Donne di fede: nei Vangeli, parte 1

Novembre 1, 2016

di Peter Amsterdam

[Women of Faith: In the Gospels, Part 1]

(Questo fa parte di una serie di quattro articoli che esplorano il ruolo delle donne nel Nuovo Testamento, per far luce sul ruolo particolare da loro svolto agli inizi del Cristianesimo e sull’importanza del loro ruolo nella chiesa di oggi.)

Nei Vangeli leggiamo dappertutto delle interazioni di Gesù con persone provenienti da ogni strato della società – maschi e femmine, giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, religiosi e non religiosi. Come Figlio di Dio, il suo modo di interagire con gli altri e quello che diceva alle persone o faceva con loro rifletteva il modo di vedere di suo Padre.

Per esempio, quando leggiamo di come Gesù disse che lo Spirito del Signore lo aveva unto per evangelizzare, o portare un buon messaggio ai poveri,1 o di come disse al giovane ricco di vendere tutto quello che aveva e darlo ai poveri,2 o alla persona che lo aveva invitato a pranzo che avrebbe dovuto invitare i poveri, gli zoppi, gli storpi e i ciechi,3 arriviamo a comprendere che le parole e le azioni di Gesù rispecchiavano la preoccupazione di Dio per i poveri.

Così, quando nei Vangeli leggiamo dei rapporti di Gesù con le donne, vediamo il suo atteggiamento, e di conseguenza quello di Dio, nei loro confronti. Vediamo che parla con loro, le guarisce, ha compassione di loro, le istruisce e rivela loro alcuni aspetti della sua natura. Le donne sono ritratte come buoni esempi nelle parabole, furono testimoni della sua morte e furono le prime a entrare nella tomba vuota dopo la sua risurrezione. La differenza tra l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne e quello della cultura dei suoi giorni è sorprendente, quando vediamo la posizione che le donne avevano nella Palestina del primo secolo.

Una breve panoramica sul posto occupato dalle donne nel mondo romano/mediterraneo dell’epoca, e in modo particolare in Israele, ci fa capire come i rapporti di Gesù con le donne fossero fuori dalla norma. Il mondo mediterraneo di quei tempi era patriarcale – cioè, letteralmente, sottoposto al “controllo del padre”. In un sistema sociale ciò si riferisce al dominio che i maschi hanno sulle femmine e al loro controllo sulle donne nella vita personale, nella casa, nel matrimonio, nelle istituzioni religiose e nella società in genere. Mentre gli uomini mediterranei partecipavano alla vita pubblica impegnandosi nel commercio e nella politica e socializzando nei luoghi pubblici, le donne avevano uno spazio limitato alla sfera privata ed erano per lo più relegate in casa.4

Similmente, nella società ebraica le donne avevano una condizione inferiore agli uomini. Le opere ebraiche di quell’epoca offrono una veduta costantemente negativa delle donne, dipingendole come esseri inferiori in tutti i campi e obbligate a essere sottomesse agli uomini. Tra le varie preghiere ebraiche ce n’era una in cui cui gli uomini ringraziavano Dio per non essere nati come pagani, schiavi o donne. Nelle opere rabbiniche s’indicava chiaramente che le donne erano considerate più sensuali e meno razionali degli uomini, delle ammaliatrici; di conseguenza gli uomini evitavano di avere contatti sociali e conversazioni con loro al di fuori del matrimonio.

Anche se le Scritture insegnavano che tutti gli Israeliti dovevano ascoltare la Legge,5 le donne in genere ricevevano un’istruzione religiosa minima. Il loro ruolo nel culto era limitato, perché non potevano entrare nel settore interno del tempio e non potevano avere funzioni di sacerdozio. Né potevano essere rabbine. Le loro attività principali erano domestiche ed erano considerate aventi poco da offrire nella vita pubblica o religiosa.

Il diverso grado in cui le donne erano trattate come persone inferiori variava in parte a seconda della località. Filone, uno scrittore ebreo che viveva ai giorni di Gesù, descrisse le donne ebree nella città di Alessandria, spiegandoci che erano mantenute secluse e non potevano nemmeno avvicinarsi alla porta esterna. Le ragazze nubili, poi, rimanevano confinate nelle stanze interne (le stanze delle donne) e per pudore evitavano di esporsi agli sguardi degli uomini, anche a quello dei loro parenti più stretti.6 Anche se molte (ma non tutte) le donne a Gerusalemme, la capitale dell’antica Israele, conducevano una vita altrettanto restrittiva, le donne sposate nella Palestina rurale potevano spostarsi in pubblico con più libertà, perché spesso dovevano aiutare i loro mariti nel lavoro agricolo e nel commercio. Non era comunque consueto che un uomo parlasse con una donna che non conosceva; e le donne non potevano lavorare o viaggiare da sole.

