Vivere il Cristianesimo: i Dieci Comandamenti (Proteggere la vita umana, parte 5)

Di Peter Amsterdam

Giugno 9, 2020

Aborto

[Living Christianity: The Ten Commandments (Safeguarding Human Life, Part 5)]

(I punti trattati in questo articolo sono tratti da Christian Ethics, di Wayne Grudem.1)

Di tutti i sotto-argomenti riguardanti la protezione della vita umana, l’aborto è uno dei più difficili da trattare. È un argomento controverso, che ispira passione nelle persone su entrambi i lati della questione. Dato che questo articolo è incentrato sulla visione biblica dell’aborto, non tratterò gli argomenti che difendono la posizione pro-aborto. Alcune delle persone che leggeranno questo articolo potrebbero aver avuto un aborto, così corro il rischio di offenderle o ferirle presentando posizioni bibliche che non concordano con le azioni da loro intraprese. Non è mia intenzione farlo. Lo scopo del prendere in esame questo argomento è spiegare la visione generale cristiana sull’aborto.

Una delle differenze chiave tra chi si oppone all’aborto e chi lo considera moralmente lecito è la questione di quando un feto diventa un essere umano unico. Nella Bibbia ci sono diversi versetti a indicare che un bambino non nato dovrebbe essere considerato una persona dal momento del concepimento.

Quando Elisabetta, madre di Giovanni Battista, era incinta di sei mesi, Maria, che sarebbe diventata la madre di Gesù, andò a farle visita. Leggiamo:

Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel grembo; ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: «Benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno! Come mai mi è dato che la madre del mio Signore venga da me? Poiché ecco, non appena la voce del tuo saluto mi è giunta agli orecchi, per la gioia il bambino mi è balzato nel grembo».2

Ispirata dallo Spirito Santo, al sesto mese di gravidanza, Elisabetta chiamò “bambino” l’essere non ancora nato. La parola greca tradotta con bambino è brephos, la stessa usata in Luca 2,16:

Andarono quindi in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva in una mangiatoia.3

La parola usata è la stessa, sia per il bambino non ancora nato sia per il neonato.

Leggiamo anche che il bambino non nato di Elisabetta “è balzato nel grembo”, cosa che gli attribuisce un’attività umana. Udì la voce di Maria e provò una gioia sua, personale. Alcuni ricercatori hanno scoperto che i bambini nell’utero possono distinguere la voce della madre e capire la differenza tra musica e rumore.4 Reagiscono alla voce della madre mentre sono ancora nell’utero e la sua voce ha un effetto calmante su di loro.5

Dopo aver peccato per aver commesso adulterio con Bath-sheba ed essere stato smascherato dal profeta Natan,6 Davide scrisse il salmo 51, nel quale confessò il proprio peccato e pregò Dio di perdonarlo. In quella preghiera in cui chiede perdono, disse:

Ecco, io sono stato formato nell’iniquità, e mia madre mi ha concepito nel peccato.7

Davide si riferisce al momento della sua nascita e dice di essere uscito dal grembo di sua madre come un peccatore e che anche prima della sua nascita era stato concepito con una natura peccatrice. Chiaramente si considerava un essere umano ben definito già al momento del concepimento.

Sei tu che hai formato le mie interiora, tu mi hai intessuto nel grembo di mia madre.

Davide parlò di essere una persona ben distinta (hai intessuto “me”) quando era nel grembo di sua madre. Parlando delle sue reni, usa la parola ebraica kilya, che letteralmente significa “reni” [come in NR e CEI], ma in contesti come questo significa anche parte interiore di una persona, cuore, come sede delle sue emozioni e dei suoi pensieri più intimi. Davide fa notare che nel grembo di sua madre non è stato formato solo il suo corpo, ma anche il suo distinto essere interiore.8

Ma i bambini [gemelli] si spingevano l’un l’altro nel suo grembo; ed ella disse: «[…] perché mi trovo io in queste condizioni?» Così andò a consultare l’Eterno. E l’Eterno le disse: «Due nazioni sono nel tuo grembo, e due popoli separati usciranno dalle tue viscere. Uno dei due popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà il minore».9

Queste due creature non ancora nate sono chiamati “bambini”. Si stanno già dando spintoni. Ancora prima di nascere sono considerati persone distinte, tanto che si parla già del loro futuro.

