Al cuore di tutto: il peccato

Gennaio 25, 2013

di Peter Amsterdam

Esistono diversi livelli di peccato?

Abbiamo visto che la nostra posizione “legale” davanti a Dio è influenzata dal “peccato originale” e dai peccati attuali che commettiamo. Ognuno dei nostri peccati è un’offesa nei confronti della santità divina; per piccolo o grande che sia il peccato, siamo trasgressori e quindi colpevoli davanti a Dio. Quindi, in questo senso, tutti i peccati sono uguali.

Comunque, in un altro senso, anche se tutti i peccati ci rendono legalmente colpevoli davanti a Dio, alcuni di essi sono peggiori per quanto riguarda le loro conseguenze. Il motivo è che alcuni disonorano maggiormente Dio, oppure causano un danno maggiore a noi stessi e agli altri, oppure hanno conseguenze più dannose o più diffuse.

Gesù parlò di come alcuni peccati sono più grandi di altri quando disse a Pilato che chi lo aveva tradito, Giuda, aveva una colpa maggiore.

Gesù rispose: “Tu non avresti alcun potere su di me se non ti fosse dato dall’alto; perciò chi mi ha consegnato nelle tue mani ha maggior colpa”.[1]

Giuda conosceva più verità di Pilato, quindi era maggiormente responsabile di quella verità e di conseguenza il suo peccato era più grande.

Un esempio di un altro livello di peccato si può notare nel libro di Ezechiele, quando Dio fa vedere al profeta i peccati commessi nel tempio e gli spiega come ogni peccato commesso sia progressivamente peggiore del precedente.

Ed Egli mi disse: “Figlio d’uomo, vedi ciò che fanno costoro, le grandi abominazioni che qui commette la casa d’Israele e che mi fanno allontanare dal mio santuario? Ma tu vedrai abominazioni ancora più grandi”. […] Egli mi disse: “Entra e guarda le malvagie abominazioni che costoro commettono qui”. Così entrai a guardare, ed ecco ogni sorta di rettili e di bestie abominevoli e tutti gl’idoli della casa d’Israele, intagliati tutt’intorno sulla parete. E davanti ad essi stavano settanta uomini fra gli anziani della casa d’Israele, in mezzo ai quali era Jaazaniah, figlio di Shafan, ciascuno con il suo turibolo in mano, dal quale saliva una densa nuvola d’incenso. Quindi mi disse: “Figlio d’uomo, hai visto ciò che gli anziani della casa d’Israele fanno nell’oscurità, ciascuno nella camera delle sue immagini? Infatti dicono: ‘L’Eterno non ci vede, l’Eterno ha abbandonato il paese’”. Poi mi disse: “Tu vedrai abominazioni ancora più grandi che commettono”. Allora mi condusse all’ingresso della porta della casa dell’Eterno, che è verso il nord; ed ecco, là sedevano donne che piangevano Tammuz [divinità sumerica del cibo e della vegetazione]. Quindi mi disse: “Hai visto, figlio d’uomo? Tu vedrai abominazioni ancora più grandi di queste”. Allora mi condusse nel cortile interno della casa dell’Eterno; ed ecco, all’ingresso del tempio dell’Eterno, fra il portico e l’altare, circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio dell’Eterno e la faccia rivolta a est, che adoravano il sole a est.[2]

La Bibbia parla anche della differenza tra i peccati commessi deliberatamente e insolentemente — con la piena consapevolezza di fare il male — e quelli commessi per ignoranza o senza sapere che l’azione costituisce peccato. Il primo è definito peccato volontario, il secondo peccato involontario. Nel Vecchio Testamento, i peccati commessi volontariamente erano trattati con severità, mentre quelli involontari potevano essere perdonati mediante un sacrificio.

