Gesù – la sua vita e il suo messaggio: il discepolato (parte 5)

Di Peter Amsterdam

Maggio 22, 2018

[Jesus—His Life and Message: Discipleship (Part 5)]

Nei quattro articoli precedenti sul discepolato, abbiamo preso in esame come il seguire Gesù richiede un riorientamento della nostra vita per dargli la priorità nelle nostre lealtà, nei rapporti personali, nei nostri beni e nei nostri desideri. Ora vedremo come Gesù chiese a noi suoi seguaci di mettere Lui perfino al di sopra della nostra vita.

In ognuno dei Vangeli sinottici leggiamo della sfida che Gesù pose ai suoi discepoli di prendere la loro croce e seguirlo.1 Il Vangelo di Matteo lo dice due volte. La prima volta è nel capitolo 1°, in cui si racconta come Gesù diede alcune istruzioni ai suoi discepoli prima di mandarli a proclamare il messaggio: Andate e predicate, dicendo: “Il regno dei cieli è vicino”.2 Disse loro:

E chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà.3

La seconda volta fu quando Gesù disse ai suoi discepoli che avrebbe sofferto e sarebbe stato ucciso a Gerusalemme.4

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la ritroverà».5

Marco e Luca includono entrambi il secondo caso nei loro Vangeli.6

In questo articolo dedicheremo la nostra attenzione a questa frase nel contesto del decimo capitolo di Matteo. Il capitolo consiste unicamente nelle istruzioni di Gesù ai suoi discepoli. Disse che dava loro autorità sopra gli spiriti immondi per scacciarli, e per guarire qualunque malattia e qualunque infermità.7 Disse loro: Guarite gli ammalati, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.8 I loro bisogni sarebbero stati soddisfatti: Non provvedetevi d’oro, né d’argento, né di rame nelle vostre cinture, né di sacca da viaggio, né di due tuniche, né di calzari, né di bastone, perché l’operaio è degno del suo nutrimento.9

Parlò anche delle difficoltà che avrebbero incontrato a causa sua:

Ma guardatevi dagli uomini, perché vi trascineranno davanti ai loro sinedri e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe. E sarete condotti davanti ai governatori e davanti ai re, per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai gentili.10

Ora il fratello consegnerà a morte il fratello e il padre il figlio; e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome.11

Ora, quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra.12

Se hanno chiamato il padrone di casa Beelzebub, quanto più chiameranno così quelli di casa sua.13

E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella Geenna.14

Dopo aver dato il messaggio molto chiaro che i suoi discepoli avrebbero affrontato persecuzioni, sofferenze e perfino la morte, aggiunse:

E chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà.15

Oggi i Cristiani a volte credono che la terminologia del prendere la propria croce sia intesa metaforicamente, nel senso di avere difficoltà, problemi o pesi che dovranno sopportare a lungo. Si sente dire: “Oh, questa è la mia croce”. Tuttavia, nel contesto del discorso di Gesù ai suoi discepoli, la sfida a “prendere la croce e seguirmi” significava che i suoi seguaci dovevano essere disposti a seguirlo anche fino alla morte.

Parlando del prendere la propria croce, lo scrittore Craig Keener ha detto:

Significava marciare sulla strada che portava all’esecuzione, con l’infamia di trasportare la pesante trave orizzontale (il patibulum) del proprio strumento di morte, in mezzo a una folla canzonatoria. […] Gesù previde il martirio proprio e di molti dei suoi seguaci mediante strumenti di esecuzione destinati ai criminali delle classi inferiori e agli schiavi.16

La crudeltà della croce era il modo lento e doloroso con cui si arrivava alla morte.

L’atto in sé non danneggiava gli organi vitali né comportava un eccessiva perdita di sangue. La morte, quindi, arrivava lentamente, a volte dopo parecchi giorni, per lo shock di un doloroso processo di asfissia, man mano che i muscoli usati per la respirazione subivano un crescente logoramento. La crocifissione era uno spettacolo pubblico. Nuda e appesa a un palo, a una croce o a un albero, la vittima era soggetta allo scherno feroce dei molti passanti.17

R. T. France ha scritto che la crocifissione non era solo la forma di esecuzione più crudele usata a quei tempi, ma quando era applicata a una persona libera portava con sé anche il marchio dell’infamia sociale. Avere in famiglia un parente che era stato crocifisso era il massimo della vergogna. La crocifissione era un destino inevitabilmente pubblico e attirava lo scherno e la derisione di tutti. E quella disgrazia pubblica, oltre a essere una sofferenza fisica, non iniziava quando il condannato veniva appeso alla croce, ma dalla processione, anch’essa pubblica, sulle strade in cui la vittima doveva portare la pesante trave del suo stesso patibolo, tra gli insulti e gli improperi della folla.18

Quando Gesù disse che un discepolo deve prendere la sua croce e seguirlo, parlava di martirio e pubblica disgrazia, intendendo che credere in Lui e seguirlo significava fare una scelta che poteva portare al rifiuto e all’esecuzione. Anche se parlava ai discepoli che erano lì con Lui, voleva indicare che non erano soltanto loro a dover negare se stessi e prendere la croce, ma “chi”, chiunque, decida di seguirlo – cioè i discepoli di tutte le epoche.

