Più simili a Gesù: santità (parte 4)

Di Peter Amsterdam

Aprile 4, 2017

[More Like Jesus: Holiness (Part 4)]

Nelle prime tre parti sulla santità abbiamo visto che Dio è il parametro della bontà e della santità. Ha rivelato la sua volontà morale nella Bibbia; la sua volontà presentata nelle Scritture è un’espressione del suo carattere. Se desideriamo essere più simili a Gesù, cercheremo di vivere in maniera da esprimere il carattere di Dio. Ciò significa fare uno sforzo cosciente per allineare pensieri, desideri, atteggiamenti e azioni a una condotta spirituale, seguendo le indicazioni dateci dalle Scritture.

Quando contravveniamo interiormente o esteriormente alla volontà morale di Dio, pecchiamo. Purtroppo, essendo esseri umani imperfetti lo facciamo su base piuttosto regolare; e quando succede, il nostro peccato influenza il rapporto con il nostro amorevole Creatore. Naturalmente, grazie alla sofferenza e alla morte di Gesù sulla croce, i nostri peccati ci sono stati perdonati; ma ciò non significa che il peccato non influisca su di noi. La salvezza ci ha introdotti nella famiglia di Dio come suoi figli adottivi; esser adottati nella sua famiglia ci dà, in un certo senso, il diritto legale o giuridico di farne permanentemente parte ed entrare in cielo. Avere il diritto di chiamare Dio nostro Padre, però, non è la reale entità del nostro rapporto con Lui.

Grazie all’espiazione dei nostri peccati per mezzo di Gesù, siamo perdonati secondo la legge. La salvezza ci ha liberato dalla condanna eterna per i nostri peccati. Ma c’è un altro aspetto del perdono, che possiamo chiamare relazionale o parentale. Dio è nostro Padre, non solo in maniera legale, ma anche relazionale. Così, quando pecchiamo, anche se la nostra posizione giuridica davanti a Dio non cambia, cambia il nostro rapporto con Lui. Lo scrittore John F. MacArthur1 spiega così il concetto del perdono parentale di Dio, cioè come genitore:

[Dio] si addolora quando i suoi figli peccano. Il perdono di giustificazione si prende cura della colpa giuridica, ma non annulla il suo dispiacere di padre per il nostro peccato. Castiga le persone che ama, per il loro stesso bene (Ebrei 12,5-11). Lasciate che vi spieghi la differenza:

—Il perdono giudiziale si occupa della pena del peccato. Il perdono parentale si occupa delle conseguenze del peccato.

—Il perdono giudiziale ci libera dalla condanna da parte del Giudice giusto e onnisciente che abbiamo offeso. Il perdono parentale ripara il nostro rapporto con un Padre addolorato e dispiaciuto ma amorevole.

—Il perdono giudiziale ci permette di presentarci fermamente in piedi davanti al trono del giudizio divino. Il perdono parentale si occupa dello stato della nostra santificazione in ogni dato momento ed è dispensato dal trono della grazia divina. Così, quello che i Cristiani dovrebbero cercare nel loro cammino quotidiano non è il perdono di un Giudice furioso, ma la misericordia di un Padre addolorato.

Anche se i nostri peccati (passati, presenti e futuri) sono perdonati e noi abbiamo la vita eterna, dobbiamo lo stesso confessarli e chiedere a nostro Padre di perdonarci. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.2 Qui si fa riferimento al perdono parentale. Quando confessiamo i nostri peccati al Signore e gli chiediamo perdono, ripariamo il danno che il peccato ha fatto al nostro rapporto con Lui.

Il nostro desiderio di essere più simili a Gesù ci impone sia di evitare il peccato (andare contro la volontà morale di Dio) sia di confessarlo e chiedere perdono quando pecchiamo. Fa parte della nostra crescita spirituale, fa parte della santificazione. La parola greca tradotta con “confessare”, homologeō, ha alcuni significati diversi, primo tra cui “dire la stessa cosa di un altro, concordare, acconsentire”. Quando confessiamo al Signore i nostri peccati, in pratica concordiamo con quello che Lui dice di essi; riconosciamo che in qualche modo (mediante pensieri, desideri, atteggiamenti o azioni) abbiamo agito contro la sua volontà morale. Concordiamo che abbiamo sbagliato, che siamo in colpa e abbiamo peccato contro di Lui. Ogni peccato alla fin fine è commesso contro di Lui. Ciò non significa che i nostri peccati a volte non siano commessi contro altri e non causino danni a loro – spesso è così – ma alla fine la parte offesa è Dio.

Dio è bontà, amore e santità assoluta; quando pecchiamo, provochiamo una breccia nel rapporto con Lui e, come qualsiasi genitore terreno, anche Lui è ferito da questa offesa. Lo possiamo capire dalla descrizione dei peccati di chi viveva prima del diluvio, come racconta Genesi 6,5-6:

L’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male.E l’Eterno si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.

