla presenza degli angeli”, corrisponde alla “gioia in cielo” descritta nella prima parabola. Esprime la gioia di Dio per aver trovato chi era perduto.

La donna che accende la lampada, spazza tutta la casa e cerca la dracma è un’analogia all’accuratezza e all’impegno di Dio per cercare chi è perduto. Come per il pastore che cercava la pecora smarrita, Gesù indica nuovamente che, se una donna che perde la sua moneta e la cerca così attentamente gioisce così tanto quando la trova, tanto più Dio cercherà chi è smarrito e si rallegrerà quando l’avrà ritrovato.

Queste prime due parabole, delle tre raccontate da Gesù in risposta agli scribi e ai farisei che contestavano il suo stare in compagnia dei peccatori, chiariscono il punto di vista divino sulla loro redenzione e reintegrazione. In questa serie di parabole vediamo Dio rappresentato come pastore e come donna. Entrambi valorizzavano quello che avevano perso, quindi fecero un notevole sforzo per ritrovarlo e si rallegrarono molto quando l’ebbero trovato.

Diversamente dagli scribi e dai farisei che criticavano Gesù per le persone con cui stava in compagnia, Dio cerca di salvare chi è perduto. Non presta attenzione alle loro condizioni sociali, alla loro ricchezza o provenienza, o al fatto che siano religiose o no. Le cerca perché sono perdute e vanno ritrovate. Le cerca perché le ama, si preoccupa per loro e vuole riportarle a Sé.

I farisei fraternizzavano solo con chi consideravano giusto e si mantenevano separati da chiunque ritenessero ingiusto. C’è un detto rabbinico successivo che dice: Nessuno si associ a peccatori, nemmeno per avvicinarli alla Torah,13 facendo eco all’atteggiamento dei farisei. Le azioni e le parole di Gesù indicavano che la visione di Dio era cercare chi era perduto, restando in contatto con chi è separato da Dio e ha bisogno di redenzione e riparazione, mangiando con loro, ospitandoli e dimostrando loro amore e attenzione. Contrariamene ai farisei, era disposto a socializzare con i peccatori per portarli alla salvezza. Capiva il carattere di Dio.

Dio, che mediante il suo Spirito convince il mondo quanto alla giustizia e al giudizio,14 non solo fa uno sforzo per trovare i perduti, ma li salva anche, come vediamo dal sacrifico e dalla fatica del pastore nel portare in spalla la pecora e riunirla al gregge. Possiamo paragonare quell’impresa piena di sacrifici al fatto che Gesù diede la vita per noi, salvandoci e restituendoci al Padre. E quando questo succede, Dio si rallegra enormemente!

È bene ricordare che quando Dio cerca le anime smarrite, spesso siamo noi gli strumenti che usa nella ricerca. Uno dei nostri lavori come cristiani è portare il Vangelo a chi ne ha bisogno. Ci rendiamo disponibili al Signore quando mette qualcuno sulla nostra strada? Teniamo gli occhi aperti per scoprire a chi ci sta indirizzando? E quando siamo faccia a faccia con chi ha bisogno dell’amore e della verità di Dio, facciamo i passi necessari per testimoniare a quella persona ed esprimere il messaggio divino con parole che possa capire?

Dovremmo chiederci se stiamo davvero riflettendo la natura di Dio quando si tratta delle anime smarrite, o se il nostro atteggiamento è più simile a quello dei farisei. Ci asteniamo dall’aiutare le persone bisognose, in base alla loro situazione economica e sociale, alla loro razza o al loro credo? Oppure siamo disposti a essere amichevoli, a mostrare l’amore di Dio a tutti, compresi gli oppressi, i tipi duri e le persone che nella società moderna sono emarginate e disprezzate? Riconosciamo che a volte le persone meno promettenti sono quelle che risponderanno di più alla bontà, all’amore e alla comprensione? Siamo disposti a socializzare con i perduti per mostrare loro l’amore incondizionato di Dio e la salvezza?

A questo riguardo l’autore Klyne Snodgrass scrive così:

Gesù non legittimò il peccato, non lasciò la gente nel peccato, né comunicò alcun tipo di sdegno verso i peccatori. Rispecchiò l’immagine di suo Padre e li invitò a ricevere il perdono divino e a partecipare al regno di Dio. Qualsiasi altra cosa possiamo dire, la grazia e l’accettazione divina dimostrate da Gesù devono essere evidenti in tutto quello che facciamo.

Possa ognuno di noi emulare la natura e il carattere di Dio nei nostri rapporti con le persone che hanno bisogno del suo amore e della sua salvezza.

Perduti e ritrovati, Luca 15,1-10

1 Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo.

2 Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

3 Ed Egli disse loro questa parabola:

4 «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova?

5 E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle;

6 e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta”.

7 Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.

8 Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova?

9 Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: “Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”.

10 Così, vi dico, v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede».


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: Nuova Riveduta, Copyright © 2006 Società Biblica di Ginevra. Tutti i diritti riservati.


1 Luca 15,1–2.

2 Kenneth E. Bailey, Poet and Peasant (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1976), 143.

3 Joachim Jeremias, New Testament Theology (New York: Charles Scribner’s Sons, 1971), 115.

4 Luca 15,4–7.

5 Bailey, Poet and Peasant, 149.

6 Ibid., 148.

7 Luca 15,6.

8 Luca 15,7.

9 Luca 15,8–10.

10 Bailey, Poet and Peasant,157.

11 Simon J. Kistemaker, The Parables, Understanding the Stories Jesus Told (Grand Rapids: Baker Books, 1980), 175.

12 Luca 15,10.

13 Klyne Snodgrass, Stories With Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2008), 101.

14 Giovanni 16,8–9.


Titolo originale: The Stories Jesus Told: The Lost and Found, Luke 15:1–10
Pubblicato originariamente in Inglese il 7 Ottobre 2014
versione italiana affissa il 21 Gennaio 2015;
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