La mangiatoia e l’albergo
Dicembre 23, 2012
di Peter Amsterdam
La mangiatoia e l’albergo
Ci sono alcuni aspetti della storia della nascita di Gesù che sono entrati nella tradizione, ma che non corrispondono esattamente a ciò che si afferma nel racconto evangelico. Tra di essi ci sono il fatto che Maria e Giuseppe furono respinti dall’albergo e dovettero stare in una stalla o in una grotta che serviva da riparo per gli animali; che la sera in cui arrivarono a Betlemme Maria entrò in travaglio; che i pastori e i tre re si raccolsero intorno alla mangiatoia in cui giaceva Gesù. Un esame più approfondito dei racconti evangelici della nascita di Gesù danno un’immagine un po’ diversa da quella delle tradizioni nate intorno ad essa.
Per cominciare, vediamo dove nacque Gesù e quale sistemazione furono in grado di trovare Maria e Giuseppe. Il Vangelo di Matteo dice che Gesù nacque a Betlemme, ma a parte questo non dà altri particolari. Luca afferma che Gesù nacque nella “città di Davide” e aggiunge che questa città era Betlemme. Nel Vecchio Testamento Gerusalemme era chiamata la città di Davide, perché fu lì che regnarono Davide e molti dei successivi re d’Israele. Betlemme però era la città dov’era nato Davide e da cui aveva origine la sua famiglia, così era anche conosciuta localmente come la città di Davide. Anche se i lettori locali del Vangelo di Luca avrebbero capito che si parlava di Betlemme, lui citò specificamente il nome del villaggio, poiché scriveva soprattutto per i credenti non ebrei, che non avrebbero fatto il collegamento.
Giuseppe e Maria viaggiarono fino a Betlemme perché Giuseppe discendeva dalla stirpe reale di Re Davide e quindi doveva tornare alla sua città ancestrale per il censimento che stava avendo luogo. Poiché era obbligatorio per tutti tornare alle loro dimore ancestrali per partecipare al censimento, Betlemme, un piccolo villaggio, molto probabilmente aveva molti visitatori e quindi la maggior parte degli alloggi era occupata.
Generalmente si ritiene che Giuseppe e Maria fossero andati al locale albergo, dove eventuali viaggiatori avrebbero alloggiato, e dato che era pieno furono respinti. Il fatto che il villaggio di Betlemme non fosse su una delle strade principali rende piuttosto improbabile la presenza di una locanda. La parola greca usata da Luca e tradotta con albergo, o locanda, è katalyma, che nel Nuovo Testamento è usata tre volte. Le altre due volte è tradotta con sala, stanza degli ospiti.[1] Quando Luca scrisse del buon samaritano che portò l’uomo lasciato per morto alla locanda, usò la parola greca pandocheion;[2] quindi molto probabilmente avrebbe usato la stessa parola nella storia della nascita, se avesse voluto indicare una locanda commerciale. Molto probabilmente voleva dire che non c’era spazio nella stanza degli ospiti, invece che nessuna stanza libera nella locanda.
Vediamo un po’ la situazione degli alloggi in quei giorni. Nei villaggi palestinesi del primo secolo le case consistevano di due stanze: quella principale in cui la famiglia cucinava, mangiava e dormiva, e una stanza separata per gli ospiti, collegata al fondo della casa con un ingresso separato o costruita sopra la casa principale.
L’idea di un semplice spazio abitabile composto da una sola stanza rientra nel riferimento di Gesù al non nascondere la lampada sotto un moggio, ma a metterla su un candeliere perché faccia luce a tutta la casa.[3] Se tutta la casa è illuminata da una sola lampada, allora dovrebbe essere costituita da una sola stanza.
La stanza principale della casa includeva anche un posto per gli animali, situata alcuni scalini più in basso o separata da alcune travi o assi. La porta della casa dava sulla zona adibita a stalla degli animali, poi ci sarebbero stati alcuni scalini per salire nella zona abitativa della famiglia. La testa di un animale grande, come un asino o una mucca, avrebbe potuto raggiungere dalla stalla il pavimento della casa, da dove avrebbe potuto mangiare il foraggio deposto in mangiatoie scavate nel pavimento della zona abitativa. Gli animali più piccoli, come le pecore, avrebbero potuto mangiare da mangiatoie di legno sistemate all’interno della stalla. In quei giorni, la gente che viveva nei villaggi teneva gli animali in casa di notte, sia per evitare i furti, sia per tenere caldo l’ambiente. Avrebbero portato dentro gli animali tutte le sere, per poi farli uscire la mattina.[4]
I lettori del Vangelo di Luca nel primo secolo molto probabilmente avrebbero capito il fatto che Giuseppe doveva portare la moglie incinta a Betlemme, perché vi era costretto dal censimento. Come discendenti della stirpe di Davide, Giuseppe e Maria sarebbero stati bene accolti dalla gente del villaggio. Probabilmente Giuseppe aveva dei parenti o degli amici lì, ma anche in caso contrario, per via della sua discendenza davidica gli avrebbero dato ospitalità secondo le loro possibilità, specialmente perché Maria era incinta. In circostanze normali sarebbero stati accolti nella stanza degli ospiti in casa di qualcuno; ma poiché a causa del censimento c’erano molte altre persone da ospitare, nelle case del villaggio non c’erano stanze disponibili. Secondo le usanze ospitali del villaggio, normali in qualsiasi villaggio ebraico dell’epoca, Giuseppe e Maria furono accolti nella parte abitabile della casa di qualcuno, probabilmente un parente o un amico, e là, giunta al temine della gravidanza, Maria avrebbe dato luce a Gesù.
