Gesù – la sua vita e il suo messaggio: il sermone sul monte

Di Peter Amsterdam

Febbraio 28, 2017

(Puoi leggere lo scopo di questa serie e una sua veduta d’insieme in questo articolo introduttivo.)

Non giudicate

[Jesus—His Life and Message: The Sermon on the Mount, Judge Not]

Spostandoci al capitolo 7 di Matteo, l’ultimo capitolo del Sermone sul Monte, leggiamo che Gesù dice ai suoi discepoli di non giudicare gli altri. Lo afferma, dicendo:

Non giudicate, affinché non siate giudicati. Perché sarete giudicati secondo il giudizio col quale giudicate; e con la misura con cui misurate, sarà pure misurato a voi.1

Gesù accenna a una caratteristica negativa comune a molte persone, compresi, purtroppo, molti Cristiani: quella di criticare e giudicare gli altri. Ci invita a distinguere tra il discernimento morale e la condanna personale. Sapere la differenza tra il bene il male porta naturalmente a riconoscere i difetti in noi stessi e negli altri. Qui, comunque, l’attenzione è tutta sul nostro atteggiamento verso la colpe e i peccati degli altri. È un avvertimento a non giudicare severamente gli altri per i loro errori e le loro mancanze.

La parola greca krino, tradotta con giudicare, ha una certa gamma di traduzioni possibili; può significare discernere, giudicare secondo la legge, essere critici o condannare (con un giudizio legale o altrimenti). Il significato della parola dipende dal contesto in cui è usata. In questo caso, giudicare significa lasciarsi andare a giudizi, adottare un atteggiamento di condanna.2 Vediamo questo stesso significato nell’epistola ai Romani:

Ora tu, perché giudichi il tuo fratello? O perché disprezzi il tuo fratello? Poiché tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. Sta infatti scritto: «Come io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua darà gloria a Dio». Così dunque ognuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. Perciò non giudichiamo più gli uni gli altri.3

Dopo aver parlato contro il giudicare gli altri, Gesù afferma:

Perché sarete giudicati secondo il giudizio col quale giudicate; e con la misura con cui misurate, sarà pure misurato a voi.4

Questo versetto può essere interpretato in due modi: che le persone con un atteggiamento ipercritico saranno a loro volta criticate dagli altri (come succede spesso), oppure che la misura che utilizziamo nei confronti degli altri sarà la stessa che Dio userà con noi.5 È più facile che il significato che si intende dare qui sia il secondo. L’apostolo Paolo afferma lo stesso concetto:

Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile perché in quel che giudichi l’altro, condanni te stesso, poiché tu che giudichi fai le medesime cose. Or noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità su coloro che fanno tali cose. E pensi forse, o uomo che giudichi coloro che fanno tali cose e tu pure le fai, di scampare al giudizio di Dio? 6

Alcuni commentatori della Bibbia usano il termine ipercritico per esprimere l’atteggiamento di riprovazione di cui parla Gesù. John Stott ha scritto:

L’ipercriticismo è un peccato composto di parecchi ingredienti sgradevoli. Non ha il significato di valutare una persona in maniera critica, ma di giudicarla aspramente. La persona ipercritica ha un modo negativo e distruttivo di trovare colpe negli altri e prova piacere nell’individuare le loro mancanze. Ricostruisce nel peggior modo possibile le loro motivazioni, versa acqua fredda sui loro schemi ed è ingenerosa nei confronti dei loro errori. Ancora peggio, essere ipercritici vuol dire atteggiarsi a censori e quindi rivendicare la competenza e l’autorità di sedere in giudizio contro il prossimo. [...] Nessun essere umano è sufficientemente qualificato per essere giudice dei suoi simili, perché non possiamo leggere nel cuore degli altri né valutare i loro motivi. Essere ipercritici significa osare arrogantemente anticipare il giorno del giudizio, usurpare le prerogative del Giudice divino, anzi, cercare di fare la parte di Dio.7

Come Cristiani, siamo tenuti a mettere fine ai nostri atteggiamenti critici, smettere di essere ciechi ai nostri errori e non imporre agli altri degli standard che nemmeno noi possiamo rispettare.

Nell’esortarci a “non giudicare”, Gesù non ci chiede di essere ciechi di fronte all’iniquità e al peccato. Dobbiamo riconoscere il peccato, in noi stessi e negli altri. Comunque, Gesù fa una differenza tra il discernimento morale e la condanna degli altri. Dobbiamo discernere tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, il peccato e la rettitudine, ma è una cosa molto diversa dal condannare e criticare gli altri.

