1 Corinzi: capitolo 10 (versetti 16-33)

Luglio 29, 2025

di Peter Amsterdam

[1 Corinthians: Chapter 10 (verses 16–33)]

Nella seconda metà di 1 Corinzi 10, Paolo inizia sottolineando ai Corinzi l’incompatibilità tra la partecipazione ai pasti nei templi pagani e la partecipazione alla Cena del Signore.

Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo di Cristo? (1 Corinzi 10:16).

La prima domanda di Paolo riguardava il calice di ringraziamento e il pane che mangiavano, usando parole simili a quelle dei racconti della Cena del Signore (Matteo 26:26-28; 1 Corinzi 11:23-26). Bere dal calice è una comunione con il sangue di Cristo e mangiare il pane è una comunione con il corpo di Cristo. La parola “comunione” è usata anche nel Nuovo Testamento per riferirsi alla nostra comunione con Gesù (1 Corinzi 1:9) e tra di noi (1 Giovanni 1:7).

Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane (1 Corinzi 10:17).

Paolo fece notare che i credenti, pur essendo molti, sono un corpo solo, e che questo è vero perché c’è un unico pane, che rappresenta il corpo di Cristo, a con cui tutti hanno comunione. Negli scritti di Paolo, un corpo unico è un’espressione tecnica che si riferisce all’unione spirituale delle membra, sia con Cristo che tra di loro in Cristo. In Romani, Paolo scrive che noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro (Romani 12:5). Poiché i credenti sono in un’unione spirituale con Cristo, tutti i credenti condividono l’unione spirituale tra di loro in Lui.

Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano i sacrifici non hanno forse comunione con l’altare? (1 Corinzi 10:18)

Nell’Antico Testamento, quando si facevano offerte di ringraziamento o di riconoscenza, l’altare era una tavola su cui si sacrificava a Dio e i sacerdoti mangiavano parre delle offerte (Levitico 6:17-18). Paolo sottolinea che chi mangiava questi sacrifici partecipava al significato spirituale dell’altare del tempio. Allo stesso modo, coloro che partecipano alla Cena del Signore sono in comunione con Dio.

Che cosa sto dicendo? Che la carne sacrificata agli idoli sia qualcosa? Che un idolo sia qualcosa? Tutt’altro; io dico che le carni che i pagani sacrificano, le sacrificano ai demòni e non a Dio; ora io non voglio che abbiate comunione con i demòni (1 Corinzi 10:19-20).

Paolo aveva già sostenuto in precedenza in questa epistola che le religioni pagane sono false e che i loro sacrifici non sono fatti a veri dèi, poiché “l’idolo non è nulla” e “non c’è che un Dio solo” (1 Corinzi 8:4). Allo stesso tempo aveva qualificato questa affermazione dicendo che vi sono cosiddetti dèi sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti “dèi” e “molti signori” (1 Corinzi 8:5-6). In questo versetto Paolo spiega meglio ciò che intende dire. Implica che qualcosa di soprannaturale è all’opera nei sacrifici pagani, che in ultima analisi sono offerti ai demoni e non a Dio. Perciò, quando le persone sacrificano agli idoli, non si può pensare che stiano svolgendo un’attività priva di significato.

Paolo sottolineò che i pagani non sacrificano a divinità che i cristiani dovrebbero temere e in questo senso un idolo è nulla e il cibo offerto agli idoli è nulla. Tuttavia, Paolo affermò che i sacrifici dei pagani erano fatti ai demoni e insisteva sul fatto che i credenti di Corinto non dovevano avere comunione con i demoni.

Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni (1 Corinzi 10:21).

Paolo parla nuovamente dell’incompatibilità tra cristianesimo e idolatria. Il “calice del Signore” rappresenta la comunione che i credenti hanno con Cristo grazie al suo sacrificio sulla croce. Simboleggia il sangue di Cristo che è stato versato per il perdono dei peccati. Questo calice è un simbolo di salvezza. In alcuni casi i cristiani potevano mangiare ciò che era stato offerto agli idoli senza commettere peccato, come quando la carne veniva venduta al mercato. Ma non bisognava intendere questo come se includesse la partecipazione a feste religiose pagane che comportavano un culto idolatrico.

Vogliamo provocare il Signore a gelosia? Siamo più forti di lui? (1 Corinzi 10:22)

Paolo chiarì questo punto quando insistette a chiedere se i Corinzi stessero cercando di provocare il Signore alla gelosia e se si considerassero più forti del Signore. Nella Bibbia Dio è raffigurato come un marito possessivo (Geremia 31:32; Osea 2:1-13). Lui esige fedeltà dal suo popolo. I Corinzi dovevano smettere di praticare l’idolatria, perché rischiavano di incorrere nell’ira di Dio, come era successo agli Israeliti sotto Mosè.

Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica. Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello degli altri (1 Corinzi 10:23-24).

Qui Paolo inizia con uno slogan popolare tra i Corinzi dell’epoca, che ha già citato in 1 Corinzi 6:12: ogni cosa è lecita. C’è del vero in questo slogan, perché i cristiani hanno molta libertà in Cristo. Tuttavia, il detto deve essere bilanciato, cosa che Paolo fece quando aggiunse che non tutte le cose sono utili o vantaggiose. Qui Paolo limita l’uso della libertà a ciò che giova o edifica la comunità cristiana; limita le azioni di una persona a ciò che cerca il bene degli altri. In precedenza, Paolo aveva sottolineato il principio secondo cui i credenti non devono cercare il proprio bene, ma il bene del prossimo e la promozione del Vangelo (1 Corinzi 9:19-23).

