Le storie raccontate da Gesù: la parabola del servo ubbidiente, Luca 17,7-10

Maggio 15, 2018

di Peter Amsterdam

[The Stories Jesus Told: The Parable of the Obedient Servant, Luke 17:7–10]

Nel Vangelo di Luca troviamo diverse parabole che iniziano con una domanda che ha una risposta ovvia. Per esempio, Gesù chiese: Qual uomo fra voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro alla perduta finché non la ritrova?1 E: Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per vedere se ha abbastanza per portarla a termine?2 Altre parabole iniziano con domande a cui tutti risponderebbero con una negazione: E chi è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede […] un pesce gli dà al posto del pesce una serpe?3

La parabola del servo ubbidiente inizia, non con una domanda sola, ma con tre, due delle quali richiedono una risposta negativa e l’altra una risposta positiva.

«Ora chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge gli dirà quando è tornato a casa dai campi: “Vieni subito a metterti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Preparami la cena, rimboccati le vesti e servimi affinché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu”? Ringrazierà forse quel servo perché ha fatto le cose che gli erano state comandate? Non lo penso. Così anche voi, quando avrete fatto tutte le cose che vi sono comandate, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare”».4

In questa parabola Gesù parla di un servo. Alcune traduzioni della Bibbia si riferiscono a lui come a uno schiavo. Il motivo di ciò è che la parola greca doulos può essere tradotta come servo, servo vincolato o schiavo. Ai tempi di Gesù, la schiavitù era comune in tutto l’impero romano. Si calcola che dal venti al trenta per cento degli abitanti nell’impero fossero schiavi. Che Gesù abbia usato l’esempio di uno schiavo non significa che approvasse la schiavitù. Nella parabola usò un servo/schiavo per esprimere un certo punto, visto a quei tempi era una cosa molto comune ed era un concetto che la gente avrebbe certamente capito. Forse possiamo intravedere l’atteggiamento di Gesù riguardo alla schiavitù quando ci rendiamo conto che la richiesta rivolta ai suoi seguaci di perdonare i debiti5 avrebbe minato la base della schiavitù legata ai debiti. Nelle Scritture leggiamo anche che Gesù, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo (doulos, schiavo) .6

Ai tempi di Gesù la schiavitù non aveva niente a che fare con la razza, come successe poi nel Nuovo Mondo. Ai tempi dell’impero romano era opinione comune che la libertà di alcuni era possibile solo perché altri erano schiavi. I concetti della libertà come diritto universale e della schiavitù come un male erano molto estranei alla cultura dei tempi. La maggior parte degli schiavi veniva dalla parte perdente in un conflitto, i loro figli dopo di loro. Alcuni si vendevano perfino in schiavitù per sfuggire alla povertà o pagare i debiti. Altri lo facevano per ottenere qualche lavoro particolare. A volte gli schiavi potevano controllare delle proprietà e possedere a loro volta degli schiavi. Non era insolito che degli schiavi venissero liberati o a un certo punto fossero in grado di comprare la loro libertà. Alcuni schiavi erano istruiti e molti avevano posizioni delicate o di grande responsabilità. Alcuni erano istruiti e fungevano da medici, architetti, artigiani, negozianti, cuochi, barbieri e artisti. Alcuni gestivano gli affari del loro padrone ed erano considerati parte della loro famiglia. Nella cultura del tempo, molte persone traevano un senso d’importanza e di onore personale, oltre che sicurezza economica e alimentare, servendo qualcuno di un livello o uno strato sociale più alto e facendo parte della sua casa. Anche se non era sempre così, non era nemmeno una cosa insolita. In qualsiasi caso, tuttavia, ai giorni di Gesù gli schiavi erano schiavi e non persone libere.7

La risposta alla domanda iniziale sarebbe stata che nessun ascoltatore avrebbe nemmeno preso in considerazione l’idea che il servo, aratore o pastore che fosse, tornasse dal lavoro e si mettesse a tavola a mangiare. A quei tempi i ruoli di padrone e di servo erano ben definiti e tollerare una cosa del genere avrebbe indicato che il servo aveva lo stato di un ospite onorato o fosse uguale al padrone. Iniziare la parabola a questo modo avrebbe stuzzicato la curiosità degli ascoltatori.

Anche se a noi sembra piuttosto duro che ci si aspettasse che un uomo o una donna di ritorno da una giornata di lavoro dai campi cucinasse un pasto, si cambiasse indossando abiti adatti a servire il cibo, servisse il padrone e avesse il permesso di mangiare solo dopo essersi occupato di tutto per bene, nel mondo antico era considerata una cosa normale. Alla seconda domanda tutti avrebbero risposto che ovviamente il servo doveva tornare dai campi e dedicarsi a servire il padrone prima di mangiare.

Nel contesto di quei tempi, nessuno degli ascoltatori di questa parabola si sarebbe aspettato che un servo ricevesse un trattamento speciale solo per aver svolto i propri doveri. Il servo faceva semplicemente quello che ci si aspettava da lui. Il padrone non era in debito con il servo perché aveva custodito le pecore o arato il campo. Non era successo niente di straordinario e nessuno si aspettava che il servo ricevesse qualche privilegio per aver fatto semplicemente il suo lavoro. Il servo aveva messo le esigenze del padrone prima delle proprie. Aveva riconosciuto e accettato che il suo primo dovere era servire il padrone.