Nel descrivere la vita delle donne ebraiche di quei tempi, citando alcune precedenti opere ebraiche, lo scrittore Joachim Jeremias disse:

I doveri principali della moglie riguardavano la casa. Doveva macinare il grano, cuocere il pane, lavare, cucinare, allattare i figli, preparare il letto per il marito e, come rimborso per il proprio mantenimento, filare e tessere la lana. Altri compiti erano: preparare la tazza del marito e lavargli faccia, mani e piedi. Questi doveri manifestavano il suo rapporto servile nei confronti del marito; ma i diritti che lui aveva su di lei andavano ancora oltre. Era sua qualsiasi cosa lei trovasse (e in questo era simile a una schiava pagana), oltre a qualsiasi guadagno dal suo lavoro manuale; aveva anche il diritto di annullare i suoi voti. La moglie era obbligata a obbedire a suo marito come se questi fosse un padrone.7

Prosegue dicendo:

Come una schiava non-ebrea e una bambina minorenne, una donna è sottoposta a un uomo, che ne è padrone; ciò limita anche la sua partecipazione ai servizi divini e per questo è inferiore all’uomo da un punto di vista religioso. […] Abbiamo quindi l’impressione che anche il Giudaismo ai tempi di Gesù avesse un’opinione piuttosto scarsa delle donne. Erano tenute recluse il più lontano possibile dal mondo esterno, sottomesse al potere del padre o del marito, ed erano inferiori agli uomini da un punto di vista religioso.8

Quando nei Vangeli leggiamo dei rapporti e delle interazioni di Gesù con le donne, è chiaro che la sua era una prospettiva molto diversa. Gesù vedeva le donne come persone piene di dignità, valore e spiritualità. Si vede nel modo in cui le guarì, oltre che nel suo perdono e nella sua accettazione di donne che erano ritenute ritualmente impure e socialmente indesiderabili.

Un esempio di guarigione è quello della suocera di Pietro, di sabato.

Egli si avvicinò, la prese per la mano e l'alzò, e immediatamente la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. 9

Un simile gesto nei confronti della suocera di un discepolo potrebbe non sembrarci molto importante oggi, ma come scrisse Ben Witherington:

Anche se vi erano dei precedenti in cui dei rabbini prendevano la mano di un uomo e lo guarivano miracolosamente, non ve ne sono di rabbini che lo facessero per una donna, e certamente non di sabato, quando il gesto avrebbe potuto attendere fino al tramonto. 10

Iairo, capo di una sinagoga e padre di una bambina che stava morendo, implorò che Gesù andasse a casa sua. Mentre ci andavano, qualcuno venne loro incontro per strada, dicendo che sua figlia era morta. Gesù andò lo stesso alla casa e prese per mano la bambina, dicendole: “Fanciulla, alzati!» E il suo spirito ritornò in lei e subito ella si alzò. 11 Anche una bambina era preziosa per Gesù, al punto da spingerlo a infrangere la legge mosaica per guarirla, perché toccare un cadavere rendeva ritualmente impuiri – ma Gesù la toccò lo stesso.

Mentre Gesù andava a casa di Iairo, ci fu un’altra guarigione:

Una donna, affetta da emorragia da ben dodici anni, gli si avvicinò da dietro e gli toccò un lembo del vestito, perché pensava: «Se riesco anche soltanto a toccare il suo vestito, sarò guarita». Gesù, voltandosi, la vide e le disse: «Coraggio figliuola, la tua fede ti ha guarita!» E da quel momento la donna stette bene.12

Anche qui Gesù dimostra il suo amore e la sua compassione per una donna ignorando la Legge. Una donna con un’emorragia era considerata ritualmente impura ed essere toccato da lei tecnicamente avrebbe reso impuro anche Lui. Invece Lui diede più importanza alla sua guarigione che alle regole della purificazione rituale.

In un’altra occasione, mentre predicava in una sinagoga durante il Sabato, vide una donna che da diciotto anni aveva uno spirito che la rendeva inferma.