I nostri peccati ci allontanano dal Padre.

È facile avere l’atteggiamento che il peccato non abbia grande importanza, dato che abbiamo la salvezza e i nostri peccati sono già stati perdonati; ma un atteggiamento simile indica la mancanza di comprensione di ciò che la Bibbia insegna sul peccato e i suoi effetti. Le Scritture ci rivelano che i peccati sono un’offesa contro Dio, anche quelli dei Cristiani. Essere perdonati giudizialmente è un meraviglioso dono di Dio; ma come credenti abbiamo un rapporto con Lui, un rapporto che viene danneggiato quando pecchiamo. Anche se siamo perdonati, possono esserci lo stesso delle conseguenze nella nostra vita o in quella degli altri, a causa dei nostri peccati.

Se vogliamo essere simili a Cristo, se vogliamo ricercare la santità, dobbiamo affrontare la realtà del peccato nella nostra vita e reagire in maniera appropriata. Dio ci ha dato una coscienza, la capacità innata di discernere la differenza tra giusto e sbagliato, e questo ci aiuta a giudicare la moralità di un’azione che abbiamo progettato di fare o che abbiamo già fatto. Come Cristiani, affiniamo la nostra coscienza man mano che ci allineiamo alla volontà morale di Dio, quando concordiamo con ciò che Lui ha rivelato nelle Scritture su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, su ciò che è giusto e santo, su quali azioni rispecchiano la sua natura e il suo essere. Siamo chiamati a seguire le informazioni che la nostra coscienza ricava dalle Scritture e a evitare il peccato per continuare ad avere un rapporto stretto con il Padre.

Poiché siamo esseri umani, non possiamo fare a meno di peccare; ma poiché siamo Cristiani, dobbiamo fare uno sforzo per non danneggiare il rapporto che abbiamo con Dio, facendo del nostro meglio per non peccare. Siamo ammoniti a deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e a rinnovarci nello spirito della nostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.3

Ovviamente, per quanto cerchiamo di non peccare, lo facciamo lo stesso. Quando succede, se abbiamo la giusta comprensione del peccato, proveremo un senso di colpa e di dolore. Danneggiamo il nostro rapporto con Dio e per ripararlo dovremo confessare i nostri peccati. Come abbiamo detto, confessare il peccato significa ammettere di aver agito contro la volontà morale di Dio; sebbene questo sia un primo passo, dobbiamo anche pentirci del peccato che abbiamo confessato e provare contrizione. La contrizione è l’ammissione di responsabilità delle nostre azioni, il riconoscimento del nostro errore, l’avversione al peccato e il pentimento per averlo commesso.

Oltre a confessare e a provare contrizione, un altro elemento per riparare il danno causato dal peccato è il ravvedimento – un cambiamento di atteggiamento, il voltarsi e andare nella direzione opposta. Il ravvedimento richiede un cambiamento nel nostro comportamento, l’impegno a smettere di commettere i peccati fatti fin qui. Non è facile, specialmente quando ci siamo abituati a certi peccati o abbiamo accettato un comportamento peccaminoso come parte della nostra personalità, come, ad esempio, l’impazienza, la mancanza di autocontrollo, l’essere critici, la rabbia, l’egoismo, l’orgoglio, l’ansia, i peccati della parola, le dipendenze e via di seguito. Può essere difficile accettare che queste cose, dato che le Scritture le chiamano peccato, provocano danni al rapporto con Dio e che dobbiamo confessarle, cambiare e smettere di farle, per grazia di Dio. Tutti abbiamo dei peccati che sono diventati abituali, tanto che non li consideriamo quasi più peccati. Il problema è che, in qualsiasi modo li vediamo noi, sono pur sempre peccati.

Se vogliamo essere più simili a Gesù, dobbiamo ammettere i nostri peccati. Non possiamo semplicemente vederli come tratti del nostro carattere o scusarli perché “sono fatto così, non posso cambiare”; né possiamo giustificarli pensando che “è solo una cosetta, non ha poi tanta importanza”. Parte dell’essere simili a Cristo è ammettere quando le cose sono peccati secondo le Scritture, riconoscerli quando li commettiamo, confessarli e chiedere aiuto al Signore per sconfiggerli. Forse non riusciremo a fare attenzione a tutti i nostri peccati allo stesso tempo, specialmente se sono diventati un’abitudine, ma possiamo ammettere di averli, chiedere regolarmente perdono a Dio, fare uno sforzo consapevole e impegnarci a sconfiggerli.

Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica.4


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 John F. MacArthur, The Freedom and Power of Forgiveness (Wheaton: Crossway Books, 1998).

2 1 Giovanni 1,9.

3 Efesini 4,22–24 (CEI).

4 Filippesi 4,13.


Pubblicato originariamente in Inglese il 18 ottobre 2016.

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