Ma la persona che commette un peccato deliberatamente, sia essa nativa del paese o straniera, oltraggia l’Eterno; quella persona sarà sterminata di mezzo al suo popolo. Poiché ha disprezzato la parola dell’Eterno e ha violato il suo comandamento, quella persona dovrà essere sterminata; porterà il peso della sua iniquità.[3]

Parla ai figli d’Israele e di’ loro: Se uno commette peccato per ignoranza contro qualsiasi comandamento, facendo qualcosa che non dovrebbe fare, se pecca il sacerdote che è stato unto, rendendo così il popolo colpevole, offra all’Eterno per il peccato commesso un torello senza difetto, come sacrificio per il peccato.[4]

Nelle Scritture si differenzia tra i peccati intenzionali commessi senza rimorso né pentimento, e quelli non intenzionali e non premeditati — dovuti a negligenza o ad attimi di debolezza e di fragilità umana — dei quali una persona si pente e chiede il perdono a Dio.

Il teologo Wayne Grudem spiega:

Possiamo chiaramente vedere che alcuni peccati hanno conseguenze molto più dannose per noi, per gli altri e per il nostro rapporto con Dio. Se desiderassi l’automobile del mio vicino, davanti a Dio quello sarebbe un peccato. Se però il mio desiderio mi spingesse a rubare l’automobile, si tratterebbe di un peccato più grave. Se poi nel corso del furto lottassi con il mio vicino e lo ferissi, o se facessi del male a qualcun altro scappando via con la macchina, allora il peccato sarebbe molto più grave. […] La nostra conclusione, dunque, è che, in termini di risultato e in termini di livello della disapprovazione divina, alcuni peccati sono certamente peggiori di altri.[5]

Louis Berkhof scrisse:

I peccati commessi intenzionalmente, con piena consapevolezza del male implicato e con deliberazione, sono più gravi e più colpevoli di quelli che risultano dall’ignoranza, da una concezione errata delle cose o da una debolezza di carattere. Ciononostante, questi ultimi sono anch’essi peccati reali e rendono la persona colpevole agli occhi di Dio.[6]

Come cristiani, non siamo condannati per i nostri peccati, perché la morte di Gesù sulla croce ci ha garantito il perdono; comunque, ciò non significa che non pecchiamo, che peccare non abbia importanza, o che non soffriamo le conseguenze del peccato nella nostra vita, nel danneggiamento che esso porta al nostro rapporto con Dio, o nel male che causa ad altri e a noi stessi.

Come cristiani, il peccato non influenza la nostra posizione legale davanti a Dio. Siamo salvati, siamo suoi figli adottivi, siamo membri della sua famiglia e non perdiamo queste caratteristiche; non siamo condannati.

Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù.[7]

Il peccato, però, reca dispiacere a Dio. Egli non smette di amarci, proprio come noi non smettiamo di amare i nostri figli anche quando disubbidiscono o fanno cose sbagliate. Potremmo sentirci un po’ “distanti” dai figli che ci hanno disubbidito intenzionalmente e forse li dovremo correggere in qualche modo, ma sono pur sempre i nostri figli e continuiamo ad amarli. Còò è simile al rapporto tra noi e Dio quando pecchiamo. È pur sempre nostro Padre, continua ad amarci, ma il nostro rapporto con Lui si è in qualche modo danneggiato e si è creata una certa distanza tra noi.

Quando i figli disubbidiscono o si comportano nel modo sbagliato, i genitori si aspettano che chiedano scusa e, quando è il caso, esigono che riparino in qualche maniera. Anche se ci potrebbero essere delle conseguenze, il riconoscimento dell’errore, le scuse e la richiesta di perdono servono a riparare il danno fatto al rapporto tra il figlio e il genitore. Lo stesso concetto è valido nel nostro rapporto con Dio. Egli si aspetta che gli chiediamo perdono quando pecchiamo. Poiché Gesù ha già pagato per tutti i nostri peccati, chiedere perdono non ha niente a che fare con la nostra salvezza, ma è un modo di riparare al danno che i nostri peccati hanno causato al rapporto con Dio. Quando i suoi discepoli gli chiesero di insegnar loro a pregare, Gesù insegnò loro il “Padre nostro”, che dice tra l’altro:

Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; e perdonaci i nostri peccati […] [8]

Gesù disse ai suoi primi discepoli di chiedere al Padre di perdonare i loro peccati; come suoi discepoli di oggi, dovremmo fare lo stesso.

Le Scritture insegnano anche che Dio, nel suo amore per noi come suoi figli, ci corregge per il nostro stesso bene e per farci partecipi della sua santità.

