Tragedie e trasformazioni, prima parte
Giugno 2, 2013
di Maria Fontaine
Tragedie e trasformazioni, prima parte
Esperienze che fanno crescere
Cara Famiglia,
vorrei darvi alcune notizie personali su cose che ho sperimentato e di cui mi sono occupata recentemente. Alcuni mesi fa avevo bisogno di una risposta per qualcosa che avevo nel cuore e mi sono rivolta al Signore con disperazione.
Questa è stata più o meno la mia preghiera:
“Gesù, tu conosci la mia passione per la missione. In un modo o nell’altro voglio che tutto ciò che faccio contribuisca ad essa. Ma mi sembra che manchi qualcosa, qualcosa che devo fare per essere più efficiente, per riuscire a parlare con maggior convinzione, dopo aver visto il bisogno da vicino. In qualche modo ho bisogno di vedere faccia a faccia la sofferenza e la miseria, la disperazione che travolge gran parte della popolazione mondiale. Devo capire ciò che tanta gente affronta ogni giorno della sua vita: non solo la sofferenza spirituale, ma anche le privazioni materiali. Ho bisogno di potermi identificare sinceramente con chi vive nella paura, quasi senza sapere cosa voglia dire essere amati o curati, o poter soddisfare anche solo quelle che consideriamo necessità essenziali della vita.
Non ho potuto farlo prima, Signore, ma sento che adesso per me è il momento di fare un passo e andare da qualche parte, anche se non so dove. Sono disponibile a qualsiasi cosa, ad andare da qualsiasi parte, in qualsiasi situazione.
La mia salute e i miei occhi sono deboli, dopo avere viaggiato per questioni pratiche e per andare a vedere Phoebe. Sembra un’idea pazza andare proprio adesso in un posto in condizioni di miseria e povertà. Ci saranno senz’altro delle malattie. Ma sembra che questo desiderio lo abbia messo Tu nel mio cuore; se vuoi che lo faccia, confido che mi guiderai, mi proteggerai e mi aiuterai a imparare le cose che hai preparato per me. Aiutami a essere una benedizione”.
Il Signore mi ha mostrato di cercare online e in poco tempo mi ha guidato sul sito di una missione a Tijuana, una città messicana sul confine con la California meridionale. Era una missione “senza fronzoli”, che comprendeva molti progetti diversi e sembrava avere lo Spirito di Dio in abbondanza.
Ho deciso di fare qualche sondaggio. Ho mandato un’email al direttore e dopo nemmeno tre ore ho ricevuto come risposta la conferma che erano lieti che andassi e che ci sarebbe stato un posto per me e per chiunque altro avessi voluto portare. Il messaggio diceva: “Ci faccia sapere l’ora d’arrivo e verremo a prenderla all’aeroporto”.
Ho fatto qualche altra domanda sulla situazione e il direttore ha risposto che erano abituati ad avere altri gruppi di americani che venivano a visitare l’opera, ma che durante l’ultimo anno il loro numero era calato drasticamente, per colpa del “fattore paura” causato dall’aumento della violenza in Messico, con le guerre tra cartelli della droga e i molti omicidi. Ha aggiunto, comunque, che alcuni gruppi pensavano di fare una visita entro poco tempo.
Ero pronta a partire per questa missione da sola, se necessario, ma il Signore ha toccato il cuore di un’aderente di LFI, una brava interprete, disposta ad accompagnarmi e con la quale avrei potuto consigliarmi e pregare.
Quando siamo arrivate, siamo rimaste colpite dalle persone dedite e premurose che erano incaricate del posto e delle sincere attenzioni che hanno dimostrato nei confronti di due signore anziane come noi, con i capelli grigi, venute a fare un’esperienza con il loro lavoro. Ho scoperto che, nonostante avessero molte altre cose da fare, consideravano molto importante il compito di assistere i visitatori e spiegavano il loro lavoro con molta attenzione, mostrandolo ai visitatori e facendoli partecipare ad esso.
Mentre eravamo là, abbiamo visitato il rifugio per gli uomini e l’orfanotrofio e siamo andati in città, nel quartiere a luci rosse, che è un posto che hanno molto a cuore e dove hanno vinto molte donne al Signore. Siamo andate in un centro dove contribuiscono al recupero dei tossicodipendenti mediante un programma di discepolato. Con loro siamo andate anche nella discarica della città, dove prestano assistenza. Ogni settimana vanno anche in giro per le strade a dar da mangiare ai senzatetto e a invitare le donne senza casa ad andare da loro una volta alla settimana per avere una colazione calda e fare la doccia. Assistono anche molti ragazzi provenienti da famiglie disfunzionali e recentemente il Signore ha fornito loro un diacono per i giovani, così da poter espandere il loro ministero.
Anche se fa male al cuore vedere così tanta gente disperatamente povera e bisognosa, l’atmosfera della missione è piena di speranza e ottimismo.
