Vivere il Cristianesimo: i Dieci Comandamenti (Proteggere la vita umana, parte 6)
Novembre 3, 2020
di Peter Amsterdam
Vivere il Cristianesimo: i Dieci Comandamenti (Proteggere la vita umana, parte 6)
Vecchiaia e morte, 1
[Living Christianity: The Ten Commandments (Safeguarding Human Life, Part 5)]
(I punti di questo articolo sono tratti da Christian Ethics, di Wayne Grudem.1)
Finora in questa serie mi sono occupato degli argomenti sulla difesa della vita (autodifesa, guerra) oltre a quelli sul togliere la vita (suicidio, eutanasia e aborto). Argomento di questo articolo in due parti saranno la vecchiaia e la morte naturale. Come sappiamo, tutte le persone invecchiano e alla fine muoiono. Secondo le Scritture, sia la vecchiaia che la morte sono un risultato del peccato di Adamo.
L’Eterno DIO prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. E l’Eterno DIO comandò l’uomo dicendo: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai».2
Adamo ed Eva disubbidirono a questo comando e mangiarono il frutto dell’albero; quando lo fecero Dio li giudicò per il loro peccato.
«Mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto; poiché tu sei polvere, e in polvere ritornerai».3
La pena di morte non fu applicata immediatamente, ma invecchiarono gradualmente con il tempo e alla fine morirono.
Così tutto il tempo che Adamo visse fu di novecentotrent’anni; poi morì.4
Anche nel Nuovo Testamento leggiamo che la morte fu introdotta a causa del peccato di Adamo.
Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato…5
Infatti, siccome per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Perché, come tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo.6
Poiché viviamo in un mondo caduto nel peccato, invecchiamo e alla fine moriamo. Anche se la vecchiaia e la morte sono un giudizio o una punizione caduti sull’umanità perché il peccato è entrato nel mondo, i cristiani non devono più vederle come una punizione. L’apostolo Paolo scrisse:
Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù, i quali non camminano secondo la carne ma secondo lo Spirito, perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte.7
Per noi la morte è diventata l’ingresso all’eternità con Dio; incontriamo la morte, poi riceviamo tutti i benefici della salvezza che il sacrificio di Gesù sulla croce ci ha portato.
A meno che uno abbia una morte prematura a causa di un incidente o una malattia, la maggior parte della gente vive fino alla vecchiaia. Poiché nei paesi sviluppati le persone vivono molto più a lungo che in passato, i medici che si specializzano nella cura degli anziani hanno sviluppato qualifiche diverse per chi raggiunge la vecchiaia. Per esempio, uno studio li separa in anziani giovani (60-69), anziani intermedi (70-79) e molto anziani (dagli 80 in su). Un altro studio li raggruppa in anziani giovani (65-74), anziani (74-78) e anziani vecchi (dagli 85 in su).
Anche se il processo d’invecchiamento può portare alcune difficoltà, porta con sé anche alcune cose che da una prospettiva cristiana possono essere viste come benedizioni. Per esempio, con l’età c’è la diminuzione delle forze fisiche e forse anche un po’ di quelle mentali; questo tuttavia può portare a un rapporto più profondo con Dio e offrire una forza spirituale maggiore. L’apostolo Paolo provò qualche tipo di debolezza o afflizione (una spina nella carne) che Dio non gli tolse, anche se Paolo chiese di esserne liberato.
Inoltre, affinché non m’insuperbisca per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata data una spina nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi, affinché non m’insuperbisca. A questo riguardo ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza». Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo, perché quando io sono debole, allora sono forte.8
Mentre invecchiamo e il nostro corpo diventa più debole, possiamo imparare dagli insegnamenti di Paolo e applicare i principi da lui espressi: che nella debolezza possiamo diventare forti, che la grazia di Dio è lì per noi nel momento del bisogno e che la forza di Gesù si poserà su di noi nella nostra debolezza. Anche se il modo in cui il Signore ci usa potrà cambiare man mano che invecchiamo e le nostre forze e le nostre energie diminuiranno, la forza di Gesù continuerà a posarsi su di noi e Lui potrà usarci per diffondere in mezzo agli altri il suo messaggio e il suo amore.