Era tutta curva e assolutamente incapace di raddrizzarsi.13Gesù le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». Pose le mani su di lei, e nello stesso momento ella fu raddrizzata e glorificava Dio.14

Il capo della sinagoga, indignato, obiettò che Gesù non avrebbe dovuto guarirla durante il Sabato, affermando che:

«Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato».15

Gesù rispose chiamandolo ipocrita, facendo notare che le persone fanno il lavoro di slegare gli asini e portarli ad abbeverarsi durante il Sabato; e aggiunse:

«Non doveva quindi essere sciolta da questo legame, in giorno di sabato, costei che è figlia di Abraamo e che Satana aveva tenuta legata per ben diciotto anni?»16

Gesù chiamò la donna “figlia di Abraamo”. In nessun altro luogo delle Scritture o delle opere rabbiniche viene usata una frase simile. Nel definirla tale, Gesù richiamò la frase comunemente usata “figlio di Abraamo”; così facendo sottolineò il fatto che lei, come donna, era una discendente di Abraamo, il padre del popolo ebraico, e doveva essere trattata come tale; mentre l’interpretazione tipica delle leggi sul Sabato, come indicato dal rimprovero del capo della sinagoga, era che in pratica un semplice animale da soma valeva di più. Non solo Gesù guarì la donna, ma ristabilì anche la sua dignità. Usando il titolo “figlia di Abraamo”, Gesù suggeriva il fatto più ampio che una donna, una discendente di Abraamo, era degna della sua attenzione e della guarigione come qualsiasi maschio ebreo e aveva lo stesso diritto a rivendicare il proprio retaggio religioso.17

Mentre si avvicinava alla città di Nain, Gesù incontrò il funerale del figlio unico di una vedova. Vedendo la madre che piangeva, Gesù ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». Accostatosi, toccò la bara, e i portatori si fermarono; allora egli disse: «Giovinetto, io ti dico, alzati!» E il morto si mise a sedere e cominciò a parlare. E Gesù lo consegnò a sua madre.18 Vediamo la premura di Gesù per il lutto di questa madre e il suo gesto di misericordia nei suoi confronti. Gesù le ridiede il figlio, assicurandole così il suo mezzo di sostentamento e riportando la gioia nella sua vita. Qui vediamo un esempio dell’attenzione di Gesù e quindi di suo Padre per le donne che hanno perso marito e figli.

Gesù non si limitò a dimostrare rispetto e a interagire con donne ebree, ma anche con delle straniere, come vediamo nel suo incontro con la Samaritana al pozzo di Giacobbe. Mentre attraversava la Samaria, in viaggio dalla Giudea alla Galilea, arrivò in una città chiamata Sichar. Si fermò ai bordi della città verso mezzogiorno, mentre i suoi discepoli andavano a cercare del cibo. Si sedette accanto a un pozzo situato in un campo che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe. Una Samaritana venne a prendere acqua al pozzo e Gesù le chiese di dargli da bere. La donna rimase sorpresa della richiesta di Gesù per due motivi: perché era un uomo (che all’epoca generalmente non parlavano con donne che non conoscevano) e perché era ebreo – e gli Ebrei non avevano a che fare con i Samaritani.19

Gesù ebbe una conversazione con la donna e durante la discussione le rivelò di sapere che era stata sposata molte volte e che l’uomo con cui viveva al momento non era suo marito. Man mano che la conversazione proseguiva, Gesù le disse di essere il Messia. Quando i discepoli di Gesù tornarono, la donna corse in città e raccontò a tutti di Gesù:

«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto; non sarà forse lui il Cristo?»20 Veniamo poi a sapere che molti Samaritani di quella città credettero in lui, a motivo della parola che la donna aveva attestato: «Egli mi ha detto tutte le cose che io ho fatto». Quando poi i Samaritani vennero da lui, lo pregarono di restare con loro; ed egli vi rimase due giorni. E molti di più credettero a motivo della sua parola.21

Gesù parlò con una donna di un popolo, i Samaritani, contro il quale gli Ebrei nutrivano un profondo pregiudizio; per di più lei viveva con un uomo che non era suo marito, quindi era doppiamente impura, per essere samaritana e adultera. Non solo Gesù le parlò, ma le rivelò di essere il Messia. In seguito lei testimoniò davanti ad altri e portò frutto. Da questa descrizione delle azioni di Gesù apprendiamo che una donna – e non solo donna, ma perfino non-ebrea, impura e peccatrice – può diffondere il messaggio divino con altri.

Leggendo la storia della visita di Gesù a Marta e Maria, scopriamo che le donne, non solo possono diffondere il messaggio come nel caso della samaritana, ma possono anche essere discepole. Quando Gesù fece visita a Betania, Marta lo accolse in casa sua. Marta aveva una sorella che si chiamava Maria, la quale si pose a sedere ai piedi di Gesù, e ascoltava la sua parola.22 Questo infastidì Marta, perché stava preparando il pranzo e si aspettava che Maria l’aiutasse. Gesù le disse: Marta, Marta, tu ti preoccupi e t’inquieti per molte cose; ma una sola cosa è necessaria, e Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.23

