Di Peter Amsterdam
Agosto 6, 2016
[More Like Jesus: Introduction and Background—Part 1]
Una delle mie canzoni preferite è “Voglio essere più simile a Gesù”. Ogni volta che l’ascolto o la canto, mi torna in mente un aspetto fondamentale della mia fede. È come una breve preghiera che abbraccia una parte importante del nostro percorso di fede come Cristiani: lo sviluppo della somiglianza a Gesù nella nostra vita.
Prendi le cose che mi ostacolano,
prendi il mio orgoglio e la mia vanità,
aiutami a capirti,
insegnami ad amarti.
Prendi il mio egoismo e la mia ipocrisia
aiutami a vivere con semplicità.
Aiutami a bruciare i miei ponti
metti la tua Parola in me.
Prendi il mio dolore e il vuoto che c’è in me.
Liberami da ogni mondanità
Prendi le catene che mi legano
Stringimi fra le tue braccia.
Ritornello:
Voglio essere più simile, voglio essere più simile a Gesù
Voglio essere più simile, devo essere più simile a Te.
(Parole di Mylon Lefevre, adattate da Sam Halbert)
Non sono parole bellissime? Penso che vogliamo tutti essere più simili a Gesù – avere nella nostra vita una maggior quantità della sua bontà e della sua carità, e meno dei pesi e dei peccati che ci ostacolano. Anche se noi Cristiani siamo perdonati perché abbiamo accettato il sacrificio di Gesù, non per ciò smettiamo automaticamente di peccare, di sperimentare gli effetti del peccato nella nostra vita e di influenzare gli altri con i peccati che commettiamo. La nostra salvezza, la riconciliazione con Dio che riceviamo grazie al sacrificio di Gesù sulla croce, non vuole soltanto influenzare la nostra vita nell’aldilà; vuole anche trasformare la vita che conduciamo oggi, ogni giorno.
È all’interno di questa trasformazione quotidiana, questo diventare più simili a Cristo, che cominciamo a sperimentare in qualche modo la vita che Dio aveva originariamente inteso che l’umanità avesse prima che il peccato facesse il suo ingresso nel mondo. Mediante questa trasformazione sviluppiamo con il nostro Creatore il rapporto che dovevamo avere e quindi proviamo più gioia, pace, felicità e soddisfazione, perché abbiamo una maggior comprensione di Dio e un rapporto più completo con Lui.
Il nostro scopo principale come Cristiani è di vivere da quel popolo di Dio che le Scritture dicono che siamo. Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove. In questa serie esamineremo i modi e mezzi per vivere e crescere nella somiglianza di Cristo,1 ripassando gli esempi della vita di Gesù e ciò che Lui e i suoi primi seguaci ci hanno insegnato sul vivere come nuove creature in Cristo.
Questa serie, “Più simili a Gesù”, consisterà di diversi articoli, ognuno dei quali toccherà un elemento della somiglianza a Cristo e della natura del Cristiano.
Per comprendere meglio il concetto di essere più simili a Gesù, è utile esaminare alcuni aspetti del Vecchio Testamento, dei Vangeli e delle Epistole. Collegare i punti di riferimento all’interno delle Scritture può contribuire a dare una comprensione più profonda dell’importanza di imitare Cristo.
Uno degli intrecci principali che si sviluppano nel Vecchio Testamento è l’idea che il rapporto di Dio con l’umanità è un patto, un’alleanza.3
Le Scritture ci dicono che il Creatore di tutte le cose fece un patto con l’umanità che aveva creato. Ecco come lo spiegano:
Così Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. E Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fruttiferi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e sopra ogni essere vivente che si muove sulla terra». E Dio disse: «Ecco io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra e ogni albero che abbia frutti portatori di seme; questo vi servirà di nutrimento. E a ogni animale della terra, a ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra ed ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento». E così fu.4
Più tardi Dio rinnovò il suo patto universale con l’umanità quando disse a Noè:
«Quanto a me, ecco io stabilisco il mio patto con voi e con la vostra progenie dopo di voi, e con tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra con voi, da tutti quelli che sono usciti dall’arca a tutti gli animali della terra. Io stabilisco il mio patto con voi: nessuna carne sarà più sterminata dalle acque del diluvio, e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra».5
Dio poi fece un patto preciso con Abraamo, dicendogli che da lui avrebbe fatto nascere una nazione forte e che in lui tutte le famiglie della terra sarebbero state benedette.
