Le storie raccontate da Gesù: il fariseo e il pubblicano, Luca 18,9-14

Luglio 14, 2013

di Peter Amsterdam

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La parabola del fariseo e del pubblicano è raccontata solo nel libro di Luca, capitolo 18, versetti dal 9 al 14. Tra le altre cose, la parabola esamina l’elemento fondamentale della salvezza. Iniziamo con il dare un’occhiata ai due personaggi della storia.

Il fariseo

I farisei erano membri della società ebraica che avevano credenze molto forti sull’ubbidire sia alle leggi mosaiche sia alle tradizioni tramandate “dai padri”. Queste tradizioni non facevano parte delle leggi di Mosè, ma i farisei le consideravano alla stregua della legge.

Il nome “fariseo” significa “separato” o “messo da parte”.

Si sforzavano di osservare la legge mosaica, in particolar modo le leggi che avevano a che fare con la decima e la purezza. Molti ebrei non rispettavano queste leggi riguardanti il cibo, la preparazione degli alimenti e il lavaggio delle mani, quindi i farisei stavano molto attenti alle persone con cui mangiavano, per non diventare ritualmente impuri. Alcuni di loro criticavano Gesù perché mangiava con i peccatori e disprezzavano i suoi discepoli perché mangiavano senza lavarsi le mani.[1] In più di un’occasione criticarono Gesù anche  per aver violato le leggi riguardanti il Sabato.[2]

I farisei erano noti perché andavano ben oltre al dovuto, quando si trattava di questioni religiose. La legge scritta richiedeva il digiuno soltanto una volta l’anno, durante Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione, tuttavia alcuni farisei digiunavano due volte la settimana, il secondo e il quinto giorno — lunedì e martedì — con un gesto di religiosità autoimposto. Davano la decima su tutto ciò che ricevevano, andando oltre ciò che la legge richiedeva.

La maggior parte degli ebrei non seguiva la legge mosaica altrettanto severamente  dei farisei; quindi gli ebrei dei tempi di Gesù li consideravano molto giusti e pii.

Il pubblicano

Ora vediamo il pubblicano, cioè l’esattore delle tasse. C’erano tre tipi di tasse richieste dai romani che governavano Israele ai tempi di Gesù: imposta sulla terra, sulla persona e dazi doganali. Le tasse erano i tributi dovuti a Roma, che aveva conquistato la Palestina nel 63 a.C.

Il pubblicano nella parabola probabilmente era collegato al sistema doganale. In tutto l’impero romano c’era un sistema di dazi e tributi che venivano raccolti nei porti, in uffici appositi e alle porte delle città. Le tariffe variavano tra il due e il cinque per cento del valore delle merci trasportate di città in città. Nei viaggi lunghi, una persona che portava alimenti da un posto all’altro poteva essere tassata diverse volte. Il valore della merce era stabilito dall’esattore.[3]

Il sistema doganale e di esazione delle tasse funzionava ad appalto: alcune persone benestanti facevano la loro offerta su quanto avrebbero pagato a Roma per il privilegio di raccogliere le tasse in una certa zona. Il maggior offerente, l’appaltatore, avrebbe pagato la somma accettata da Roma, che così avrebbe ricevuto il denaro delle tasse in anticipo. L’appaltatore del dazio poi avrebbe raccolto le tasse mediante degli esattori locali. L’appaltatore e le persone da lui impiegate ricavavano i loro profitti dalle tasse riscosse dalla gente. Imponevano le imposte più alte possibili, entro certi limiti, perché le loro entrate erano determinate da quanto denaro potevano incassare al di sopra di quanto avevano pagato a Roma. In poche parole, l’esazione delle tasse era un lavoro da cui ricavare un profitto.

Gli appaltatori stipendiavano esattori locali per fare l’opera di riscossione. Questi esattori stimavano il valore della merce, quindi stabilivano la somma da pagare. Anche se c’era un certo controllo, gli esattori spesso stimavano questo valore molto più alto di quanto fosse in realtà, per trarne profitto. Fermavano la gente per strada ed esigevano i tributi, che potevano essere pagati in denaro o mediante la cessione di parte dei beni. Chi veniva tassato considerava la cosa un ladrocinio autorizzato.[4]

Quando alcuni esattori si presentarono a Giovanni Battista per essere battezzati, gli chiesero che cosa dovessero fare ed egli rispose: “Non riscuotete nulla di più di quello che vi è stato ordinato”,[5] Il che è certamente segno che aumentavano eccessivamente le tasse a loro vantaggio.

Gli esattori delle tasse erano disprezzati. Erano visti come estorsori iniqui e secondo al legge ebraica le altre persone non erano obbligate a dire il vero quando trattavano con loro.

