Gesù – la sua vita e il suo messaggio: il sermone sul monte

Gennaio 21, 2017

di Peter Amsterdam

(Puoi leggere lo scopo di questa serie e una sua veduta d’insieme in questo articolo introduttivo.)

Come pregare (parte 5)

[Jesus—His Life and Message: The Sermon on the Mount, How to Pray (Part 5)]

Questo è il quinto di una serie di articoli sulla parte del Sermone sul Monte in cui Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare.

Dopo aver visto le prime tre richieste in cui preghiamo che Dio sia riverito, che il suo regno venga e che la sua volontà sia fatta come in cielo così in terra, ora passiamo alle tre richieste successive. Passando a questa parte della preghiera, si notano chiaramente due cambiamenti. Nel primo, l’attenzione della preghiera passa dalle richieste riguardanti il Padre a quelle che riguardano i bisogni umani. Notiamo questo schema – dare la precedenza a Dio e poi passare ai bisogni umani – anche in altri punti degli insegnamenti di Gesù.

«Qual è il primo comandamento di tutti?» E Gesù gli rispose: «Il primo comandamento di tutti è: “Ascolta, Israele: Il Signore Dio nostro è l’unico Signore”, e: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Questo è il primo comandamento. E il secondo è simile a questo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”».1 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più.2

Nella parte successiva, la preghiera passa dalla seconda persona singolare (il tuo nome, il tuo regno, la tua volontà) alla prima persona plurale (il nostro pane, i nostri debiti, noi). La persona che prega si sta rivolgendo a Dio, ma la preghiera non si concentra solo sui suoi bisogni individuali, ma anche su quelli degli altri credenti; la richiesta è per il “nostro” pane, per il perdono dei “nostri” peccati e per liberare “noi” dal male. Preghiamo come singoli e a beneficio dell’intera comunità di quelli che credono in Dio e dipendono da Lui.3

Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.4

L’interpretazione di questa quarta richiesta, dacci oggi il nostro pane quotidiano, ha presentato alcune difficoltà per gli studiosi. Il termine greco epiousio, tradotto con “quotidiano”, si trova solo nei Vangeli e non è utilizzato in nessuno altri testo greco antico. Dato che non vi sono altri casi a cui confrontarlo, i tentativi di traduzione si basano per lo più sulla forma greca della parola stessa. Ciò significa che esistono tre possibilità principali: (1) dal nome che significa “sostanza, essere, essenza” – nel senso di pane per il sostentamento, necessario per l’esistenza; (2) dal verbo “essere” – nel senso di pane per il presente, per oggi: (3) dal tempo futuro del verbo “venire” – nel senso di pane per il giorno a venire, per il futuro.

Non esiste un’opinione comune sul significato esatto che s’intende esprimere qui, di conseguenza nel corso dei secoli ci sono stati diversi modi di vedere questa richiesta. Uno d’essi è che sia una preghiera perché Dio ci dia il futuro pane del regno, il pane della salvezza. Alcuni degli antichi Padri della chiesa ritenevano che significasse l’Eucaristia, il pane della Comunione. Altri lo traducono con “pane per oggi”, come in “dacci oggi il nostro pane quotidiano”; mentre altri ritengono che significhi il pane di domani, o “dacci giorno per giorno il nostro pane quotidiano”. La maggior parte dei commentatori contemporanei ritengono che pane per oggi o pane per domani siano le traduzioni probabilmente più accurate. Considerando che nell’ultima parte dello stesso capitolo (Matteo 6) Gesù insegna a non essere in ansia per le cose della vita, cibo e vestiti compresi, ma ad aspettarci che Dio li supplisca, è probabile che questa richiesta nella Preghiera del Signore abbia a che fare con i bisogni presenti del corpo.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,5 come dice in Matteo, e Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,6 com’è scritto in Luca, indicano entrambi la richiesta che nostro Padre provveda ai nostri bisogni quotidiani – qualunque cosa sia necessaria per mantenerci in vita. Nel chiedergli di sopperire ai nostri bisogni, esprimiamo la nostra dipendenza da Lui. Nella vita del primo secolo intorno al Mediterraneo, gli operai erano pagati giorno per giorno e avevano soltanto il necessario per vivere da un giorno all’altro. La paga del giorno serviva per il cibo del giorno. La vita in circostanze così insicure dava grande significato alla preghiera. Che Dio provvedesse al pane quotidiano avrebbe anche ricordato al popolo ebreo di come aveva dato loro la manna quando erano nel deserto. La prima volta che la videro, si chiesero cosa fosse. Mosè disse loro: Questo è il pane che il SIGNORE vi ha dato da mangiare.7 Dio forniva loro quel che bastava per quel giorno e il sesto giorno ne forniva il doppio, così che non dovessero raccoglierla durante il Sabato.8 Dio forniva letteralmente il loro pane quotidiano.