Or l’Eterno disse ad Abramo: «Vattene dal tuo paese, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione. E benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà; e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra».6
«Quanto a me, ecco io faccio con te un patto: tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni. E non sarai più chiamato Abramo, ma il tuo nome sarà Abraamo, poiché io ti faccio padre di una moltitudine di nazioni».7
Secoli più tardi, Dio liberò i discendenti di Abraamo dalla schiavitù e dall’oppressione in Egitto e grazie a ciò essi divennero il suo popolo secondo il patto.8 Avendo sottoscritto il patto con Dio, c’erano alcune cose che il popolo ebraico doveva fare per rispettare il suo lato dell’accordo. La storia generale narrata nel resto del Vecchio Testamento è che Dio rimase continuamente fedele al patto, nonostante le costanti infrazioni da parte di Israele.
Poiché Israele aveva un patto con un Dio santo, era previsto che si mantenesse anch’esso santo. Dovevano essere una “riunione sacra”.9 La santità implicava l’ubbidienza a Dio – un’ubbidienza data per amore e gratitudine.
Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza.10 Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che significano questi precetti, statuti e decreti, che l’Eterno, il nostro Dio, vi ha comandato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del Faraone in Egitto e l’Eterno ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Inoltre l’Eterno operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e tremendi contro l’Egitto, contro il Faraone e contro tutta la sua casa”.11
Per il popolo ebreo la rettitudine comportava ubbidienza; ciò significava il mantenersi separati da ciò ch’era ritenuto impuro, non adorare altri dei ed essere consacrati ad uso di Dio. Oltre a incentrare la loro vita secondo i mandati divini, ciò significava anche il vivere come una comunità della fede.
Lo scrittore Stanley Grenz ha scritto:
Essere il popolo di Dio, comunque, non significava solo vivere secondo i suoi dettami. L’alleanza con Dio esigeva che Israele fosse una comunità santa, un popolo che sapeva che il patto doveva tradursi in una giusta condotta verso gli altri. La vita santa si estendeva a tutte le dimensioni delle interazioni umane, compresi aspetti tanto diversi come la vita in famiglia e il commercio. La Santità poi esigeva la preoccupazione per i meno fortunati; poneva limiti alla vendetta;12 e richiedeva perfino la giusta cura degli animali.13 […] La santità non aveva a che fare esclusivamente con l’ubbidienza cieca a una serie di leggi imposte dall’esterno, come fine a se stesse. Comportava invece la seria responsabilità implicata nel ricevere il dono della grazia divina.14
Essere la controparte del patto con Dio significava condurre una vita modellata su Dio e le sue interazioni con Israele. Con le sue parole, Dio rivelò il suo carattere a Israele che così imparò che Lui era fedele, santo, giusto e misericordioso. Lui si presenta come “l’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato”.15 Il profeta Michea disse: O uomo, egli ti ha fatto conoscere ciò che è bene; e che altro richiede da te l’Eterno, se non praticare la giustizia, amare la clemenza e camminare umilmente col tuo Dio?16
Poiché Dio aveva rivelato il suo carattere al popolo del patto, questo doveva imitare Lui. Dovevano essere santi, giusti, misericordiosi, amorevoli e pronti al perdono.
Il popolo ebraico aspettava con ansia il momento in cui Dio avrebbe agito in suo soccorso, come dicevano le Scritture. Dio realizzò queste aspettative mandando Gesù e mediante la sua vita, morte e risurrezione stabilì un nuovo patto.
Poi, preso il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Così pure, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è sparso per voi».17
Questo nuovo patto era stato predetto nel libro di Geremia:
«Ecco, verranno i giorni», dice l’Eterno, «nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi violarono il mio patto, benché io fossi loro Signore», dice l’Eterno. «Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d’Israele dopo quei giorni», dice l’Eterno: «Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. […] Poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato».18
Ai tempi di Gesù i farisei sostenevano che essere giusti e santi richiedeva la stretta osservanza della Legge data da Dio e che il popolo di Dio era composto da chi seguiva rigidamente la Legge. Si concentravano sulla lettera della Legge, senza prestare la giusta attenzioni ai principi di amore, misericordia, perdono ecc. che la guidavano. Credevano che Dio fosse contento perché ubbidivano alle regole della pietas ebraica e seguivano la Legge alla lettera. Gesù non era d’accordo. Lui proclamava che il popolo di Dio non erano le persone con l’apparenza di essere giuste per la loro stretta osservanza della Legge, ma quelli che si erano pentiti, che sapevano di essere dei peccatori, si dispiacevano delle loro trasgressioni e chiedevano umilmente misericordia e perdono a Dio. Dio accetta queste persone e rifiuta gli orgogliosi che affermano di non avere bisogno di perdono. Sottolineò che non possiamo meritarci il favore divino con le cose che facciamo; non possiamo renderci giusti agli occhi di Dio. La nostra giustizia, invece, viene da Dio ed è liberamente conferita mediante una grazia incondizionata.
