Di Peter Amsterdam
Luglio 16, 2016
(Puoi leggere lo scopo di questa serie e una sua veduta d’insieme in questo articolo introduttivo.)
[Jesus—His Life and Message: The Sermon ont the Mount. The Beatitudes (Part 1)]
Nel quinto capitolo di Matteo si racconta che
Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a Lui, ed Egli, aperta la bocca, insegnava loro.1
Alla fine del sermone scopriamo anche la presenza di una folla che ascoltò gli insegnamenti di Gesù ai suoi discepoli. L’uso che Matteo fa della frase “aperta la bocca, insegnava loro” è un’espressione idiomatica ricorrente, usata nelle Scritture per introdurre una dichiarazione importante.2
Gesù iniziò il Sermone sul monte con le frasi note come “Beatitudini”:
Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
Beati coloro che fanno cordoglio, perché saranno consolati.
Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra.
Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perché essi saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché essi otterranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio.
Beati coloro che si adoperano per la pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio.
Beati coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.3
Nell’insegnare le Beatitudini, Gesù utilizzò un formato che era familiare ai suoi ascoltatori, perché le beatitudini erano usate già nel Vecchio Testamento e in altre antiche opere letterarie ebraiche. Eccone alcuni esempi:
Beato l’uomo che non cammina nel consiglio degli empi, non si ferma nella via dei peccatori e non si siede in compagnia degli schernitori.4 Beato chi si prende cura del povero; l’Eterno lo libererà nel giorno dell’avversità.5 Beati quelli che trovano in te la loro forza, che hanno a cuore le vie del Santuario.6
La maggior parte di queste beatitudini veterotestamentarie sono affermazioni singole, mentre Gesù ne mette insieme otto, strutturate in un unico gruppo.
Prima di esaminare individualmente le Beatitudini, è utile capire il significato di “beato”. Sia in Ebraico che un Greco ci sono due parole tradotte con “beato” o “benedetto”. I due termini greci sono un parallelo di quelli ebraici ed è importante capire la differenza tra di essi. Il termine greco eulogeō (in Ebraico barak) è usato quando si dà una benedizione personale a qualcuno, come fece Gesù quando, presili in braccio [i bambini], li benedisse, imponendo loro le mani.7 È usato anche quando uno benedice Dio (Benedetto sia il Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo).8 Questa parola è anche usata nelle prime opere cristiane, in riferimento a chi prega Dio di benedire qualcuno. Non è questa la parola usata per “beati” nelle Beatitudini. In questo caso, invece, la parola usata è makarios, che corrisponde al significato della parola ebraica esher. Questi termini e altri affini a essi non fanno parte di una preghiera, né invocano una benedizione. Riconoscono invece uno stato già esistente di felicità o buona fortuna.9
Kenneth Bailey spiega:
“Makarios” afferma un tipo di spiritualità già presente. […] In termini concreti potremmo dire: “Beata è la felice figlia di Mr. Jones perché erediterà la sua fattoria”. La donna in questione è già la felice figlia di Mr. Jones. Non si sta adoperando per ereditare la fattoria. Tutti sanno che un elemento chiave della sua vita felice e sicura è che lei e la comunità che la circonda sanno che un giorno la fattoria sarà sua. La prima affermazione identifica uno stato di felicità già esistente, la seconda dichiara un futuro che le permette già adesso di condurre una vita felice.10
Alcuni traduzioni bibliche rendono makarios con “felice” o “fortunato”, altre con “beato”. Anche se tutte trasmettono il significato di makarios, e probabilmente “beato” è il modo migliore di tradurlo, il senso che vuole dare potrebbe essere meglio affermato con “andrà tutto bene per….” o “il favore di Dio è su…”. In questo contesto, le Beatitudini di Gesù vogliono affermare che tutto andrà bene per quelli che cercano prima il regno di Dio, perché il favore divino è su di loro.11
Ogni Beatitudine ha lo stesso formato con qualche variante: beati (quelli che)… perché…. La prima e l’ultima beatitudine terminano con la stessa clausola – perché di loro è il regno dei cieli – che fa da cornice o fermalibri per le Beatitudini poste in mezzo. È uno schema letterario detto inclusione e significa che tutto ciò che è incluso tra due parentesi (due frasi) appartiene allo stesso tema, in questo caso il regno di Dio.
