La perseveranza della ragazza col sorriso

Dicembre 26, 2011

di Maria Fontaine

Per molti di noi, la parte più difficile della testimonianza è rompere il ghiaccio. E subito dopo viene quella di perseverare per tutto il tempo che il Signore ci mostra, anche quando una persona non sembra recettiva.

Quando testimoniate non vi sembra che sia molto importante restare concentrati sul Signore e cercare di capire di che cosa ha bisogno quella persona? Se mi fermo a ragionare su cosa può pensare di me, o sulla possibilità che rifiuti la mia offerta, spesso comincio a esitare e a chiedermi se le cose che mi vengono in mente sono veramente quelle giuste. Le sto dicendo nel modo più significativo? Riesco a farmi capire? Faccio le domande giuste? Sto ascoltando attentamente le risposte di quella persona?

Così, quando sento che il Signore mi spinge a testimoniare a qualcuno, mi do subito da fare per creare un contatto, anche se ciò significa ignorare la sua corazza di sarcasmo o i suoi tentativi di sembrare padrone di sé e dotato di autocontrollo. Spesso bisogna essere insistenti in maniera cordiale. A volte all’inizio non sembrano assetati spiritualmente. A volte non sembrano il tipo di persona che ha bisogno di risposte profonde e di ciò che posso dire per aiutarla. Anzi, a volte non sono per niente pronti a fare domande di alcun genere.

A volte la reazione iniziale alla mia testimonianza può sembrare perfino priva di considerazione, negativa o un po’ antagonistica. Se però il Signore mi ha condotto a quella persona, allora mi sento responsabile di fare del mio meglio per piantare un seme di verità nel suo cuore e nella sua vita. Quando la situazione lo consente, cerco di fare delle domande per stimolare la conversazione con la persona a cui sto testimoniando, in modo da aiutarla a pormi eventuali domande cui posso rispondere con quello che il Signore mette nel mio cuore.

Non sempre vedo immediatamente i risultati, ma una cosa che ho imparato è che non si può giudicare il cuore di una persona dalle apparenze, o dalle sue reazioni iniziali. Se sono convinta che Gesù vuole che parli a qualcuno, allora so che in qualche modo avrò l’influenza che Lui desidera, anche se non me ne accorgo.

Voglio raccontarvi una storia a dimostrazione del punto che la perseveranza spesso è essenziale per convincere qualcuno che il vostro interesse nei suoi confronti non è superficiale. Molta gente di questi tempi ha perso la speranza e ha bisogno di convincersi che la vostra preoccupazione è sincera. Sopportare qualche secco rifiuto iniziale può servire a convincerla che state offrendo qualcosa di reale e che siete interessati. Non sappiamo mai veramente che pensieri passano per la testa e nel cuore di qualcuno. Non si sa mai che cosa può fare un po’ di verità unita a perseveranza e a sincera premura per un’altra anima, finché non ci provate.

Osservai la sfera infuocata del sole discendere nel cielo fino alla superficie dell’acqua sull’orizzonte lontano. Immaginai di essere un poeta e di poter mettere in versi questo spettacolo tanto quotidiano. Le parole non potevano esprimere quello che vedevo; erano inadeguate. Era uno spettacolo maestoso, tuttavia in qualche modo per me estremamente deprimente. Annunciava la fine di un giorno, il momento in cui il regno della notte mi avrebbe di nuovo avvolto. Mi accovacciai sulla sabbia, sentendomi come un naufrago su una spiaggia deserta, mentre la sfera di luce dorata scivolava sempre di più nell’acqua come un grande Titanic solare, lanciando in ogni direzione le sue vampate finali di luce colorata, illuminando il mare per alcuni momenti impressionanti, come in attesa di essere salvato, finché con un ultimo rantolo affondò nelle acque. Poi sparì. Il crepuscolo indugiò per qualche momento, poi fu anch’esso sopraffatto dall’oscurità.

Non c’era la luna in cielo e il buio sembrava completo, tranne per le stelle, moltissime, che si resero lentamente visibili nel cielo. Mi sembrava lo stesso che fossero così piccole e che la loro luce fosse così fioca in quelle tenebre tetre. Tetraggine era una parola che trovavo appropriata. Avevo pensato molto a questo. Tetro era la parola che sembrava descrivermi meglio. Ero un vuoto circondato da tetraggine. Ero un buco nero, un buco di scarico nel mio universo, nel quale scompariva tutto ciò che rappresentava gioia e felicità. Abbattuto, solo, maledissi la vita e maledissi me stesso. I miei abiti neri riflettevano la mia psiche. Il nero mi avvolgeva nel suo vuoto. Non ero niente. Nessuna luce sfuggiva da questa carcassa che ero io.

Non ero sempre stato così cupo. Avevo riso. Avevo giocato. Avevo perfino goduto di alcune cose. Sembrava che fosse passato così tanto tempo. A volte non ero nemmeno sicuro di essere la stessa persona. Forse era stato un sogno. Che cos’è la vita? — mi chiesi — Qual è il suo scopo? Perché sono qui? “Che domande stupide” — mi arrivò la risposta — “Non c’è niente. Tu sei niente. Non hai uno scopo. Sei solo una massa di cellule in evoluzione che si sforzano di mantenere vivo un corpo. La tua mente è vuota e non hai un grande destino. Sei uno scherzo della natura in un mondo fatto di tanti sgorbi privi di altro scopo se non quello di funzionare fino al momento della morte”.