“Perché il Signore corregge quelli che Egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli”. Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli. Inoltre abbiamo avuto per correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo forse molto di più al Padre degli spiriti per avere la vita? Essi infatti ci correggevano per pochi giorni come sembrava loro opportuno; ma Egli lo fa per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità. È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recar gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa.[9]

Come cristiani, dovremmo avere il desiderio di crescere nella fede e nel nostro rapporto con il Signore. Il peccato nella nostra vita impedisce la crescita spirituale e danneggia il rapporto con Dio; questo ci influenza negativamente in questa vita e ha possibili ripercussioni anche nell’aldilà.

La questione non riguarda la nostra colpevolezza legale, perché è già stata annullata dalla morte e dalla risurrezione di Gesù. Abbiamo già ricevuto la vita eterna mediante Cristo.

In verità, in verità vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna, e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.[10]

Comunque, la vita che conduciamo sulla terra ha qualche effetto sull’aldilà, come indicano le Scritture quando parlano della nostra comparizione davanti al tribunale di Cristo.

Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte nel corpo in base a ciò che ha fatto, sia in bene che in male.[11]

Poiché tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. Sta infatti scritto: “Come io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua darà gloria a Dio”.[12]

La Bibbia insegna che ci sono vari tipi di ricompensa per i salvati e che la vita che facciamo è uno dei loro fattori.

Ora, se uno costruisce sopra questo fondamento con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, stoppia, l’opera di ciascuno sarà manifestata, perché il giorno la paleserà; poiché sarà manifestata mediante il fuoco, e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edificato sul fondamento resiste, egli ne riceverà una ricompensa, ma se la sua opera è arsa, egli ne subirà la perdita, nondimeno sarà salvato, ma come attraverso il fuoco.[13]

Allora si fece avanti il primo e disse: "Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine"; ed egli disse: "Bene, servo buono, poiché sei stato fedele in cosa minima, ricevi il governo su dieci città". Venne poi il secondo, dicendo: "Signore, la tua mina ha fruttato altre cinque mine"; ed egli disse anche a costui: "Tu pure sii capo di cinque città”.[14]

La vita che conduciamo d’accordo con la volontà divina, il nostro rapporto con Dio, le nostre decisioni di peccare o non peccare, il frutto che portiamo: sono tutti fattori che contribuiscono alla nostra vita presente e a quella nell’aldilà. Come cristiani dovremmo stare molto attenti ai nostri pensieri e alle nostre azioni, se vogliamo condurre una vita religiosa. Non potremo essere liberi dal peccato e non lo saremo, ma possiamo fare uno sforzo per non peccare e, quando succede, possiamo chiedere regolarmente a Dio di perdonarci.

Essere riconciliati a Dio mediante Gesù, essere perdonati per i nostri peccati ed essere redenti, è il dono più meraviglioso che si possa ricevere — un dono personale, direttamente dalla mano di Dio. Non solo cambia la nostra vita oggi, ma anche per l’eternità. È un dono che ognuno di noi ha ricevuto e che ci viene chiesto di passare agli altri. È la buona notizia che siamo incaricati di dare agli altri, affinché anch’essi possano essere liberati dalla stretta del peccato e diventare figli del Dio eterno, amorevole, benigno e misericordioso.


[1] Giovanni 19,11.

[2] Ezechiele 8,6, 9–16.

[3] Numeri 15,30–31.

[4] Levitico 4,2–3.

[5] Wayne Grudem, Systematic Theology, An Introduction to Biblical Doctrine (Grand Rapids, MI: InterVarsity Press, 2000), 503.

[6] Louis Berkhof, Systematic Theology (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Company, 1996), 252.

[7] Romani 8,1.

[8] Luca 11,3–4 NR.

[9] Ebrei 12,6–11 NR.

[10] Giovanni 5,24.

[11] 2 Corinzi 5,10.

[12] Romani 14,10–12.

[13] 1 Corinzi 3,12–15.

[14] Luca 19,16–19.


Titolo originale: The Heart of It All: Sin – Are There Degrees of Sin?
Pubblicato originariamente in Inglese il 16 Ottobre 2012
versione italiana affissa il 25 Gennaio 2013;
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