Abbiamo visto persone dedite e trasformate, che non avevano più in volto i segni devastanti del peccato e il dolore della miseria spirituale e materiale che prima affliggeva la loro vita. Abbiamo visto persone belle, piene di lodi e di fede, che Dio aveva cambiato soprannaturalmente e che a loro volta aiutavano e assistevano gli altri.
Nel rifugio, offrendo un po’ d’incoraggiamento a un senzatetto.
Un membro del personale dell’orfanotrofio mi ha fatto visitare l’istituto.
Questa è una delle stanze dei ragazzi.
Alcuni dei bambini dell’orfanotrofio.
Un angolo della stanza in cui abbiamo alloggiato insieme a un’altra donna.
Un alloggio semplice ma pulito.
Ho visto ciò che ero venuta a vedere. Ho sentito ciò che ero venuta a sentire. Sono andata nei posti in cui dovevo andare per vedere un microcosmo del dolore sofferto da un’alta percentuale del mondo e che raramente posso vedere. Per me è facile usare il termine “senzatetto” senza sentire la mancanza di una casa, senza immaginare i tombini e gli altri posti in cui molti di loro si accalcano, tenendosi strette le loro poche cose e magari una coperta, con la paura di essere attaccati e derubati da un momento all’altro, le donne stuprate … e se arriva la pioggia, di dover uscire in fretta per non rimanere fradici o annegare. È molto facile per me parlare di tossicomani, senza vedere la presa che questo vizio ha sulla loro vita, con il costante panico delirante di quando non trovano droga, gli aghi sporchi, i reati a cui alcuni di loro si dedicano per riuscire ad avere una dose, il rifiuto da parte delle loro famiglie, la perdita di parenti e amici.
È facile dire “prostituzione” e non chiamarla per quel che è: schiavitù sessuale. Queste donne spesso sono sfruttate e temono per la propria vita, se non portano ai loro protettori, i loro “padroni”, il denaro preteso per la vendita del loro corpo. Poi ci sono le molte donne povere i cui mariti le hanno abbandonate con tre, quattro, cinque figli, senza alcuna fonte di mantenimento, che devono mandare i bambini a mendicare ogni boccone per strada, dove sono alla mercé di persone malvagie e prive di scrupoli, che li utilizzano per il proprio tornaconto, e da dove spesso spariscono senza alcuna notizia. O gli orfani che sono in condizioni ancora peggiori, se fosse possibile, visto che non hanno una madre.
Poi ci sono migliaia di uomini, donne e bambini che sono vissuti illegalmente per molti anni negli Stati Uniti, dove hanno avuto una vita discretamente buona e da dove hanno finito per essere deportati e scaricati oltre il confine messicano, senza niente — né casa, né contatti, né documenti, nessun modo di guadagnarsi da vivere, completamente indigenti. Molti di loro, trovandosi in simili ristrettezze, cadono nelle mani dei cartelli della droga e sono costretti a fare da schiavi e a vivere in una zona bellica clandestina fatta di paura, avidità di potere, odio e omicidio.
Gran parte del mondo è fatta di queste cose. Mi rendo conto di aver bisogno di vedere queste situazioni ogni tanto. Devo ricordare a me stessa in maniera chiara quanto lavoro c’è da fare e come Dio piange davanti alla brutalizzazione del mondo, alla devastazione e al saccheggio del mondo e di ciò che ha creato.
È facile parlarne, ma la vera questione è che cosa posso fare io per effettuare un cambiamento? Perché obbligare me stessa ad affrontare una desolazione tanto orribile, se non posso fare niente al riguardo? Penso che attraverso tutto questo Dio mi stia dicendo che c’è qualcosa che posso fare. Non posso fare molto fisicamente o finanziariamente, ma devo fare quel che posso. Anche se si tratta solo di pregare. Anche se posso soltanto dirlo a voi. Qualsiasi cosa Lui mi mostri di fare, è quello che devo fare.
Mi hanno colpito due articoli sul nostro sito LFI di notizie, su un ministero in una discarica in Egitto. Vi invito a leggerli. (La prima parte è qui e la seconda qui [in inglese].) Fa vedere quello che ha potuto realizzare un uomo pieno di passione e di visione, ubbidiente alla chiamata di Dio. Probabilmente la maggior parte di noi non farà niente di così importante, ma possiamo lo stesso fare la differenza cercando intorno a noi le persone che sono disperate e traumatizzate, sventurate, disperate e angosciate. Ce ne sono in ogni paese e in ogni città e noi possiamo fare una differenza per loro — nella vita di molte, o di una, due o tre. La loro vita sarà benedetta perché avrete dedicato del tempo a portare un po’ dell’amore di Dio al loro cuore, alla loro mente e al loro corpo. Gesù è orgoglioso di noi, quando seguiamo il suo esempio di amare le persone più deboli e bisognose e prenderci cura di loro. Si rallegra, quando con le nostre parole e le nostre azioni portiamo Lui e il suo amore agli altri. Può esserci un compito più importante di questo?
Titolo originale: Tragedies and Transformations, Part 1
Pubblicato originariamente in Inglese l'11 Maggio 2013
versione italiana affissa il 2 Giugno 2013;
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