Dopo la nascita il bambino fu avvolto in fasce, secondo le abitudini di quei giorni, e deposto in una mangiatoia — o quella scavata nel pavimento della stanza principale vicino a dove venivano tenuti gli animali, o in una più piccola, di legno, del tipo usato per gli animali più piccoli, che presumibilmente sarebbe stata spostata dalla stalla alla stanza principale della casa.
Questa interpretazione delle circostanze in cui nacque Gesù è in armonia con la cultura giudaica del periodo e con l’ospitalità che tipicamente sarebbe stata dimostrata a chi si fosse recato nel suo villaggio ancestrale, specialmente a qualcuno che arrivasse in un villaggio con la moglie in procinto di partorire. Per la gente della città di Davide, allontanare un discendente di Davide con una moglie incinta avrebbe portato vergogna all’intero villaggio.
Così, da dove sono giunte alcune delle interpretazioni tradizionali della storia del Natale? Molte giungono a noi da uno scritto del 200d.C. circa, chiamato Protovangelo di San Giacomo. Gli studiosi hanno stabilito che l’autore non fu l’apostolo Giacomo, non era ebreo e non sapeva niente della geografia palestinese o delle tradizioni ebraiche. Raccontò la storia della nascita e della vita di Maria e proseguì con la nascita di Gesù. È da questa storia che la gente si fece l’idea che Maria cominciò ad avere le doglie la notte che arrivò a Betlemme, che Gesù nacque in una grotta, che Maria era da sola durante il parto, che Giuseppe era un vecchio che aveva già altri figli e che Maria non solo era vergine prima della nascita di Gesù, ma rimase vergine tutta la vita. Alcune di queste idee rientrano nelle storie tradizionali e nella fede cattolica, ortodossa e protestante.
Ho pensato che potesse interessarvi sentire queste vedute delle circostanze in cui nacque Gesù diverse dalla tradizione. Ho accennato ad esse per il vostro interesse e per cercare di inquadrare la storia del primo Natale nel contesto del primo secolo. Ho trovato che leggere i Vangeli tenendo in mente questo contesto mi aiuta a capire meglio ciò che Gesù voleva dire con le sue parole e le sue azioni.
Naturalmente, che Gesù sia nato in una grotta, in una stalla o in una casa del villaggio, non è una questione essenziale e certamente non vale la pena di crearvi intorno un dibattito. La cosa essenziale è che nacque, che morì per i peccati del mondo e che tutti abbiano un’opportunità di saperlo. Conosciamo Gesù perché in qualche momento della nostra vita qualcuno ci ha parlato di Lui, o quando eravamo bambini o più tardi nella vita. È stata una grande benedizione per noi. Gesù ci ha chiesto di condividere con gli altri quello che abbiamo ricevuto. Questo è il mandato che ci ha affidato. Ci chiede di piantare questo seme nella vita degli altri, o di annaffiarlo, o di mieterne i frutti, a seconda dell’occasione. Ci chiede, come suoi seguaci, di mostrare il suo amore, di parlare agli altri di Lui e di presentarlo a chi non lo ha ancora incontrato. Lui vi indicherà che metodo usare, in base a chi incontrerete, perché ogni persona è diversa e ha bisogni diversi. Tutti però hanno bisogno di Lui. Hanno bisogno del suo amore, della sua pace e della sua salvezza. Ognuno di noi ha i mezzi per portare Lui e il suo amore nella vita degli altri, così facciamo tutto quel che possiamo, va bene?
Bibliografia
Bailey, Kenneth E. Jesus Through Middle Eastern Eyes. Downers Grove: InterVarsity, 2008.
Brown, Raymond E. The Birth of the Messiah. New York: Doubleday, 1993.
Edersheim, Alfred. The Life and Times of Jesus the Messiah. Peabody: Hendrickson, 1993.
Green, Joel B. The Gospel of Luke. Grand Rapids: William B. Eerdmans, 1997.
Green, Joel B., McKnight, Scot. Editors. Dictionary of Jesus and the Gospels. Downers Grove: InterVarsity, 1992.
Jeremias, Joachim. Jerusalem in the Time of Jesus. Philadelphia: Fortress Press, 1975.
Morris, Leon. The Gospel According to Matthew. Grand Rapids: William B. Eerdmans, 1992.
Pentecost, Dwight J. The Words & Works of Jesus Christ. Grand Rapids: Zondervan, 1981.
Sheen, Fulton J. Life of Christ. New York: Doubleday, 1958.
Stein, Robert H. Jesus the Messiah. Downers Grove: InterVarsity, 1996.
[1] Luca 22,11 e Marco 14,14.
[2] Luca 10,34.
[3] Matteo 5,15–16.
[4] Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 28–34.
Titolo originale: The Manger and the Inn
Pubblicato originariamente in Inglese l'11 Dicembre 2012
versione italiana affissa il 23 Dicembre 2012;
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