Mangiate di tutto ciò che si vende al macello senza fare alcuna domanda per motivo di coscienza, perché «la terra e tutto ciò che essa contiene è del Signore». (1 Corinzi 10:25-26).

Paolo insegnava che i cristiani potevano mangiare qualsiasi carne acquistata al mercato, purché non comportasse idolatria. Se veniva sollevata la questione del sacrificio agli idoli, allora i credenti dovevano astenersi dal mangiarne, per il bene degli altri. Nei mercati della carne della Grecia alcune carni venivano vendute dopo essere state dedicate a un idolo, mentre altre non lo erano. Non sempre i negozianti chiarivano la differenza.

I rabbini imponevano restrizioni agli ebrei che vivevano in città pagane come Corinto; dovevano assicurarsi di acquistare carne solo da negozi che rispettavano le leggi ebraiche in materia di cibo. Ma questa non era la norma di Paolo. Il suo punto di vista era che i credenti potevano mangiare qualsiasi carne senza sollevare il dubbio che fosse stata sacrificata a un idolo. Citò il salmo 24:1: “Al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa”, per affermare che Dio è l’unico vero Dio di tutte le cose e che gli idoli sono insignificanti. I credenti potevano mangiare carne senza preoccuparsi della sua provenienza.

Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. Ma se qualcuno vi dicesse: «È carne immolata in sacrificio», astenetevi dal mangiarne, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; della coscienza, dico, non tua, ma dell’altro. (1 Corinzi 10:27-29a).

Dopo aver parlato del mercato, Paolo passa alle situazioni in cui i credenti sono ospiti in casa di non credenti. I cristiani possono mangiare tutto ciò che viene loro servito, senza farne questioni di coscienza. Tuttavia, se qualcuno obiettasse che la carne è stata offerta in sacrificio a un idolo, i credenti non dovrebbero mangiarla per motivi di coscienza, per il bene della persona che glielo ha detto. Mangiare in tali circostanze potrebbe sembrare un’accettazione dell’idolatria. Secondo questo consiglio dell’apostolo, i cristiani devono fare attenzione a non usare la loro libertà a danno degli altri o a proprio discredito. Nel mangiare e nel bere, e in tutto ciò che facciamo, dobbiamo mirare a glorificare Dio, a compiacerlo e onorarlo.

Per qual motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe esser sottoposta al giudizio della coscienza altrui? Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie? (1 Corinzi 10:29b-30)

Paolo chiede perché dovrebbe fare una cosa che sottometterebbe la sua libertà al giudizio della coscienza di un altro. I cristiani sono liberi di mangiare carne sacrificata agli idoli, ma non dovrebbero usare questa libertà se ferisce la coscienza di un altro. Se un ospite non credente non menziona la storia della carne, i cristiani sono liberi di mangiarla. Paolo dice che i cristiani possono rendere grazie e mangiare carne che può essere stata sacrificata agli idoli. Possono partecipare al pasto con gratitudine.

Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio (1 Corinzi 10:31-32)

Ora Paolo riassume l’argomentazione esposta in questo capitolo. In primo luogo, che i credenti compartecipino o meno al cibo o alle bevande, devono farlo alla gloria di Dio. Lo scopo principale degli esseri umani è la gloria di Dio; il suo onore deve essere il principale interesse di chi lo ama. Amerai l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze (Deuteronomio 6:5; Matteo 22:37).

In secondo luogo, che i credenti ne compartecipino o no, non devono far inciampare o peccare gli altri, né ostacolare la ricettività di qualcuno al Vangelo. Questa preoccupazione per gli altri si applica ai Giudei, ai Greci e alla Chiesa. Probabilmente Paolo menzionò questi gruppi perché ognuno d’essi sollevava aspetti diversi. Né i Giudei né i Greci credevano agli insegnamenti di Cristo, ma ogni gruppo aveva standard e aspettative diverse. Inoltre, il principio dell’amore per il prossimo deve estendersi alla chiesa anche per altri motivi.

Come io stesso mi sforzo di essere gradito a tutti in ogni cosa, non cercando il mio proprio vantaggio ma quello di molti, affinché siano salvati. Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo (1 Corinzi 10:33-11:1).

Paolo conclude questa sezione ricordando ai suoi lettori che non si aspetta da loro cose che lui stesso non è disposto a fare. Ricorda loro che si sforzava di essere gradito a tutti in tutte le cose. Cercava di servire gli altri, non perché cercasse il proprio bene, ma piuttosto il bene di molti altri o, più specificamente, perché fossero salvati. L’impegno di Paolo per la salvezza dei perduti lo portava a ridurre al minimo le sue preferenze e libertà personali per il bene degli altri.

Grazie alla coerenza con cui Paolo svolgeva questo servizio, si sentiva qualificato a incoraggiare i Corinzi a seguire il suo esempio, così come lui seguiva l’esempio di Cristo. Cristo rinunciò alla sua libertà e al suo onore, umiliandosi fino alla morte sulla croce, per salvare gli altri (Filippesi 2:5-8). Paolo incoraggiò i Corinzi a ricordare il sacrificio di Cristo come modello di amore e preoccupazione per gli altri. “Siate gentili gli uni con gli altri, teneri di cuore, perdonandovi a vicenda, come Dio in Cristo ha perdonato a voi. Siate dunque imitatori di Dio, come figli carissimi” (Efesini 4:32-5:1).

Pubblicato originariamente in inglese il 22 aprile 2025.