Gesù poi offre un’illustrazione che chiarisce questo punto, dicendo:

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Ovvero, come puoi dire a tuo fratello: "Lascia che ti tolga dall’occhio la pagliuzza", mentre c’è una trave nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello.8

Questa immagine piuttosto umoristica illustra graficamente il concetto che viene espresso. Per nostra stessa natura vediamo le colpe degli altri più chiaramente delle nostre. Siamo pronti a giudicare gli altri, mentre in realtà i nostri peccati e le nostre colpe sono spesso più grandi delle loro. L’illustrazione di uno che cerca di togliere un minuscolo frammento di paglia dall’occhio di un altro, mentre ha una trave enorme nel proprio, dimostra l’assurdità e la sconvenienza di attirare l’attenzione sulle mancanze e i peccati degli altri, o di ritenerci in una posizione tale da far notare quelle colpe mentre, molto spesso, le nostre sono molto più grandi.

Possiamo trovare un esempio di qualcuno che esprimeva giudizi pur avendo una trave nel proprio occhio in un incidente avvenuto durante la vita di Re Davide. Dopo essere stato a letto con Bath-sceba, moglie di Uria, un soldato nel suo esercito, e averla messa incinta, Davide organizzò le cose in modo che suo marito ritornasse a Gerusalemme dal fronte – con l’idea che dormisse con lei e quindi le colpe di Davide rimanessero nascoste. Quando Uria rifiutò nobilmente di andare a letto con sua moglie perché i suoi compagni al fronte dormivano nelle tende o all’aperto e continuavano a combattere, Davide lo rimandò in guerra e sistemò tutto in modo che il capo dell’esercito mandasse Uria dove la battaglia era più fitta, così che venisse ucciso. Poco dopo la morte di Uria, Davide sposò Bath-sceba. Davide era colpevole di adulterio e di omicidio. Il profeta Natan si presentò davanti a lui e gli raccontò di un ricco che aveva molte greggi e di un povero che aveva un’unica pecora – una pecorella che amava così tanto che le permetteva di mangiare dal suo piatto e di bere dalla sua tazza, trattandola come una figlia. Quando il ricco ricevette a casa sua un ospite, non volle prendere una delle sue pecore per dargli da mangiare. Prese invece la pecora del povero, la fece macellare e preparare per il pranzo. Udendo questo, Davide s’infuriò e disse: “L’uomo che ha fatto questo merita di morire”. Al che Natan proclamò: “Tu sei quell’uomo!”9

Possiamo avere lo stesso punto debole di Davide. Possiamo condannare apertamente i peccati degli altri e allo stesso tempo essere inconsapevoli di quelli che tendiamo a commettere noi. L’atteggiamento contro cui ci ammonisce Gesù è quello di quando ci troviamo a porre tutta l’attenzione sugli occhi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle spirituali pur avendo una trave di peccato che sporge dai nostri. Non dobbiamo essere critici, negativi e distruttivi nei confronti degli altri, sentendoci giustificati nel sederci in giudizio contro di loro.

Ciò non significa che non dobbiamo mai stabilire che le azioni di qualcuno sono sbagliate. Gesù disse che dobbiamo togliere la trave dal nostro occhio e solo allora ci vedremo abbastanza bene da togliere la pagliuzza dall’occhio del nostro fratello credente. Noi che vogliamo aiutare un fratello o una sorella dobbiamo prima occuparci di qualsiasi trave esista nella nostra vita. Solo dopo aver fatto questo siamo in grado di portare un aiuto spirituale ad altri. Non ci viene detto di non correggere mai qualcuno, di non parlargli mai di qualche peccato nella sua vita né di evitare di giudicare a volte quando qualcuno si è sviato. Gesù ha detto che dopo aver tolto la trave dal nostro occhio ci vedremo abbastanza bena per togliere la pagliuzza dall’occhio di [nostro] fratello.

“Non giudicare” non significa che i Cristiani debbano astenersi dal valutare spiritualmente gli altri. Ci viene detto che se un altro credente pecca contro di noi dobbiamo andare a parlargli da soli; se non ascolta, dobbiamo parlargli di nuovo alla presenza di altri. Se rifiuta ancora di ascoltare, allora dovremmo parlarne a tutta la chiesa; se continua a rifiutarsi di ascoltare, allora dovrebbe essere visto come un pagano.10 Gesù disse ai suoi discepoli di stare attenti agli insegnamenti degli scribi e dei farisei; e disse anche: Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia.11 L’apostolo Paolo disse ai Cristiani: Vi esorto a guardarvi da quelli che fomentano le divisioni e gli scandali contro la dottrina che avete appreso, e tenetevi lontani da loro.12 Questi sono tutti giudizi, ma sono basati sul discernimento e sulla verità. Così, quando Gesù disse: “non giudicate” parlava di ipercritica. Anche se ci viene detto di evitare di essere critici, Gesù prosegue dicendo una cosa che conferma che dovremmo essere accorti e a volte dare dei giudizi.

Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con i piedi e poi si rivoltino per sbranarvi.13

È chiaro che Gesù espresse dei giudizi sugli altri, ma venivano da un cuore puro e per i motivi giusti. Si rendeva conto che non tutti sono uguali e che dobbiamo avere discernimento, saper giudicare fra chi ha i motivi e gli atteggiamenti giusti e chi ha quelli sbagliati. La cautela contro il giudicare altri, quando abbiamo una trave enorme nel nostro occhio, non significa che non dovremmo mai giudicare, ma che dobbiamo dare giudizi giusti, con un cuore umile e puro, dopo aver “tolto la pagliuzza dal nostro occhio”. Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate secondo giustizia.14 Chiaramente Gesù giudicò altri secondo giustizia: chiamò Erode Antipa quella volpe15 e gli scribi e farisei ipocriti tombe imbiancate16 e razza di vipere.17 Ammonì contro i falsi profeti: Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci.18

Ai nostri giorni è inopportuno paragonare le persone a cani o porci, ma duemila anni fa in Palestina questa immagine verbale illustrava chiaramente quello che si voleva esprimere. Un Ebreo non avrebbe mai dato da mangiare a un cane ciò che era stato offerto in sacrificio a Dio – e quindi “santo”. A quei tempi non erano animali domestici come lo sono oggi; erano spazzini feroci ed erano pericolosi. I maiali erano considerati animali impuri secondo le Scritture ebraiche. Se uno avesse buttato delle perle ai porci, molto probabilmente questi avrebbero cercato di masticarle, ma dopo averle trovate incommestibili le avrebbero sputate fuori e le avrebbero calpestate nel fango. Il testo originale era molto probabilmente scritto in maniera poetica (una forma nota come chiasmo) e avrebbe spiegato agli ascoltatori di quel tempo che i porci avrebbero calpestato le perle e i cani avrebbero attaccato chi gli offriva cibo santificato.

In contrasto con il non giudicare gli altri mentre abbiamo una trave nel nostro occhio, qui Gesù afferma che a volte dobbiamo giudicare con discernimento. Naturalmente non dobbiamo pensare alle persone o categorizzarle, come porci o cani, perché Dio ama e stima ogni persona; possiamo però applicare il concetto qui espresso, cioè che dobbiamo usare saggezza e discernimento quando parliamo del vangelo ad altre persone. Potrebbero esserci momenti e situazioni in cui parlare del vangelo a qualcuno potrebbe essere imprudente, perché quella persona potrebbe essere ostile nei suoi confronti. O forse il metodo che usereste normalmente per parlarne non funzionerebbe con qualcuno in particolare, perché lo rigetterebbe. In casi del genere le perle, ciò che è santo, le parole di Dio, potrebbero essere canzonate o disprezzate.

Anche se non dovremmo essere critici, dovremmo saper discernere. Su questa falsariga, dovremmo anche renderci conto che alcune persone si oppongono energicamente al vangelo e non vogliono aver niente a che fare con esso. Quando ci accorgiamo che una persona a cui stiamo testimoniando ha un simile atteggiamento, è meglio tirarsi indietro. Inoltre ci sono molti tipi diversi di persone, con personalità, visioni del mondo e contesti culturali diversi, quindi dobbiamo essere amorevoli, saggi e perspicaci nella nostra testimonianza. Anche se cerchiamo di trasmettere la stessa verità evangelica a tutti, dobbiamo riconoscere il bisogno di adattare a ciascuno il modo in cui lo facciamo, per rendergli più facile riceverlo.

Mentre ci avviciniamo alla fine del Sermone, vediamo che Gesù indica molto chiaramente che essere critici nei confronti degli altri è sbagliato. Afferma con decisione che non dobbiamo giudicare. Siamo tutti propensi a farlo, ma Lui ci chiede di sforzarci di evitarlo nella nostra vita. C. S. Lewis ha scritto molto saggiamente:

Astieniti dal pensare alle colpe degli altri, a meno che i tuoi doveri di insegnante o genitore ti rendano necessario farlo. Ogni qualvolta quei pensieri vengono in mente a una persona senza necessità, perché non cacciarli semplicemente via? E pensare invece alle nostre colpe? Perché in quel caso, con l’aiuto di Dio, uno può farci qualcosa.19


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


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1 Matteo 7,1–2.

2 Carson, Jesus’ Sermon on the Mount and His Confrontation with the World, 106.

3 Romani 14,10–13.

4 Matteo 7,2.

5 Carson, Jesus’ Sermon on the Mount and His Confrontation with the World, 107.

6 Romani 2,1–3.

7 Stott, The Message of the Sermon on the Mount, 176–77.

8 Matteo 7,3–5.

9 2 Samuele 11–12.

10 Matteo 18,15–17.

11 Giovanni 7,24.

12 Romani 16,17.

13 Matteo 7,6.

14 Giovanni 7,24.

15 Luca 13,31–32.

16 Matteo 23,27.

17 Matteo 23,33.

18 Matteo 7,15.

19 C. S. Lewis, God in the Dock, capitolo 18: “The Trouble with ‘X’” (San Francisco: Harper One Publishers, 2014).


Pubblicato originariamente in Inglese il 27 settembre 2016.

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