Ogni Beatitudine all’interno di questa parentesi termina con una promessa per il futuro: saranno consolati, erediteranno la terra, saranno saziati, otterranno misericordia, vedranno Dio, saranno chiamati i figli di Dio. Le promesse della prima e dell’ultima beatitudine hanno il verbo al presente – perché loro è il regno di Dio – mentre le benedizioni nei versetti intermedi hanno il verbo al futuro. Comunque, dato che sono inclusi nella parentesi costituita dai due versetti che parlano del regno, tutto ciò che sta in mezzo va visto alla luce dell’arrivo del regno. Queste benedizioni, quindi vanno considerate come destinate al presente e al futuro, proprio come il regno è sia presente sia futuro.12
Le benedizioni delle Beatitudini sono date nel contesto di un regno già arrivato e chi le riceve è già sotto il regno benefico di Dio. I vantaggi di essere il popolo di Dio possono essere raccolti già in questa vita, anche se la pienezza della benedizione rimane nel futuro.13 Queste benedizioni sono per chi erediterà il regno e, anche se non lo si afferma specificamente, è sottinteso che le benedizioni racchiuse nelle Beatitudini vengono da Dio.
Diamo uno sguardo alle singole Beatitudini.
Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.14
Cosa significa “poveri in spirito”? Ai tempi di Gesù e in quella cultura, un filone importante del pensiero ebraico aveva sviluppato uno stretto collegamento tra la povertà e la devozione, al punto che questi due concetti erano uniti nel termine ebraico anawim. In Ebraico, anayyin per “poveri” e anawim per “umili/mansueti” erano usati per descrivere “i poveri uomini di Dio, i santi afflitti”.15 È di questi poveri/afflitti/umili che parlava Gesù quando citò dal libro di Isaia nella sinagoga di Nazareth: Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché mi ha unto per evangelizzare i poveri.16
“Poveri in spirito” non si riferisce soltanto alla povertà materiale, ma nemmeno solo a quella spirituale; si richiama ai poveri/mansueti/umili/afflitti dei Salmi, alcuni dei quali ebbero effettivamente delle difficoltà materiali, ma furono anche presentati soprattutto come il popolo fedele di Dio – umilmente dipendenti dalla sua protezione.17 Alcune parole ebraiche tradotte con “povero” possono anche significare “umile”, “modesto”. Per esempio:
Meglio essere umile di spirito con i miseri, che spartire la preda con i superbi.18
La parola tradotta “miseri” in questo versetto può essere intesa anche come “umile”, afflitto” o “mansueto”.
I poveri in spirito sono le persone umili, mansuete, dipendenti da Dio, che riconoscono in Lui la loro speranza. Lo vediamo in versetti come:
Su chi dunque volgerò lo sguardo? Su chi è umile, ha lo spirito contrito e trema alla mia parola.19 Così dice l’Alto e l’Eccelso, che abita l’eternità, e il cui nome è “Santo”: «Io dimoro nel luogo alto e santo e anche con colui che è contrito e umile di spirito».20 I poveri di spirito sono quelli che riconoscono la loro inadeguatezza spirituale e la loro peccaminosità, e quindi confessano di aver bisogno di Dio.
Nel Sermone che Gesù stava predicando, i poveri in spirito sono quelli che credono in Lui. Il regno di Dio, il vivere in esso, è la benedizione data a chi, riconoscendo il proprio bisogno di Dio, inizia un rapporto con Lui attraverso Gesù.