Alla terza domanda –ringrazierà forse quel servo perché ha fatto le cose che gli erano state comandate?– gli ascoltatori avrebbero risposto nuovamente: “Assolutamente no”. La parola greca tradotta con “ringraziare” è charis, che solitamente nel Nuovo Testamento è tradotta con “grazia”. Nel Vangelo di Luca, tuttavia, è usata anche per trasmettere il significato di credito o favore, suggerendo così l’aver ricevuto una ricompensa. La domanda quindi è: il maestro dà credito al servo o gli dà una ricompensa per aver fatto quello che gli era stato detto?

Kenneth Bailey lo spiega così:

Il padrone potrebbe benissimo esprimere il suo apprezzamento a un servo con qualche parola amichevole di ringraziamento, dopo una giornata di lavoro. La questione però è molto più seria. Il padrone è forse in debito col servo perché questo ha ubbidito ai suoi ordini? Questa è la domanda che si aspetta una risposta assolutamente negativa nella parabola.8

A questo punto Gesù si rivolse agli ascoltatori, che qui nel Vangelo di Luca sono i suoi discepoli, dicendo:

Così anche voi, quando avrete fatto tutte le cose che vi sono comandate, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare”.

Questa espressione, “servi inutili” – o in altre traduzioni “soltanto servi” o “servi indegni” – può essere tradotta anche con “senza bisogno”. In altre parole, afferma che i servi o i discepoli che fanno le cose comandate loro sono “senza bisogno”, nel senso che non hanno nessun credito nei confronti del padrone. Il padrone non è in debito col servo per aver fatto quello che si aspetta da lui.

Il messaggio, applicato ai discepoli, era che chi serve Dio non addebita niente a Dio. Dio non è indebitato con chi lo serve.

Ciò non significa che Dio non ricompensi chi lo ama e lo serve, ma solo che chi serve Dio non ha diritto a reclamare una ricompensa. Il nostro rapporto con Dio non implica che possiamo guadagnare, meritarci o negoziare una ricompensa. Un discepolo è un servo che serve il Signore per amore, dovere e lealtà nei suoi confronti. L’apostolo Paolo si definì un servo/servo-vincolato/schiavo, a seconda della versione biblica che leggete; ciò significa che vedeva il suo rapporto con il Signore come quello di una persona che lavora per un senso di dovere e lealtà, invece che per ottenere un guadagno finanziario o d’altro tipo. Serve con un senso di sicurezza totale, sapendo che il suo padrone si prenderà cura di lui.9

La salvezza è un dono che ci viene fatto da Dio; non lavoriamo per guadagnarcela. Svolgiamo il nostro servizio per gratitudine e amore, oltre che per un senso di dovere nei confronti di chi ci ha redento. Quando abbiamo fatto quello che ci ha ordinato, non lo mettiamo nella posizione di “doverci” qualcosa. Non dovremmo tenere un registro mentale di tutte le cose che abbiamo fatto per il Signore, aspettandoci che Lui si senta in debito con noi per averle fatte.

Ciò non significa che non ci siano ricompense per chi serve Dio. Gesù ne parlò molte volte.

Quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quello che fa la destra, affinché la tua elemosina si faccia in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. Quando preghi, entra nella tua cameretta, chiudi la tua porta e prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà pubblicamente.10

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno, vi scomunicheranno e vitupereranno, e bandiranno il vostro nome come malvagio, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e saltate di gioia, perché ecco, il vostro premio è grande in cielo; nello stesso modo infatti i loro padri trattavano i profeti.11

Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete i figli dell’Altissimo, perché egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi.12

Ci viene promessa una ricompensa, ma non dobbiamo credere che sia il nostro rapporto con Dio a farcela meritare, o che possiamo negoziare o darci da fare in qualche modo per ottenerla o guadagnarla. Come servi del Signore, lavoriamo per Lui per adempiere il nostro dovere per Lui. Ciò che riceviamo da Dio è un dono dalla sua mano, non un pagamento per i servizi resi. Per quanto possiamo lavorare sodo, per quanto facciamo e per quanto a lungo possiamo servire il Signore, Dio non sarà in debito con noi per questo, in nessuna circostanza. Lo serviamo perché ci ha salvato. Lo serviamo perché siamo grati. Lo serviamo perché lo amiamo. E Lui ci ricompensa perché il nostro servizio è motivato da amore e gratitudine e non dalla speranza di una ricompensa.


La parabola del servo ubbidiente, Luca 17,7-10

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge gli dirà quando è tornato a casa dai campi: “Vieni subito a metterti a tavola”?

8Non gli dirà piuttosto: “Preparami la cena, rimboccati le vesti e servimi affinché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu”?

9Ringrazierà forse quel servo perché ha fatto le cose che gli erano state comandate? Non lo penso.

10Così anche voi, quando avrete fatto tutte le cose che vi sono comandate, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare”».


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 Luca 15,4.

2 Luca 14,28.

3 Luca 11,11.

4 Luca 17,7–10.

5 Matteo 6,12.

6 Filippesi 2,6–7 .

7 Punti tratti da J. A. Harrill, Slavery, in C. A. Evans & S. E. Porter, eds., Dictionary of New Testament Background. (Downers Grove, IL: InterVarsity Press, 2000), 1124–1127.

8 Kenneth Bailey, Through Peasant Eyes (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1980), 120.

9 Ibid., 124.

10 Matteo 6,3–4.6.18.

11 Luca 6,22–23.

12 Luca 6,35.


Pubblicato originariamente in Inglese il 17 ottobre 2017.