Anche se i versetti precedenti indicano che il feto nell’utero della madre è considerato un bambino, il prossimo versetto parla delle gravi punizioni da imporre se la vita o la salute di una donna incinta o del suo figlio non ancora nato sono messe in pericolo o danneggiate:

Se durante una rissa qualcuno colpisce una donna incinta e questa partorisce senza che ne segua altro danno, colui che l’ha colpita sarà condannato all’ammenda che il marito della donna gli imporrà; e la pagherà come determineranno i giudici; ma se ne segue danno, darai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione.10

È chiaro che secondo la legge del Vecchio Testamento sia la madre sia il bambino non nato erano trattati come persone con la stessa protezione legale; fare del male a una donna incinta e al bambino nel suo utero era considerato un reato grave. In caso di danni a uno dei due, la pena era severa: “vita per vita, occhio per occhio”.

È interessante notare che in altri punti della Legge mosaica, nei casi in cui qualcuno causava accidentalmente la morte di un’altra persona (definito nella legge italiana omicidio colposo), c’era un modo per evitare la pena richiesta di “vita per vita”. La persona che causava accidentalmente la morte di un’altra poteva fuggire in una delle sei “città di rifugio” per evitare il “vendicatore del sangue”, uno dei parenti della vittima che veniva mandato a vendicarne l’uccisione. Se la persona fosse riuscita a entrare nella “città di rifugio”, sarebbe stata al sicuro dal vendicatore fino a che non si fosse condotto un processo. Se il tribunale decideva che l’attaccante aveva agito involontariamente, questi avrebbe potuto rimanere nella città di rifugio e vivere lì al sicuro fino alla morte del sommo sacerdote in carica al momento del processo. Dopo la morte del sacerdote poteva ritornare a casa. Se però lasciava la città di rifugio prima che il sommo sacerdote morisse, il vendicatore aveva diritto a ucciderlo.

Il fatto che la misura della fuga in una città di rifugio non fosse un’opzione per chi uccideva accidentalmente una donna incinta o un bambino non nato indica che la legge biblica dava più valore alla protezione della loro vita che a quella di chiunque altro nella società israelita. Se l’uccisione accidentale di un bambino non nato era così grave agli occhi di Dio, possiamo dedurne che l’uccisione volontaria lo è ancora di più.

Nel Vangelo di Luca leggiamo della nascita di Gesù. L’angelo Gabriele apparve a Maria e le disse che avrebbe dato alla luce un figlio e che ciò sarebbe successo per la potenza dello Spirito Santo.

L’angelo le rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio».11

Qualche tempo dopo, Maria, ancora incinta, andò a fare visita alla sua parente Elisabetta che, vedendo Maria, la chiamò “la madre del mio Signore”.12 Ciò indica che la natura divina del Figlio di Dio si unì alla natura umana di Gesù dal momento del concepimento. La sua incarnazione non cominciò alla nascita, ma dal momento del concepimento.

Alcuni sostengono che un embrione è semplicemente un’estensione della madre e che abortire non vuol dire eliminare una vita umana. Un autore offre alcuni motivi che indicano il contrario.

Dal momento del concepimento, [gli embrioni] hanno già un sesso e un po’ più della metà sono maschi, mentre la madre è femmina. A partire da circa quaranta giorni dopo il concepimento hanno le loro onde cerebrali individuali, che mantengono fino alla morte. Entro alcune settimane dal concepimento, hanno il loro gruppo sanguigno, che può essere diverso da quello della madre, e impronte digitali uniche, diverse da quelle della madre. […] Nessuna informazione genetica nuova viene aggiunta a un essere umano dopo il concepimento. La madre contribuisce allo sviluppo dell’embrione dopo il concepimento, ma non aggiunge nulla alla sua natura umana.13

Qui sotto vediamo il processo della crescita di un feto durante i primi cinque mesi (20 settimane).