Beati coloro che fanno cordoglio, perché saranno consolati.21
Anche se il cordoglio di cui si parla qui non è il lutto – il dolore che si prova per la morte di una persona cara – è pur sempre un’espressione di dolore. Troviamo un accenno al significato del cordoglio, così come è usato nella seconda beatitudine, nel secondo capitolo di Gioele, dove è tradotto come “lamenti”:
«Perciò ora», dice l’Eterno, «tornate a me con tutto il vostro cuore, con digiuni, con pianti e con lamenti». Stracciate il vostro cuore e non le vostre vesti e tornate all’Eterno, il vostro Dio, perché egli è misericordioso e pieno di compassione, lento all’ira e di grande benignità.22
Anche Giacomo, fratello di Gesù, dà qualche indicazione del significato del cordoglio:
Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi; nettate le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o voi dal cuore doppio! Affliggetevi, fate cordoglio e piangete; il vostro riso si cambi in duolo e la vostra gioia in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore, ed Egli vi innalzerà.23
Il cordoglio di cui si parla qui ha a che fare con il dolore per il peccato – sia nostro sia di altri. Come nella prima beatitudine ha a che fare con il bisogno di Dio alla luce della nostra peccaminosità. Nel nostro desiderio di amare Dio, riconosciamo che i nostri peccati hanno frapposto delle barriere nel nostro rapporto con Lui; di conseguenza i nostri peccati ci addolorano e ci fanno provare cordoglio e dolore. Il danno ai rapporti tra noi e Dio, oltre che con gli altri, il tributo emotivo e le conseguenze dei nostri peccati dovrebbero farci provare cordoglio e spingerci a chiedere perdono e guarigione.
Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte.24
Gesù si addolorò per il destino di Gerusalemme:
Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!25
Così siamo invitati ad addolorarci per la condizione peccaminosa del nostro mondo, con le sue guerre, le morti, le crudeltà, la disumanità dell’uomo verso l’uomo, la mancanza di preoccupazione per i poveri e i bisognosi, l’egoismo, l’arroganza, l’orgoglio e l’incredulità. Vedere queste cose dovrebbe motivarci sia a pregare per chi soffre e ha bisogno sia a mettere in azione le nostre preghiere, contribuendo ad alleviare i bisogni secondo le nostre possibilità – specialmente aiutando gli altri ad arrivare a un rapporto con Dio attraverso Gesù, che è la chiave per ricevere la consolazione che ci è stata promessa.
In questo mondo siamo confortati dal perdono divino per i nostri peccati. Sia in questa vita sia nell’eternità troviamo conforto quando Dio diventa nostro Padre e noi suoi figli; quando abbiamo un rapporto amorevole con Lui; quando entriamo nella sua basileia (il regno); e quando viviamo la nostra vita nella sua misericordia e nella sua grazia. In qualsiasi circostanza – nonostante le pene, la perdita di una persona cara, la fine di una relazione, una perdita finanziaria, la perdita del lavoro o della salute, o qualsiasi altra cosa che ci provochi cordoglio – troviamo conforto in Lui. C’è una promessa per i credenti: che nel nostro cordoglio, che sia dovuto ai nostri peccati, alle nostre perdite o ai peccati del mondo, possiamo aspettarci di essere confortati. Non è la promessa che ogni credente troverà un conforto totale in questa vita, ma che ci sarà conforto per l’eternità.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio né grido né fatica, perché le cose di prima son passate.26
Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra.27
La parola originale greca tradotta con “mansueto” è praus, definita come “mitezza di carattere, dolcezza di spirito, mansuetudine”. Dolcezza o mansuetudine è l’opposto di altezzosità e perseguimento del proprio interesse. Nasce dalla fiducia nella bontà di Dio e nel suo controllo sulla situazione. In questa terza beatitudine, vediamo di nuovo un riferimento agli anawim del Vecchio Testamento: i poveri e i mansueti. Sono quelli di cui si parla nel salmo 37, che è alla base di questa beatitudine:
I mansueti possederanno la terra e godranno di una grande pace.28
In rapporto al discepolato, i mansueti o i gentili di spirito sono quelli che non insistono nel fare a modo loro, perché ripongono la loro fiducia in Dio. Riconoscono di dipendere da Lui. La mansuetudine non è debolezza; non vuol dire essere uno zerbino. La mansuetudine è il desiderio controllato di vedere l’interesse di un altro avere la precedenza sul proprio.29 Ne vediamo alcuni esempi nel Vecchio Testamento: in Abraamo, che permise a Lot di decidere in che terra avrebbe abitato;30 in Mosè, che era un uomo molto mansueto, più di chiunque altro sulla faccia della terra;31 in Davide, che, anche se unto per essere re, sopportò pazientemente le azioni ostili di Saul, rifiutando allo stesso tempo di alzare un dito contro di lui e aspettando che arrivasse il momento stabilito da Dio per diventare re. Poi naturalmente c’è l’esempio di Gesù, che disse: Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime.32 Tutta la sua vita fu condotta in ubbidienza e fiducia nei confronti di suo Padre.