Quando facciamo questa preghiera, riconosciamo la nostra dipendenza dal Padre celeste. Esprimiamo il fatto che ci aspettiamo che sia Lui a supplire ai nostri bisogni materiali, quando gli chiediamo di farlo. Le istruzioni che riceviamo sono di pregare per i nostri bisogni, non per il lusso o l’abbondanza. Il Signore vuole che confidiamo in Lui e dipendiamo da Lui per la soddisfazione dei nostri bisogni.

La quinta richiesta dice:

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Nel Sermone sul Monte, dopo il Padre Nostro, si pone di nuovo l’accento sul perdono: Perché, se voi perdonate agli uomini le loro offese, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini le loro offese, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre.9

Ciò fa sorgere una domanda: se siamo membri del regno di Dio mediante il sacrificio e la morte di Gesù, il fatto che non perdoniamo gli altri significa che Dio revocherà la nostra salvezza e i nostri peccati passati non saranno più perdonati? La risposta breve è no, ma ci sono altre cose da prendere in considerazione.

È utile capire che quando Dio disse a Mosè di salire sul monte a ricevere i comandamenti, gli diede alcune informazioni importanti su di Sé.

Il SIGNORE discese nella nuvola, si fermò con lui [Mosè] e proclamò il nome del SIGNORE. Il SIGNORE passò davanti a lui, e gridò: «Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà, che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione!»10

Dio rivelò di essere intrinsecamente misericordioso, di avere un amore costante e irremovibile, e di essere pronto al perdono. Questi attributi fanno parte della natura divina, sono intrinsechi al suo Essere. Il perdono fa parte dell’essenza divina. Perdona l’iniquità (perversione, depravazione, scelleratezza, malvagità), la trasgressione (commettere azioni che violano i suoi comandamenti e i suoi insegnamenti morali, ribellione) e il peccato (azioni, pensieri e comportamenti contrari a ciò che Dio ha insegnato). Dio, per sua stessa natura, perdona.

Vediamo la misericordia, la generosità e il perdono di Dio raffigurati nella parabola raccontata da Gesù sul servo inclemente (Matteo 18,23-35), quando parlò di un re che perdonò al suo servo un debito di 10.000 talenti. Basandosi su un salario di un denaro al giorno, questa somma equivarrebbe grossomodo a 150.000 anni di lavoro. Chiaramente la capacità divina di perdonare è illimitata. Nella parabola, la persona a cui era stato perdonato un simile debito astronomico rifiutò di perdonare un suo credito di 100 denari, equivalente a circa cento giorni di lavoro. Purtroppo questo rappresenta noi quando siamo riluttanti a perdonare gli altri.

La Preghiera del Signore in Matteo usa le parole debiti e debitori per raffigurare il peccato, mentre Luca usa peccati e debitori:

Perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore.11

In aramaico, la lingua madre di Gesù, la parola khoba era usata per indicare sia i debiti sia i peccati. I debiti di Marco e i peccati di Luca rappresentano entrambi delle trasgressioni contro Dio.

Kenneth Bailey spiega:

La parola di Matteo, “debiti”, si riferisce a delle obbligazioni insoddisfatte nei confronti di Dio e dei nostri simili, cioè a cose lasciate incomplete. Avremmo dovuto trattare con compassione il nostro prossimo, ma abbiamo mancato di farlo; il nostro amore per Dio è incompleto. Dal lato opposto, i discepoli devono fare i conti con “le cose che non avremmo dovuto fare”. […] I credenti sono colti fra le responsabilità trascurate e le azioni commesse che non sono in armonia con la volontà divina […] I fedeli devono ricordare che stanno chiedendo il perdono per aver mancato di adempiere ciò che Dio richiede loro (i debiti) e per non aver fatto la cosa giusta quando hanno fatto qualcosa (le offese).12

L’osservazione di Bailey copre quelli che sono conosciuti come peccati di omissione (le cose che avremmo dovuto fare, ma non abbiamo fatto)13 e i peccati di azione (quelli che abbiamo commesso in pensieri, parole o azioni).