Erano considerati impuri, secondo le regole religiose; le loro case, e qualsiasi altra casa in cui entrassero, erano ugualmente considerate impure. I disprezzati pubblicani erano spesso considerati alla stregua dei peccatori e delle prostitute.[6] Erano visti come ladri ed erano evitati dalle persone rispettabili. Il pubblicano della parabola non è certamente una persona onesta e lo sa, come si nota dalle sue azioni nel tempio e dalla sua preghiera.

La parabola

Dopo aver preparato lo scenario, ora passiamo alla parabola.

[Gesù] disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri.[7]

Luca ci offre questa introduzione per spiegare che la parabola è destinata a chi pensa di poter essere giusto per merito proprio. Gesù la racconta a persone che confidano in se stesse, che si sentono giuste e considerano gli altri inferiori a loro e immeritevoli di rispetto.

«Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano.[8]

La parola “salirono” si riferisce all’altezza del monte del tempio, che era il punto più alto della città. Abitualmente si pregava due volte al giorno, una al mattino e una al pomeriggio, perché erano i momenti in cui nel tempio si offrivano i due sacrifici espiatori quotidiani.

Un altro scrittore lo spiega così:

Gli unici servizi religiosi quotidiani nella spianata del tempio erano i sacrifici espiatori che avevano luogo all’alba e poi di nuovo alle tre del pomeriggio. Ogni servizio cominciava all’esterno del santuario davanti al grande altare, con il sacrificio, per i peccati d’Israele, di un agnello il cui sangue veniva spruzzato sull’altare, seguendo un rituale preciso. Inframezzati alle preghiere c’erano il suono di trombe d’argento, lo squillare dei cembali e la lettura di un salmo. Poi il sacerdote che eseguiva la funzione entrava nella prima parte del santuario, dove offriva l’incenso e regolava le lampade. A quel punto, quando il sacerdote ufficiante scompariva all’interno dell’edificio, i presenti potevano offrire a Dio le loro preghiere personali. Molti ebrei devoti che non erano presenti nel tempio offrivano le loro preghiere personali nel momento della giornata in cui sapevano che nel tempio veniva offerto l’incenso.[9]

Gli ascoltatori originali avrebbero dato per scontato che il fariseo e il pubblicano stavano andando al tempio per assistere al sacrificio espiatorio quotidiano e pregare.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo".[10]

Il fariseo stava in piedi da solo mentre pregava; si separava dagli altri fedeli. Se le sue vesti avessero toccato quelle di una persona impura, sarebbe rimasto impuro anche lui. E non era di certo una cosa che andasse bene per lui che era così meticoloso riguardo al mantenersi puro e santo. Così rimase in piedi, alzando lo sguardo verso l’alto, secondo l’abitudine delle preghiere ebraiche.

C’era anche l’usanza di pregare a voce alta, così c’era qualche buona possibilità che gli altri potessero udire la sua preghiera. Forse intendeva che la sua fosse una preghiera tipo “predica” — sapete, quando uno prega in maniera da predicare agli altri invece di rivolgersi sinceramente al Signore.

Considerando che nel primo secolo le preghiere ebraiche erano generalmente confessione di peccati, ringraziamenti per le benedizioni ricevute, o richieste per la persona che pregava o per altri,[11] era più probabile che pensasse più a predicare che a pregare. Non confessa nessun peccato, non ringrazia Dio per nessuna benedizione e non chiede niente per sé o per altri. Sembra che voglia ricordare agli altri come sono iniqui, dimostrando il suo disprezzo nei loro confronti e pubblicizzando la sua giustizia e la sua ubbidienza alla legge. Fa un confronto tra sé e gli altri e sottolinea la sua scrupolosità religiosa paragonandola alla loro.

Digiuna due volte la settimana, il che vuol dire che lo fa centoquattro volte l’anno, in confronto all’unica volta richiesta dalla legge. Anche se la regola parla di dare la decima dei prodotti della terra e degli animali allevati, lui dà la decima di tutto ciò che acquista. Lo fa giusto in caso che il venditore non abbia dato la sua decima come dovuto.

Il fariseo non è un ipocrita; indubbiamente evita di commettere i peccati che elenca, ed effettivamente paga la decima e digiuna più di quanto gli sia richiesto. Ma è soddisfatto di sé e presuntuoso. Disprezza gli altri che non osservano la legge come lui. Dimostra disdegno e disgusto nei confronti degli altri e ringrazia Dio di “non essere come loro”. Si vede come il massimo della giustizia e probabilmente anche gli ascoltatori originali della parabola lo vedono così.

Il comportamento e la preghiera del pubblicano sono completamente diversi.

Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!"

Si mantiene distante dagli altri, non perché sia giusto, ma perché e un  peccatore e sa di esserlo. Non alza gli occhi al cielo perché si sente indegno. Estorce soldi agli altri facendoli pagare eccessivamente. È un imbroglione. Si sente immeritevole di stare vicino al resto del popolo di Dio, oppure di non essere degno di parlare al Signore.