Mentre i farisei dei suoi giorni sentivano che i gesti esteriori di ubbidienza alla Legge erano la chiave per la giustizia, Gesù poneva la sua attenzione a ciò che stava dentro, alle condizioni del cuore. Si preoccupava del carattere, della motivazione e del cuore. Sapeva che bisognava porre rimedio al problema “interiore”, che il segno di una vera ubbidienza e di un vero amore per Dio erano la pietà interiore e la giusta motivazione, non la semplice conformità esteriore alla Legge. La chiave per rimediare al problema “interiore”, per diventare giusti, era la salvezza mediante la morte sacrificale di Gesù. La giustizia è un dono di Dio, datoci per grazia mediante il sacrificio di suo Figlio. Questo dono della grazia, però, non è la fine della storia, è solo l’inizio. Mediante il sacrificio di Gesù, i credenti possono diventare il popolo di Dio, controparte del nuovo patto. In segno di gratitudine per ciò che Dio ha fatto per noi mediante Gesù, c’è l’attesa che rifletteremo Dio nel nostro mondo, che vivremo in maniera da glorificarlo. È qui che entra in scena come si vivono gli insegnamenti di Gesù.
Come il popolo ebreo del Vecchio Testamento, conosciamo il carattere di Dio che ci è stato rivelato. Oltre a ciò, comunque, abbiamo la vita di Gesù – Dio incarnato – come ulteriore esempio dell’amore, della misericordia e della bontà divina. Con i suoi insegnamenti e il suo esempio, Gesù rivelò ulteriori verità su Dio. Predicò il regno di Dio, c’insegnò a comprendere Dio come nostro Padre e visse come puro riflesso di suo Padre.
Nei Vangeli scopriamo che Gesù indicò il proprio esempio come modello per una vita pia. Per esempio, sfidò gli apostoli ad amarsi gli uni gli altri seguendo il modello del suo amore per loro. Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri.19 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi.20 Esemplificò la sottomissione alla volontà di suo Padre, che finì per portarlo alla croce. Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice; tuttavia, non come io voglio, ma come vuoi Tu.21
Gesù indicò la vita che desiderava i suoi discepoli seguissero mediante gesti simbolici, come nell’occasione in cui lavò loro i piedi. Gesù prese dell’acqua e un asciugatoio e lavò i piedi a ogni discepolo, un compito che normalmente sarebbe toccato a un servo all’arrivo di un ospite in casa.22 Alla fine annunciò la natura simbolica del suo gesto:
Comprendete quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Io infatti vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io facciate anche voi.23
Quando i suoi discepoli discutevano su chi dovesse essere considerato il più grande, Gesù disse loro:
I re delle nazioni le signoreggiano, e coloro che esercitano autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma con voi non sia così; anzi il più grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve. Chi è infatti più grande, chi siede a tavola, o colui che serve? Non è forse colui che siede a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve.24
Il messaggio di Gesù non riguardava semplicemente i gesti specifici che aveva fatto; era più profondo. Non raccomandava la semplice imitazione di suoi gesti, ma affermava che i suoi discepoli devono avere un tipo di devozione che li connette a Lui a un livello più profondo. Dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, non li ammonì semplicemente ad amare come avevano visto fare a Lui. Invece disse: Come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri.25 Dovevano amare come Lui aveva amato loro. Ognuno di loro aveva sperimentato il suo amore direttamente e personalmente; dovevano amare gli altri con quello stesso amore.
La motivazione a essere più simili a Gesù non nasce dall’ammirazione di un personaggio storico che vogliamo emulare. È uno sbocco naturale di gratitudine e di amore per Lui, il cui amore abbiamo sperimentato personalmente.