Primo mese: concretizzazione (da 1 a 4 settimane)

Secondo mese: sviluppo (da 5 a 8 settimane)

Terzo mese: movimento (da 9 a 12 settimane)

Quarto mese: crescita (da 13 a 16 settimane)

Quinto mese: possibilità di sopravvivenza (da 7 a 20 settimane)

Nel 2003 il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie ha riferito che il 26% degli aborti indotti legalmente negli Stati Uniti sono avvenuti a meno di sei settimane di gestazione, il 18% a sette settimane, il 15% a 8 settimane, il 19% a nove settimane, il 10% a 12 settimane, il 6% da 13 a 15 settimane, il 4% a 20 settimane e l’1% a più di 21 settimane.

Gli esami a ultrasuoni offrono immagini dei bambini non nati ancora nell’utero e possono mostrare la crescita del feto durante i vari mesi di gestazione. Queste immagini fanno vedere quanto assomigliano a esseri umani.

Ci sono casi in cui l’aborto può essere moralmente giusto? Esistono situazioni in cui potrebbe essere necessario che un medico effettui una procedura drastica che porterà alla morte del non-nato per salvare la vita della madre. Anche se rare, ci sono occasioni in cui la gravidanza mette a rischio la vita della madre e in questi casi è moralmente giusto fare il possibile per salvarla. Per esempio, se la madre ha un cancro uterino e per sopravvivere ha bisogno di un intervento urgente per rimuovere l’utero. L’intervento metterà fine alla vita del bambino, ma senza l’operazione sia la madre che il bambino moriranno. In questo caso, vale il principio del doppio effetto: (1) L’intenzione è fare una cosa buona: salvare la vita della madre. L’effetto cattivo di causare la morte del bambino non è desiderato, ma questa triste conseguenza nasce da un’azione moralmente giusta e buona. (2) Salvare la madre è meglio che permettere a entrambi di morire per inazione, anche se ciò significa la morte per il bambino.

Da un punto di vista cristiano, l’imminente pericolo fisico per la madre, causato dalla gravidanza, può costituire un motivo lecito per terminare la gestazione. Ciò va in contrasto con le leggi di molti paesi, che ampliano i motivi per un aborto legale fino a includere la salute emotiva della madre, il suo stato finanziario o l’effetto negativo che potrebbe avere sulla sua vita sociale.

Le Scritture insegnano che la vita umana è un dono di Dio e che questa vita inizia al momento del concepimento. Sottolinea anche il valore della vita umana, il fatto che gli esseri umani sono fatti a immagine di Dio. Questa idea scritturale del valore della vita umana, insieme al comandamento di non uccidere, sta alla base del punto di vista cristiano che l’aborto non è conforme alle Scritture e quindi non è moralmente giusto.


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 Wayne Grudem, Christian Ethics (Wheaton: Crossway, 2018).

2 Luca 1,41–44 NR.

3 Luca 2,16.

4 University of Florida, “University of Florida Research Adds to Evidence That Unborn Children Hear ‘Melody’ of Speech”, Science Daily, Jan. 23, 2004.

5 Janet L. Hopson, “Fetal Psychology,” Psychology Today, Sept. 1, 1998.

6 2 Samuele 12,1–7.

7 Salmi 51,5.

8 Salmi 139,13.

9 Genesi 25,22–23.

10 Esodo 21,22–25 NR.

11 Luca 1,35 NR.

12 Luca 1,43.

13 Norman L. Geisler, Christian Ethics, Contemporary Issues and Options (Grand Rapids: Baker Academic, 2010), 137.

14 Ibid., 150.

Pubblicato originariamente in inglese il 14 maggio 2019.

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