
1 Corinzi: capitolo 9 (versetti 18-27)
Luglio 8, 2025
di Peter Amsterdam

1 Corinzi: capitolo 9 (versetti 18-27)
[1 Corinthians: Chapter 9 (verses 18–27)]
Questo articolo coprirà la seconda metà di 1 Corinzi 9.
Qual è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunziando il vangelo, io offra il vangelo gratuitamente, senza valermi del diritto che il vangelo mi dà (1 Corinzi 9:18).
Molti studiosi hanno interpretato questo passo come se Paolo stesse affermando che la sua predicazione era una ricompensa in sé, che predicare il Vangelo gratuitamente e non avvalersi dei suoi diritti a una retribuzione era una ricompensa sufficiente. Ma alla luce del versetto precedente, in cui Paolo affermava che se lo avesse fatto volontariamente, avrebbe avuto una ricompensa e, in caso contrario, rimane sempre un incarico che mi è stato affidato (1 Corinzi 9:17), sembra utile vedere le parole di Paolo in modo diverso. La seconda interpretazione di questo passo è che Paolo sapeva che un giorno avrebbe ricevuto una ricompensa per aver predicato senza retribuzione. Cristo lo avrebbe ricompensato per non aver cercato il proprio tornaconto.
Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero (1 Corinzi 9:19).
Vivendo nel mondo mediterraneo, Paolo era abituato a confrontarsi con molte culture diverse. In queste diverse situazioni, si impegnò a non esercitare il suo diritto di seguire le norme delle proprie preferenze culturali e a non insistere sulle libertà dategli Vangelo.
Iniziò con un’affermazione forte: Sono libero da tutti. Rivendicando il suo stato di uomo libero, Paolo dichiarava di non doversi conformare alle preferenze degli altri. Tuttavia, Paolo si fece volontariamente servo di tutti. Rinunciò ai suoi diritti sulle proprie preferenze per poter servire gli altri. Lo fece per vincere il maggior numero possibile di persone, per diffondere il regno di Cristo.
Con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge (1 Corinzi 9:20-21).
Per dimostrare quanto fosse disposto a seguire il suo metodo, Paolo descrisse i due diversi aspetti del suo ministero multiculturale: aveva servito sia quelli che erano sotto la Legge (il popolo ebraico sotto la Legge mosaica) sia quelli che non avevano la Legge, i Gentili. A quel tempo, le differenze tra questi due gruppi potevano essere enormi. Le credenze religiose, le pratiche morali e le usanze culturali, le pratiche familiari, i sistemi legali, l’abbigliamento, le festività e le abitudini alimentari erano molto diverse tra Giudei e Gentili. Questa diversità richiedeva una grande flessibilità da parte di Paolo, che l’abbracciò perché voleva conquistare e portare a Cristo persone di entrambi i gruppi.
Il termine “sotto la legge” si riferiva allo stile di vita ebraico secondo la Legge mosaica. Paolo stesso era etnicamente ebreo, ma aveva capito che attraverso il sacrificio e la morte di Gesù sulla croce, Dio aveva creato un popolo nuovo, la sua chiesa, in cui non c’era distinzione tra Ebrei e Gentili (Galati 3:28). L’antica alleanza era stata annullata e i credenti ora erano sottoposti a quella che Paolo definisce la legge di Cristo. Per raggiungere il popolo ebraico, Paolo era disposto ad adottare temporaneamente alcuni aspetti dello stile di vita e delle usanze ebraiche, se necessario, per poter condividere il Vangelo.
Paolo sapeva che queste pratiche erano state annullate dalla morte di Gesù sulla croce, perché Dio aveva cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce (Colossesi 2:14). Ma Paolo teneva così tanto alla comunità ebraica che, quando era con loro, ne osservava le usanze e le leggi, affinché il Vangelo potesse radicarsi in loro.
D’altra parte, l’essere senza la legge significava che i Gentili erano “esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo” (Efesini 2:12). Non avevano la guida delle Scritture che insegnavano loro ad adorare Dio, ma seguivano rituali e stili di vita pagani senza le restrizioni della legge e delle usanze ebraiche. Pur non approvando gli stili di vita pagani, Paolo ne osservava le usanze e le leggi quando era in mezzo a loro, affinché il Vangelo potesse essere diffuso tra i Gentili.
Era flessibile, perché passava da una comunità all’altra, ma sapeva quando porre dei limiti. Quando era con gli ebrei religiosi, ricordava che non era più soggetto alla legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge). Allo stesso modo, quando si trovava con Gentili che non osservavano le leggi delle Scritture, Paolo conformava in molti modi il suo comportamento esteriore a quello di questi ultimi, ma non scivolò mai nel paganesimo, poiché il suo obiettivo era quello di portare le persone alla conoscenza dell’unico vero Dio. Pur essendo libero di osservare le usanze culturali e gli stili di vita locali, era tenuto a osservare la legge di Cristo (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo).
La “legge di Cristo” non si contrappone alla Legge mosaica. Gesù stesso disse: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Matteo 5:17). Quando Paolo fa riferimento alla legge di Cristo, si riferisce agli insegnamenti morali di tutte le Scritture così come furono insegnati da Cristo e dai suoi apostoli. Paolo ha spesso affermato che la legge di Dio è stata concepita come guida per i cristiani (Romani 2:25-29; 1 Timoteo 1:8). Tuttavia, in questo caso chiarisce che la legge di Dio per i cristiani è interpretata alla luce della venuta di Cristo e quindi è diventata la legge di Cristo.
Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni (1 Corinzi 9:22).