La risposta di Gesù non voleva sottostimare il lavoro di Marta per essergli ospitale, né stava attaccando il ruolo tradizionale di una donna nella casa; stava invece difendendo il diritto intellettuale e spirituale di Maria d’imparare da Lui, dicendo che tale apprendimento era la cosa più essenziale per chi volesse servirlo.24 L’affermazione che Maria si pose a sedere ai piedi di Gesù, e ascoltava la sua parola è vista come un modo per dire che stava facendo quello che fa un discepolo. Paolo usò questa frase quando disse di essere stato un seguace/discepolo del maestro ebreo Gamaliele prima della conversione: Io sono un Giudeo, nato in Tarso di Cilicia e allevato in questa città ai piedi di Gamaliele.25 Maria è rappresentata come una discepola che siede e apprende ai piedi del suo Maestro. Gesù dice che Marta ha scelto “la buona parte”, sottintendendo che lei e altre donne che fanno la stessa cosa hanno un posto di uguale importanza in mezzo ai suoi discepoli.

In Matteo sentiamo che quando Gesù chiese ai suoi discepoli «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro, rispondendo, disse: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».26 Quest’affermazione è ritenuta una chiave nei Vangeli, perché Pietro, rappresentando tutti i discepoli, dimostra una conoscenza di chi è Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, quando Gesù andò a Betania perché era morto Lazzaro, il fratello di Marta e Maria, Marta uscì a incontrarlo. Nel corso della loro conversazione, Gesù le disse che Lazzaro sarebbe risuscitato. Lei rispose: «Lo so che risusciterà nella risurrezione, all’ultimo giorno».27 Con quelle parole esprimeva la visione comune della risurrezione dei morti insegnata dai farisei. Gesù rispose rivelando qualcosa su di Sé e sulla propria natura:

«Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, anche se dovesse morire, vivrà. E chiunque vive e crede in me, non morrà mai in eterno. Credi tu questo?»28Maria rispose: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che doveva venire nel mondo».29

La sua risposta alla rivelazione di Gesù di essere la risurrezione e la vita era una dichiarazione di fede altrettanto forte di quella di Pietro e, come quella, è risuonata nel corso dei secoli.

Il fatto che Marta abbia ricevuto da Gesù un’affermazione così profonda su se stesso e abbia dato una risposta precisa e sentita, da vera discepola, indica che Lui era disposto a insegnare alle donne le vie e i misteri della fede e che esse erano capaci di rispondere con fede. In breve, le donne sono in grado di essere discepole a tutti gli effetti.30

Finora abbiamo visto che Gesù dimostrò amore e compassione per le donne guarendo loro o i loro cari. Non era neanche particolarmente preoccupato di poter diventare ritualmente impuro toccando quelle che lo erano a causa di malattie, mestruazioni, peccati o morte. Infranse la Legge mosaica guarendole di Sabato e rimproverò un capo religioso per aver obiettato alla sua guarigione di una “figlia di Abraamo” di Sabato. Insegnò a Maria come a una discepola; e rivelò qualcosa di drammatico su di Sé e sulla propria natura a Marta, che rispose con una dichiarazione di fede simile a quella dell’apostolo Pietro. Queste parole e queste azioni da parte di Gesù dimostrano che le donne sono persone complete e con uguali diritti agli occhi suoi e del Padre.

Nel prossimo articolo vedremo le donne nelle parabole, le donne che viaggiarono con Gesù come sue discepole, quelle che furono presenti alla sua crocefissione e furono le prime testimoni della sua risurrezione.


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 Luca 4,18.

2 Luca 18,22.

3 Luca 14,13–14.

4 Stanley J. Grenz and Denise Muir Kjesbo, Women in the Church (Downers Grove: InterVarsity Press, 1995), 72.

5 Deuteronomio 31,12; Giosuè 8,35.

6 Joachim Jeremias, Jerusalem in the Time of Jesus (Philadelphia: SCM Press, 1969), 360–61.

7 Ibid., 369.

8 Ibid., 375.

9 Marco 1,30–31.

10 Ben Witherington III, Women in the Ministry of Jesus (Cambridge: Cambridge University Press, 1983), 67.

11 Luca 8,54–55.

12 Matteo 9,20–22.

13 Luca 13,11 NR.

14 Luca 13,12–13 NR.

15 Luca 13,14.

16 Luca 13,16.

17 Witherington, Women in the Ministry of Jesus, 72.

18 Luca 7,13–15.

19 Giovanni 4,9.

20 Giovanni 4,29.

21 Giovanni 4,39–41.

22 Luca 10,39.

23 Luca 10,41–42.

24 Witherington, Women in the Ministry of Jesus, 101.

25 Atti 22,3.

26 Matteo 16,15–16.

27 Giovanni 11,24.

28 Giovanni 11,25–26.

29 Giovanni 11,27.

30 Witherington, Women in the Ministry of Jesus. 109.


Pubblicato originariamente in Inglese il 10 maggio 2016.