Mi venne in mente la parola verità. Che cos’è la verità? La sabbia che sento tra le dita dei piedi è vera? L’acqua là fuori che ha inghiottivo il sole è vera? È tutto privo di senso? Se lo è, allora la verità è un concetto astratto e stupido. Se le cose materiali sono l’unica verità esistente e la mia stessa esistenza non ha niente di più profondo, allora tanto vale farla finita. Diventerò sabbia, pensai. Allora farò parte della verità. Il mio corpo è verità perché può marcire e far parte dell’ambiente. La mia mente, i miei pensieri,  sono solo scintille elettriche che fluttuano senza scopo dentro il mio cervello.

Ero depresso. Ero molto depresso. Tutti i miei pensieri consci sembravano portare a un'unica conclusione: morire era meglio di vivere. La morte era una cosa razionale, perché la mia mente si sarebbe fermata — ed io volevo davvero fermarla. La vita rappresentava confusione. Be’, nella morte ci sarebbe stata la pace. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio della confusione. Mi ritornò in mente la parola verità e mi dissi: Cosa diavolo è la verità?

“Ciao!” – una voce invase la mia realtà. Alzai lo sguardo e vidi una persona dagli occhi pieni di luce e dal sorriso raggiante. Dapprima mi risentii per quell’intrusione e ancor di più, penso, per gli occhi e il sorriso. Questa persona stava irrompendo nella mia confusione e i miei demoni interiori odiavano la cosa.

“Possiamo parlare?” – chiese la ragazza col sorriso. Parlare! Quella parola riverberò nel guscio vuoto della mia testa, rimbalzando da un capo all’altro. Rimasi lì curvo sulla sabbia, incapace di pensare a una risposta.

“Mi sembri giù” – continuò lei. – “C’è qualcosa che non va?”

“Tutto e niente” – risposi, senza sapere da dove erano uscite quelle parole. Dentro di me lottava un miscuglio di emozioni, tra il risentimento e la curiosità. “Odio il tuo sorriso” – continuai involontariamente.

“Oh!” – disse. – “Se vuoi me ne vado”.

“Sì! Vorrei restare da solo con il mio vuoto e la mia infelicità. Il tuo sorriso non si addice al mio umore”. In quel momento provai più disgusto che mai per me stesso, per aver detto qualcosa di tanto stupido. Per favore, insisti ancora un po’, implorai dentro di me. Be’, lo fece e quel poco fece molta strada. Parlammo della verità e delle tenebre, delle menzogne, della notte e di molte altre cose, fino a tardi.

Non era da sola. Nel mio stordimento e nella mia tristezza l’avevo notata un po’ prima, seduta non molto distante con un altro ragazzo, prima che il sole tramontasse. Si era avvicinata per parlarmi da sola, ma il suo amico in qualche modo era riuscito a intrufolarsi mentre parlavamo. Stava seduto quasi rispettosamente di fianco alla ragazza col sorriso, come una sentinella mite, senza rompere il contatto tra lei e me, quasi come se stesse proteggendolo da qualsiasi interruzione. Sembrava in sintonia con quello di cui parlavamo, ma non interferiva.

Un po’ più in là un altro gruppo di persone stava seduto intorno a un fuoco acceso per allontanare l’oscurità. Ogni tanto qualcuno sbirciava nel buio per osservarci, senza mai cercare di allontanare da me la ragazza e la sua sentinella. Era come se intorno a noi si fosse formata una bolla protettiva.

Ci vollero delle ore, o almeno così sembrò, ma quella notte scoprii la verità. Trovai Gesù e il suo amore e mi accorsi che il mondo e ogni cosa attorno a me aveva un senso. Nel primo bagliore di quel sorriso avevo sentito che la mia ricerca della verità era arrivata a termine, ma dovevo esserne sicuro. Dovevo essere convinto. Qualcuno dovette investire il suo tempo ed io ne approfittai. Se la verità esisteva, non si sarebbe completamente manifestata in un lampo, pensavo. E non lo fece, ma come una marea regolare mi levò dal fango di un’esistenza priva di senso e mi sollevò gradualmente verso le rive della speranza.

Non penso che la ragazza col sorriso e la sua sentinella si resero pienamente conto che quella notte non si limitarono a salvare un’anima. Non li incontrai più, ma casomai leggessero questo, voglio che sappiano di aver salvato un’anima e di averla indirizzata ad aiutare altri. So fino a quali profondità si può cadere, ma ho anche trovato la via d’uscita da quell’abisso. Sulla mia strada ho incontrato molte altre persone che hanno toccato il fondo e sono stato in grado di tirarle su. Quelle ore pazientemente impiegate a sconfiggere i miei demoni con la perseveranza e la verità sono veramente servite! Grazie, ragazza col sorriso.[1]


[1] Cooper C. (N. B., Canada.), pubblicato con autorizzazione.


Titolo originale: Perseverance by Smiley
Pubblicato originariamente in Inglese il 5 Novembre 2011
versione italiana affissa il 26 Dicembre 2011;
statistiche: 1.652 parole; 8.166 caratteri

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