Oltre ai Giudei e ai Gentili, Paolo aggiunse un altro gruppo di persone che mette alla luce la sua preoccupazione per la chiesa di Corinto: i deboli. Le persone forti e bene informate della chiesa di Corinto si rifiutavano di fare sconti a quelli di tra loro che ritenevano deboli. I forti sostenevano di avere la libertà di mangiare carne sacrificata agli idoli, dal momento che gli idoli non hanno un’esistenza reale, ma così facendo peccavano nei confronti dei fratelli e delle sorelle più deboli che venivano messi in difficoltà da quella pratica (1 Corinzi 8:4-7).
Al contrario, Paolo “si fece debole” conformando volontariamente il suo comportamento a quello dei deboli. Limitando la sua libertà, si assicurò di non far cadere nel peccato i fratelli e le sorelle più deboli. I credenti forti ed esperti di Corinto comprendevano i loro diritti, ma avevano dimenticato l’importanza dell’amore per gli altri. Il disprezzo per i deboli nella chiesa di Corinto avrebbe attirato il giudizio di Dio.
Paolo proseguì affermando di essere diventato ogni cosa per tutti. Rinunciò al diritto di seguire le proprie preferenze e si sottomise ad altri per portarli alla salvezza. La sua preoccupazione principale era preparare il regno di Cristo raggiungendo i perduti e portandoli alla fede e alla nuova vita in Cristo. Non permise che le sue libertà interferissero con il condurre altri a seguire la via di Cristo, che si trattasse di persone sotto la Legge o di persone senza la Legge.
Tutto questo lo faccio per amore del Vangelo, per partecipare con gli altri alle sue benedizioni (1 Corinzi 9:23).
Lo scopo e la vocazione di Paolo era il condividere con le persone la buona notizia della salvezza in Cristo. Voleva che il regno di Dio arrivasse nella sua pienezza e si fece servo di tutti per raggiungere questo obiettivo. Paolo sapeva che Dio lo avrebbe ricompensato e sacrificò i propri diritti per poter condividere le benedizioni di Dio.
Non sapete che quelli che corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da conquistarlo. Ogni atleta esercita autocontrollo in tutto; loro lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile (1 Corinzi 9:24-25).
Paolo usa l’analogia di una gara atletica per sottolineare la serietà dell’esercizio dell’autocontrollo per perseguire l’obiettivo di portare a Cristo il maggior numero possibile di persone. A causa della sponsorizzazione e del legame dei Corinzi con i Giochi Istmici, il riferimento a una gara era una metafora appropriata a cui i Corinzi potevano riallacciarsi. Paolo continuò a fare diversi paragoni tra la vita cristiana e una gara, usando se stesso come esempio.
Innanzitutto, non tutti vinceranno il premio, così come non tutti quelli che iniziano una vita cristiana la portano avanti fino alla fine. Il cristiano deve proseguire la sua corsa con la massima determinazione ed essere “zelante nelle opere buone” (Tito 2:14). Esprime la propria fede sforzandosi di camminare in modo degno del Signore per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio (Colossesi 1:10).
In secondo luogo, ogni atleta si allena severamente e impara a esercitare autocontrollo in ogni cosa per raggiungere il traguardo e portare a termine la gara. I cristiani devono dedicarsi a seguire Cristo, scegliendo azioni che edifichino il corpo di Cristo (il suo popolo) e ne promuovano lo sviluppo spirituale e l’autocontrollo (Efesini 4:12).
In terzo luogo, a differenza degli atleti che cercano di ottenere una corona cerimoniale che non durerà, i cristiani riceveranno una corona che durerà per sempre (2 Timoteo 4:8; 1 Pietro 5:4). Paolo si riferiva qui alle ricompense eterne, come la vita eterna e la gloria eterna che riceveranno i cristiani che “con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità” (Romani 2:7; 2 Timoteo 2:10).
Io quindi corro così; non in modo incerto; lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato (1 Corinzi 9:26-27).
Paolo trasse dall’analogia alcune implicazioni morali per la sua vita. In primo luogo, non visse la sua vita cristiana come una persona che corre senza meta. Aveva un obiettivo preciso — vincere il premio — e correva per raggiungerlo.
In secondo luogo, Paolo commentò che non combatteva come un uomo che batte l’aria. Più tardi, in una lettera a Timoteo, Paolo scrisse di nuovo metaforicamente di corse e pugilato con lo scopo di ottenere una corona (2 Timoteo 4:7-8). In questo caso, sottolineava come stesse attento a non sbagliare a dare i suoi “pugni spirituali”.
In terzo luogo, disciplinò il suo corpo. Questa è una metafora che mostra il rigore della sua vita spirituale. Si condizionò spiritualmente, negando se stesso come gli atleti negano se stessi per vincere la gara.
Paolo concluse questa analogia atletica ribadendo il suo obiettivo. Lavorava duramente per assicurarsi che, dopo aver predicato agli altri, non sarebbe stato squalificato dal premio. Non parlava di perdere la salvezza, ma era consapevole di potersi allontanare anche lui da Cristo. Sapeva che il premio viene ricevuto solo da quelli che resistono fino alla fine (Giacomo 1:12).
Paolo parlava in generale di tutta la sua vita spirituale e di come si concentrava sull’obiettivo di raggiungere il mondo con il Vangelo. Per farlo, esercitava autocontrollo come un atleta in ogni ambito della sua vita. Ma in questo capitolo Paolo si concentra anche su come rinunciava ai propri diritti e alle proprie libertà per il bene degli altri, facendosi servo di tutti, per poter conquistare più persone a Cristo (1 Corinzi 9:19). Rinnegare se stesso per servire gli altri era un sacrificio, ma Paolo sapeva che era necessario. Usò se stesso come esempio da seguire per i Corinzi. Poiché lui, un apostolo, era stato disposto a fare tali sacrifici, anche i Corinzi dovevano essere disposti a fare lo stesso.
Pubblicato originariamente in inglese il 25 marzo 2025.