L’apostolo Paolo scrisse anche di come in qualche modo la debolezza del suo corpo sembrava continuare ad aumentare.
Perciò noi non ci perdiamo d’animo; ma, anche se il nostro uomo esteriore va in rovina, pure quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti la nostra leggera afflizione, che è solo per un momento, produce per noi uno smisurato, eccellente peso eterno di gloria; mentre abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.9
Anche se Paolo non scriveva specificamente di come stesse invecchiando, il principio di cui parlava si adatta anche al processo dell’invecchiamento. È inevitabile che man mano che invecchiamo il nostro corpo s’indebolisca e alla fine muoia. Comunque, il nostro “uomo interiore”, il nostro spirito, si rinnova di giorno in giorno e non morirà mai. Man mano che invecchiamo, dobbiamo aspettarci il declino fisico; comunque possiamo aspettarci anche un continuo rinnovamento interiore e una crescita spirituale, mentre ci avviciniamo fedelmente a Dio e Lui si avvicina a noi.10
Mentre invecchiamo, probabilmente dovremo affrontare alcune sfide legate all’età, che ci causeranno difficoltà per le quali dovremo confidare in Dio. Simili circostanze ci solleciteranno a pregare e confidare nel Signore mentre gli chiediamo le soluzioni adatte a ciò che dovremo affrontare. Mentre il processo d’invecchiamento indebolisce i nostri corpi, possiamo chiedergli la grazia e la forza di vivere in maniera da glorificarlo e lodarlo.
A causa del peccato di Adamo per aver disubbidito a Dio, tutta l’umanità è afflitta dalla morte. Comunque, grazie alla morte di Gesù e al suo sacrificio sulla croce per i nostri peccati, al suo ritorno la morte sarà distrutta.
Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto è la morte.11
L’apostolo Paolo paragona il nostro corpo umano a una tenda e fa notare che in questa tenda noi gemiamo, desiderando di essere rivestiti della nostra abitazione celeste.12 Scrisse che noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo.13 Più invecchieremo, più profondo sarà il nostro desiderio di avere il corpo risorto che riceveremo al ritorno di Gesù — un corpo che sarà molto diverso dalla “tenda” fragile in cui viviamo adesso.
Paolo afferma che il nostro vecchio corpo debole che muore e viene sepolto è simile a un seme piantato nel terreno. Questo seme alla fine produrrà una pianta nuova.
Così sarà pure la risurrezione dei morti; il corpo è seminato corruttibile e risuscita incorruttibile. È seminato ignobile e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita pieno di forza.14
Come cristiani, non abbiamo nulla da temere dalla morte. Gli autori del Nuovo Testamento scrivono in maniera positiva della morte di un credente. L’apostolo Paolo scrisse:
Preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore.15
In seguito, quando era in prigione, con la chiara possibilità di essere giustiziato, dichiarò:
Per me infatti il vivere è Cristo, e il morire guadagno. Ma non so se il vivere nella carne sia per me un lavoro fruttuoso, né posso dire che cosa dovrei scegliere, perché sono stretto da due lati: avendo il desiderio di partire da questa tenda e di essere con Cristo, il che mi sarebbe di gran lunga migliore.16
Nel libro dell’Apocalisse l’apostolo Giovanni scrisse:
Beati i morti che d’ora in avanti muoiono nel Signore; sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono.17
Come credenti, abbiamo la certezza che la morte non potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.18
Anche se sappiamo che i credenti che muoiono stanno con il Signore, fa parte della natura umana provare dolore quando se ne vanno, perché non sono più con noi in questa vita. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo che, quando Gesù udì della morte del suo amico Lazzaro, il fratello di Maria e Marta, pianse.19 Provò profondo dolore per la morte di Lazzaro, tanto che i Giudei dissero: «Vedi come l’amava!»20 Leggiamo che Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro.21 Nel libro degli Atti leggiamo di quando Stefano predicò agli anziani, agli scribi e ai consiglieri giudei che lo fecero uccidere. Al suo funerale, alcuni uomini pii portarono a seppellire Stefano e fecero grande cordoglio per lui.22 Quel cordoglio era un’appassionata dimostrazione di dolore e di lutto, che includeva pianti, singhiozzi, gemiti e lamenti.