Quando Gesù disse ai suoi discepoli di pregare perdona i nostri debiti come noi perdoniamo ai nostri debitori, parlava di essere perdonati per i nostri peccati. Nella parabola del servo inclemente, citata sopra, Dio aveva perdonato il debito del servo. Nella parabola, il perdono di Dio venne prima, ma fu ritirato quando la persona perdonata non ne perdonò un’altra; questo dimostra che c’è un collegamento tra le due cose. Chiaramente c’era l’attesa che la persona a cui era stato perdonato un debito così grande perdonasse a sua volta quelli degli altri. Anche se i vari commentari che ho usato per fare ricerche su questo argomento usano tutti parole diverse per spiegare questo concetto, tutti indicano lo stesso punto: la grazia e la misericordia di Dio hanno perdonato i nostri peccati al momento della salvezza. Quindi, dobbiamo perdonare gli altri come un’estensione della grazia divina. Chi è perdonato perdona gli altri. Se non siamo disposti a perdonare gli altri, ci sarebbe da chiedersi se abbiamo effettivamente ricevuto il suo perdono anche noi.

La riconciliazione – la fine del conflitto e il rinnovamento della relazione – è l’elemento caratteristico del Cristianesimo, del regno di Dio. Dio ha riconciliato il rapporto tra Sé e l’umanità peccatrice attraverso Gesù. Con il suo perdono ci ha offerto un rapporto rinnovato. Come cittadini del suo regno, anche noi, con il nostro perdono, dobbiamo rinnovare i rapporti con le persone che hanno peccato contro di noi. Dobbiamo riflettere la natura divina, che è intrinsecamente misericordiosa e magnanima. Fa parte dell’essere cristiani.

Perdonare qualcuno per la ferita e il danno che ci ha causato non vuol dire che quello che hanno fatto sia giusto, o che non fosse dannoso o sbagliato. Era sbagliato, era dannoso, forse perfino crudele. Quando perdoni, non vuol dire che non sei stato offeso; perdoni qualcuno per l’offesa. Così facendo rifletti l’amore, la misericordia e la grazia di Dio. Il perdono è un gesto profondamente divino. Riflette di aver compreso il perdono del “valore equivalente a 10.000 talenti” o del “valore equivalente a 150.000 anni di lavoro”, che Dio ha concesso a noi. Tutti i peccati – di azione, omissione, operato o pensiero – sono offese, debiti e peccati che abbiamo commesso contro Dio. E ogni giorno pecchiamo in qualche modo. Tuttavia, nel suo amore e nella sua misericordia risoluti, Lui ci perdona.

Come seguaci di Cristo, cittadini del suo regno, persone che gli permettono di regnare nella nostra vita, siamo tenuti a perdonare gli altri come Lui ha perdonato noi. Così preghiamo: come Tu, Padre, hai perdonati i nostri debiti, anche noi perdoniamo i nostri debitori.

Quando non confessiamo i nostri peccati, chiedendo di essere perdonati, e/o siamo riluttanti a perdonare chi ha peccato contro di noi, danneggiamo il nostro rapporto con Dio. Siamo sempre suoi figli, ma ci siamo allontanati da Lui. Rifiutando di perdonare gli altri per le loro offese nei nostri confronti, i nostri peccati non sono perdonati e quindi il rapporto con il Padre ne rimane danneggiato.

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Soffrendo e morendo sulla croce, Gesù si addossò la punizione per i nostri peccati. Pagò un prezzo enorme per portare la riconciliazione tra ognuno di noi e il Padre. Non vuol dire che il suo sacrificio abbia reso giusti i nostri peccati; significa invece che soffrì al nostro posto e prese la punizione su di Sé. Fu un gesto di puro amore. Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo), con misericordia e amore, soffrì per poter concedere il perdono, rendendo possibile la riconciliazione tra l’umanità e Dio. Siamo chiamati a seguire l’esempio divino, a perdonare – anche quando siamo stati feriti e offesi, anche quando perdonare ci costa.

Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo.15

(Continua)


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


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1 Marco 12,28–31.

2 Matteo 6,33 NR.

3 Green e McKnight, Dictionary of Jesus and the Gospels, 622.

4 Matteo 6,11–13.

5 Matteo 6,11 CEI, NR. Nella LND: “necessario”.

6 Luca 11,3 CEI, NR. Nella LND: “necessario”.

7 Esodo 16,15 NR.

8 Esodo 16,13–26.

9 Matteo 6,14–15.

10 Esodo 34,5–7 NR.

11 Luca 11,4.

12 Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 125–26.

13 Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato (Giacomo 4,17).

14 Per una spiegazione più completa vedi Perdono e salvezza nell’Angolo dei Direttori.

15 Efesini 4,32.


Pubblicato originariamente in Inglese il 9 agosto 2016.