Come spiega Stanley Grenz:
Non lo vediamo solo come il personaggio principale di una storia di un’epoca passata, sulla cui vita possiamo riflettere e da cui possiamo trarre delle istruzioni. Invece, ci ha amato e ha sacrificato la vita per noi. Davanti a questa esperienza personale del grande amore di Gesù, ci sentiamo costretti a rispondere con gratitudine e amore. Perciò, invece di limitarci a modellare la nostra vita sulla sua, instauriamo in rapporto con Lui. In questo rapporto desideriamo vivere come vorrebbe Cristo, cioè avere Cristo formato dentro di noi.26
La morte di Gesù sulla croce ha cambiato radicalmente la nostra vita, ha salvato la nostra anima e ci ha permesso di avere un rapporto con Dio, con il quale passeremo l’eternità. La gratitudine e l’amore per come Gesù ha dato la vita per noi perché potessimo far parte della famiglia di Dio è il motivo determinante per voler essere simili a Lui.
Nella seconda parte di questa “Introduzione e contesto”, vedremo come questo concetto viene espresso nelle Epistole.
Nota
Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.
1 2 Corinzi 5,17.
2 Il resto di questo articolo è un riassunto del capitolo tre del libro di Stanley J. Grenz’s book, The Moral Quest (Downers Grove: IVP Academic, 1997).
3 Un patto è generalmente inteso come un accordo solenne e vincolante per tutte le parti interessate. Dio ha fatto diversi patti con l’umanità, con alcuni individui e con il popolo ebraico. I patti che fece al momento della creazione e in seguito con Noè erano patti universali che riguardavano tutta l’umanità. Il patto che fece con Abraamo aveva una natura personale, tuttavia richiedeva che Abraamo facesse alcune cose specifiche; se le avesse fatte, i suoi discendenti, in modo specifico, e l’umanità in generale sarebbero stati benedetti. Il patto che Dio fece con gli Israeliti era un cosiddetto “trattato di protettorato”, piuttosto comune nel Vicino Oriente ai tempi dell’Esodo. Questo trattato o patto aveva luogo quando un re più potente stipulava un accordo con un re minore (o un vassallo). Un tale documento indicava le parti ed elencava i decreti del sovrano: ordini specifici sul comportamento del re vassallo e del suo popolo, comprese l’alleanza esclusiva al sovrano e le leggi che questi voleva che il vassallo osservasse. Ciò era seguito da benedizioni in caso di ubbidienza e da punizioni in caso di disubbidienza. Tutti questi aspetti sono presenti nel patto che Dio fece con gli Israeliti. Indicò il suo nome: “Io sono l’Eterno, il tuo Dio”; disse loro ciò che aveva fatto: “che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù”; poi diede i suoi comandamenti, alcuni dei quali comportavano eventuali sanzioni. Il primo comandamento esigeva un accordo di lealtà assoluta, mentre gli altri indicavano le forme che quella lealtà avrebbe dovuto avere.
4 Genesi 1,27–30.
5 Genesi 9,9–11.
6 Genesi 12,1–3.
7 Genesi 17,4–5.
8 Camminerò tra di voi e sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo (Levitico 26,12).
9 Il primo giorno avrete una riunione sacra, e un’altra il settimo giorno. Non si faccia nessun lavoro in quei giorni; si prepari soltanto quello che è necessario a ciascuno per mangiare, e non altro (Esodo 12,16 NR).
10 Deuteronomio 6,5.
11 Deuteronomio 6,20–22.
12 Può fargli dare quaranta colpi, ma non di più, perché, oltrepassando ciò e battendolo con un numero maggiore di colpi, tuo fratello non sia disprezzato ai tuoi occhi (Deuteronomio 25,3).
13 Deuteronomio 22,1–4.
14 Grenz, The Moral Quest, 99.
15 Esodo 34,6–7.
16 Michea 6,8.
17 Luca 22,19–20.
18 Geremia 31,31–33.34.
19 Giovanni 13,34.
20 Giovanni 15,12.
21 Matteo 26,39.
22 Giovanni 13,1–11.
23 Giovanni 13,12–15.
24 Luca 22,25–27.
25 Giovanni 13,34.
26 Grenz, The Moral Quest, 116.
Pubblicato originariamente in inglese il 5 gennaio 2016.
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