Anche se la mansuetudine, o dolcezza di spirito, si riflette nelle nostre interazioni con gli altri, la sua base sta nella dipendenza da Dio e nella nostra fiducia in Lui. Quando cerchiamo veramente la sua volontà, possiamo confidare pienamente e dipendere da Lui per i risultati, invece di esigere quello che desideriamo o insistere per averlo. Quando abbiamo una fiducia del genere, possiamo affrontare con fede le situazioni, invece di cercare di manipolare le cose a nostro vantaggio o esigere che gli altri cedano davanti a noi.
Noi che abbiamo Dio come Padre, che siamo stati adottati nella sua famiglia grazie al sacrificio di Gesù, siamo coeredi con Cristo.
Poiché tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Voi infatti avete ricevuto lo Spirito di adozione per il quale gridiamo: «Abba, Padre». Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo.33
Come credenti, grazie all’amore e alla grazia di Dio, erediteremo la terra.
(Parleremo ancora delle Beatitudini nel prossimo articolo.)
Nota
Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.
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1 Matteo 5,1–2 NR.
2 Giobbe 33,1–2; Daniele 10,16; Atti 8,35; 10,34.
3 Matteo 5,3–10.
4 Salmi 1,1.
5 Salmi 41,1.
6 Salmi 84,5. Altri versetti del VT: Salmi 32,2; 40,4; 89,15; 94,12; 106,3; 119,1–2; 146,5; Proverbi 3,13; 8,34; 28,14; Geremia 17,7.
7 Marco 10,15–16.
8 1 Pietro 1,3.
9 Raymond Brown, The Gospel According to John, Anchor Bible (Garden City, NY: Doubleday, 1970).
10 Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 68.
11 Keener, The Gospel of Matthew, 166.
12 Per altre informazioni sul regno di Dio sia presente sia futuro, vedi Gesù — la sua vita e il suo messaggio: il regno di Dio, parte 1.
13 France, The Gospel of Matthew, 164.
14 Matteo 5,3.
15 Thomas M. Tehan, David Abernathy, An Exegetical Summary of the Sermon on the Mount, 2a ed. (Dallas: SIL International, 2008), 14–15.
16 Luca 4,18–19; Isaia 61,1.
17 Poveri: Salmi 12,5; 34,6; 72,12; Mansueti/umili: Salmi 37,7; 18,27; 25,9; 69,32; 147,6; 149,4; Afflitti: Salmi 10,17; 22,24; 82,3; 140,12.
18 Proverbi 16,19.
19 Isaia 66,2.
20 Isaia 57,15.
21 Matteo 5,4.
22 Gioele 2,12–13.
23 Giacomo 4,8–10.
24 2 Corinzi 7,10 NR.
25 Matteo 23,37.
26 Apocalisse 21,4.
27 Matteo 5,5.
28 Salmi 37,11.
29 Carson, Sermon on the Mount, 20.
30 Genesi 13.
31 Numbers 12,3.
32 Matteo 11,29.
33 Romani 8,14–17.
Pubblicato originariamente in Inglese l’11 agosto 2015.
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