Di Maria Fontaine
Agosto 5, 2011
Madre Teresa una volta disse: “Le parole gentili possono essere brevi e facili da dire, ma il loro eco è davvero infinito”. Com’è vero! Poche semplici parole, dette da persone senza pretese, ma piene dello Spirito e dell’amore del Signore, possono riverberare nella vita di chi le riceve in maniera tangibile e potente.
Ci sono moltissime situazioni in cui, se ci fermiamo a pensarci, possiamo condividere semplici parole cortesi che finiranno con l’avere un vero impatto sulle persone con cui veniamo in contatto durante la giornata. È utile pensarci un po’ in anticipo.
Cosa potremmo dire in occasioni come queste: a un amico che si trova in un momento difficile? A un bambino? Al principale? A un insegnante? A qualcuno con un bel sorriso? A una signora molto anziana che si presenta ancora bene? Al guardiano notturno? A un giardiniere? Allo spazzino? Alla commessa di un negozio? Alla donna delle pulizie?
Possono succedere tante cose, con qualche parola premurosa. Si può aiutare a incoraggiare qualcuno e perfino contribuire a cambiare cattive abitudini o vizi.
Eccone un esempio:
Una signora che lavorava per una grande linea aerea notò un giovane che incontrava di tanto in tanto nel corridoio e nella saletta. Aveva un aspetto trasandato e puzzava sempre di fumo. Un giorno, durante la sua pausa, lo vide in piedi accanto alla porta.
“Perché fumi quelle cose che fanno venire il cancro?” Non lo disse in tono severo, era solo curiosa.
“È un’abitudine che ho preso al liceo”.
“Liceo? Quanti anni hai?”
“Diciannove”.
“Allora sono pochi anni che fumi. Puoi smettere, sai”.
“Lei crede?”
Fece cenno di sì. La conversazione terminò lì. Nei mesi successivi continuò a vederlo di tanto in tanto e ogni volta gli chiedeva se era riuscito a smettere di fumare e gli esprimeva la sua preoccupazione per lui. Terminava sempre la conversazione dicendogli: “Mi preoccupo per te”. Un giorno chiese di nuovo a Greg, così si chiamava il ragazzo, come andavano le cose.
Lui rispose: “Be’, ieri ho avuto una giornataccia. Ne ho fumata una, ma solo una”.
“Solo una? Vuoi dire che hai smesso?”
“Sì, già da qualche settimana. Grazie per avermi notato e per essersi preoccupata per me”.
Il comportamento di quel ragazzo era cambiato perché qualcuno si era occupato di lui.[1]
Un’altra storia che ho sentito qualche anno fa e che mi ha colpito molto, è quella di un matrimonio che, da buono che era, era peggiorato quasi da un giorno all’altro, ma poi si era rimesso in carreggiata grazie a poche semplici parole.
Il marito aveva perso il lavoro ed era diventato depresso, sarcastico e sgarbato. Sua moglie non lo aiutò come avrebbe dovuto. Non si era resa conto di come potesse essere sconvolgente per l’orgoglio di un uomo la perdita del lavoro, per non parlare del grande peso della responsabilità finanziaria che la maggior parte degli uomini sente per la propria famiglia. La frustrazione, il risentimento e la tensione nervosa aumentarono. Le cose peggiorarono al punto che il divorzio sembrava inevitabile. Lui cominciò a bere e a stare fuori tardi la sera, spendendo il poco denaro che gli era rimasto.
Una sera lei era seduta al tavolo della cucina, furiosa, in attesa che come al solito lui uscisse per andare al bar. Allo stesso tempo, però, poteva sentire dentro di sé una vocina che la incitava a dirgli che lo amava ancora. Gli voleva bene, ma non le piaceva la situazione in cui si trovava e tutto il dolore che le causava. Le costava molto, ma quel giorno decise che quando sarebbe sceso prima di uscire gli avrebbe detto che lo amava ancora. Era difficilissimo dire quelle parole e riuscì a malapena a farlo quando lui era già quasi fuori dalla porta: “Ti amo ancora”.
Lui si fermò di colpo, si voltò e tornò indietro; s’inginocchiò davanti a lei e con voce spezzata le chiese: “Dici davvero?”
Le sue guance erano rigate dalle lacrime. Cominciò a piangere anche lei e si abbracciarono, dichiarando il loro amore e chiedendosi perdono a vicenda.
Quelle tre parole salvarono il loro matrimonio e una vita. L’uomo stava uscendo per mettere fine alla propria vita.
Ecco un’altra testimonianza di un certo Richard North, che illustra come un piccolo commento fece una differenza enorme nella vita di qualcuno, anzi, di molti.
Avevo trentacinque anni e insegnavo nelle scuole da quasi dieci. In quel periodo stavo pensando di smettere e cominciare a cercare un’altra professione. Il fuoco degli ideali che mi avevano ispirato all’inizio si era gradualmente spento e ora mi trovavo spesso a chiedermi perché avessi scelto la professione d’insegnante. Mi sembrava di aver fatto del mio meglio, ma non ne valeva proprio la pena: i ragazzi erano aggressivi e sconsiderati e i genitori troppo spesso arrabbiati e irritabili. Mi sembrava che gli anni passati a insegnare fossero stati uno spreco. Avevo cominciato a chiedermi se ci fosse qualcuno che apprezzasse tutto quello che mi era costato. Avevo investito dieci anni della mia vita e mi sembrava di non aver avuto risultati.
La mia trasformazione avvenne grazie a un assistente che era venuto ad aiutarmi nella mia classe per fare un po’ di addestramento sul lavoro. Era con me solo da un paio di giorni, quando sono entrato nella sala professori durante la pausa pranzo e per caso l’ho sentito parlare con altri due assistenti.
“È sorprendente come il signor North ami i ragazzi. È così cortese con loro e trova sempre il tempo di ascoltarli e incoraggiarli. Come mi sarebbe piaciuto avere un insegnante del genere quando avevo la loro età”.
Quel commento ebbe un grandissimo effetto sulla mia anima stanca. Mi aiutò a ricordare il motivo per cui mi ero dedicato all’insegnamento. Cominciai a vedere la mia professione da un punto di vista nuovo e riguadagnai la visione. Come cambiò la mia percezione del lavoro, così cambiò il comportamento dei miei studenti. Alla fine dell’anno scolastico ero una persona totalmente diversa. Quelle poche parole di apprezzamento, sentite per caso, avevano cambiato la mia vita. Ora avevo una reputazione da rispettare; il fine e la visione che avevo riscoperto motivarono molti a tentare grandi cose”.[2]
Ciò che mi colpisce è che le parole che diciamo – che possono sembrare così normali e banali, così misere, insignificanti e spesso impacciate – possono invece essere inestimabili e importantissime per la persona a cui, o a proposito di cui, le diciamo. Ciò che a noi può sembrare insignificante può essere come cibo per un affamato, o acqua per chi muore di sete. Ciò che ci costa poco dare e che sembra così piccolo nel grande schema delle cose, può avere un significato enorme per qualcun altro.
[1] Riassunto di una storia dal libro The Esther Effect di Dianna Booher (Thomas Nelson, 2001).
Titolo originale: Living With Meaning: Hardly Anything or Everything?
Pubblicato originariamente in Inglese il 27 Maggio 2011
versione italiana affissa il 5 Agosto 2011;
statistiche: 1.081 parole; 5.409 caratteri
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