I cristiani che piangevano per Stefano sapevano che era in cielo perché avevano visto che egli, ripieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio, e disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio».23 Ciononostante manifestarono pubblicamente il dolore per la sua morte perché non avrebbero più avuto la sua compagnia in questa vita.
Nella prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo scrisse:
Ora, fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate contristati come gli altri che non hanno speranza.24
Ciò che voleva dire è che i credenti non dovrebbero provare lo stesso dolore per la morte di un amico o di un parente cristiano, di quelli che non hanno fede in Dio e nell’aldilà. Il dolore che i cristiani provano per la morte di un credente dovrebbe essere unito alla speranza e alla gioia, perché quel credente è alla presenza di Dio. Paolo fece notare che i credenti che sono morti sono con il Signore.
Dio non ci ha destinati all’ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.25
Anche se proviamo dolore per la morte di una persona cara che è cristiana, il nostro lutto dovrebbe essere unito a lodi e ringraziamenti a Dio per la vita da lei vissuta e perché ora è alla sua presenza.
Quando muoiono dei membri non-cristiani della nostra famiglia personale o altre persone cui ci sentiamo vicini, il dolore che proviamo è diverso, perché non è unito alla stessa certezza che sono con il Signore. È un dolore che può essere molto forte. L’apostolo Paolo manifestò un tale dolore quando scrisse di alcuni dei suoi fratelli ebrei che avevano rifiutato il Signore.
Io dico la verità in Cristo, non mento, perché me lo attesta la mia coscienza nello Spirito Santo; ho grande tristezza e continuo dolore nel mio cuore. Infatti desidererei essere io stesso anatema e separato da Cristo per i miei fratelli, miei parenti secondo la carne.26
Ovviamente non sappiamo con certezza se una persona che consideriamo incredula abbia accettato Gesù come salvatore in qualche momento della sua infanzia o prima di morire. Spesso, quando una persona si rende conto dell’avvicinarsi della morte, si ricorda qualche testimonianza di chi aveva trovato la salvezza, oppure una testimonianza specifica che aveva ricevuto e che in precedenza aveva rifiutato ma ora accetta. Oppure ritorna alla fede semplice che aveva da giovane, ma che in seguito aveva disprezzato o rifiutato.
Quando muore un non-cristiano, è meglio non fare affermazioni che sia andato in cielo, perché potrebbe essere fuorviante e dare una falsa sicurezza. Quando qualcuno muore, spesso le persone che gli erano più vicine riflettono sulla propria vita e sull’immortalità e potrebbero avere il desiderio di parlare della propria mortalità con un amico cristiano. Ciò potrebbe offrire l’opportunità di parlar loro di Gesù e dell’aldilà, portandole a ricevere il Signore.
(Continua nella parte 2)
Nota
Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.
1 Wayne Grudem, Christian Ethics (Wheaton: Crossway, 2018).
2 Genesi 2,15–17.
3 Genesi 3,19.
4 Genesi 5,5.
5 Romani 5,12.
6 1 Corinzi 15,21–22.
7 Romani 8,1–2.
8 2 Corinzi 12,7–10.
9 2 Corinzi 4,16–18.
10 Giacomo 4,8.
11 1 Corinzi 15,25–26.
12 2 Corinzi 5,2.
13 Romani 8,23 NR.
14 1 Corinzi 15,42–43.
15 2 Corinzi 5,8 NR.
16 Filippesi 1,21–23.
17 Apocalisse 14,13.
18 Romani 8,39.
19 Giovanni 11,35.
20 Giovanni 11,36.
21 Giovanni 11,38.
22 Atti 8,2.
23 Atti 7,55–56.
24 1 Tessalonicesi 4,13.
25 1 Tessalonicesi 5,9–10.
26 Romani 9,1–3.
Pubblicato originariamente in inglese il 10 settembre 2019.