Gesù non nascose il possibile risultato del seguirlo e indicò che la fedeltà dei discepoli nei confronti di Dio include il metterlo anche prima della propria vita. È quello che fecero quei discepoli originali; molti di loro trovarono il martirio. Anche se per la maggior parte non ci troviamo in situazioni in cui potremmo morire per la nostra fede, in alcuni luoghi i Cristiani affrontano effettivamente quella possibilità.

Anche se in questi versetti Gesù si riferì specificamente al martirio, come dovrebbero applicarli alla loro vita i Cristiani che in questo momento non devono affrontare la morte per la loro fede? Certo, dovremmo essere disposti a farlo, ma ci son altri modi per mettere la fedeltà a Dio prima della nostra stessa vita. Troviamo alcune indicazioni di questo quando osserviamo come, nel Vangelo di Matteo, Gesù parlò per la seconda volta di prendere la croce:

Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.19

Rinnegare se stessi può essere interpretato come mettere da parte i nostri desideri, le nostre ambizioni e i nostri obiettivi personali ed essere disposti a chiedere a Dio le sue direttive per la nostra vita. Ciò non significa che il Signore non ci indicherà mai di lavorare per le nostre ambizioni e i nostri obiettivi. Se cerchiamo continuamente la guida di Dio, è molto probabile che i nostri desideri e i suoi coincidano. Il concetto è che chi segue il Signore deve chiedere direzioni a Dio e gli deve fedeltà ancor prima che a se stesso, in maniera tale che, se le indicazioni di Dio ci portano in una direzione diversa da quella che preferiamo, siamo disposti a “rinnegare noi stessi” per seguirlo. Ecco cosa dice Darrel Bock:

I discepoli non rispondono alla loro volontà personale, ma a quella di Dio. C’è un riconoscimento fondamentale della propria lealtà che dice: “Deve essere Dio a guidarmi; non posso guidarmi da solo e non lo farò”. I discepoli che seguono Gesù avranno questo atteggiamento.20

Possiamo trovare altre indicazioni del concetto di rinnegare noi stessi nelle lettere dell’apostolo Paolo, che parlò di “far morire" i nostri peccati, affermando che come Cristiani dobbiamo mettere da parte le cose che forse desideriamo fare, ma che sono sbagliate e peccaminose, scegliendo invece di fare ciò che è giusto agli occhi di Dio.

Fate dunque morire ciò che in voi è terreno.21

Se vivete secondo la carne voi morrete; ma se per mezzo dello Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete.22

La vocazione di seguace di Gesù, di discepolo, è un invito a seguire uno stile di vita. È un invito a riallineare le proprie priorità in modo che Dio abbia il primo posto. Ciò non significa che non possiamo avere altre lealtà, ma che la diamo innanzitutto a Dio – prima dei nostri desideri, della nostra volontà, dei nostri beni, dei nostri cari e perfino della nostra vita. Non è una strada facile, ma Gesù disse che è la via che conduce alla vita.

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono coloro che entrano per essa. Quanto stretta è invece la porta e angusta la via che conduce alla vita! E pochi sono coloro che la trovano!23


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


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1 Matteo, Marco e Luca.

2 Matteo 10,7.

3 Matteo 10,38–39.

4 Matteo 16,21–25.

5 Matteo 16,24–25.

6 Marco 8,34–37;Luca 9,23–24; 14,27.

7 Matteo 10,1.

8 Matteo 10,8 NR.

9 Matteo 10,9–10 NR.

10 Matteo 10,17–18.

11 Matteo 10,21–22.

12 Matteo 10,23.

13 Matteo 10,25.

14 Matteo 10,28.

15 Matteo 10,38–39.

16 Keener, The Gospel of Matthew, 434.

17 Green and McKnight, Dictionary of Jesus and the Gospels, 147.

18 France, The Gospel of Matthew, 410.

19 Matteo 16,24. AncheLuca 9,23 eMarco 8,34.

20 Bock, Luke Volume 1: 1:1–9:50, 852.

21 Colossesi 3,5 NR.

22 Romani 8,13.

23 Matteo 7,13–14.


Pubblicato originariamente in Inglese il 10 ottobre 2017.

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