Si batte il petto, percuotendosi il cuore, perché è disperato per i suoi peccati. Un commentatore ha scritto:

Nella Bibbia, l’unico altro caso in cui ci sono persone che si battevano il petto è sotto la croce, quando la folla, profondamente turbata da ciò che era successo, si batte il petto alla fine del giorno, subito dopo la morte di Gesù (Luce 23,48). Se ci vuole una scena angosciosa come la crocifissione di Gesù per spingere uomini e donne a battersi il petto, allora chiaramente il pubblicano di questa parabola è profondamente sconvolto.[12]

Se ne sta in disparte, battendosi il petto, e prega: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!"

La parola greca usata in questo versetto per “abbi pietà” è hilaskomai, che significa “rendere propizio”.[13] La parola greca generalmente usata per “avere pietà” è eleeō, che significa “aiutare una persona afflitta o in cerca di aiuto”.

Il pubblicano chiede la propiziazione divina, la redenzione dei suoi peccati. In alcune antiche traduzioni armene e siriache dei primi secoli questo era tradotto con “redimimi”.[14] La sua non è un’invocazione generica di pietà, ma di redenzione, di perdono dei suoi peccati.

Lo scrittore Kenneth Bailey esprime in maniera molto bella la situazione del pubblicano, scrivendo:

Uno può quasi sentire l’odore pungente dell’incenso, udire il suono squillante dei cembali e vedere la grande nuvola di fumo denso che sale dall’olocausto. Ecco il pubblicano. È in piedi in disparte, ansioso di non essere visto; si sente indegno di stare vicino agli altri partecipanti. Con il cuore spezzato, desidera far parte della scena. Desidera ardentemente poter stare con “i giusti”. Pieno di rimorso si batte il petto e invoca il Signore, pieno di pentimento e speranza: “O Dio, redimimi! Questa propiziazione sia per me, peccatore!” In piedi nel tempio, questo uomo umile, consapevole dei suoi peccati e della sua indegnità, senza alcun merito a raccomandarlo, desidera ardentemente che il grande sacrificio di propiziazione possa funzionare per lui”.[15]

E vediamo che è proprio quel che succede. Gesù termina la sua storia con queste parole:

Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».[16]

Questo finale fu uno shock per i suoi ascoltatori. Il fariseo sarebbe stato visto come la persona giusta, rispettata, perché non solo ubbidiva alla legge, ma faceva di più. Il pubblicano, al contrario, sarebbe stato considerato il peccatore. Era odiato e vituperato praticamente da tutti, e a buon motivo; non era proprio possibile vederlo come un giusto.

Tuttavia, chi è che Gesù dice che tornerà a casa giustificato, considerato giusto? L’uomo che confida nella propria giustizia a causa delle proprie opere buone, o quello che invoca pietà da Dio? È quello che gli altri considerano santo? Quello che guarda gli altri con condiscendenza perché non sono devoti come lui e si separa da chi è impuro e peccatore? Oppure quello che sa di essere un peccatore e si umilia, sapendo che per quante opere buone possa fare nessuna potrebbe salvarlo; quello che si rivolge a Dio sinceramente pentito, per ricevere pietà, perdono e salvezza?

Quando si tratta della grazia salvifica di Dio, chi riceve la salvezza è la persona che riconosce umilmente di avere bisogno di Lui; non chi ha un’opinione esaltata di se stesso, chi confida nelle sue opere buone e nella sua religiosità per la salvezza. Non fraintendetemi: fare opere buone che aiutano gli altri è una cosa buona, ma non sono quelle opere a salvare una persona. Non si guadagnano dei punti buoni per annullare quelli cattivi. Non ci si può guadagnare la salvezza o il perdono dei peccati. È semplicemente un dono bellissimo offerto da Dio.

Anche se questa parabola parla della necessità di mostrarsi umili davanti a Dio in preghiera e ci ammonisce di non essere presuntuosi riguardo alle nostre opere e di non guardare gli altri con sdegno, con disprezzo e con un atteggiamento critico, il suo messaggio più importante parla della grazia di Dio. Il messaggio è che non sono le nostre opere a salvarci, ma la grazia di Dio. Il Signore ha preparato un modo per cui i nostri peccati possono essere perdonati e noi possiamo stabilire un rapporto con Lui, grazie al suo grande amore, alla sua misericordia e alla sua grazia. Siamo “giusti” davanti a Dio perché i nostri peccati sono stati espiati, non perché osserviamo le leggi religiose.

Gesù dice ai suoi ascoltatori che uomini e donne sono giustificati per merito dell’amore e della grazia divini, e che i nostri peccati sono già stati espiati, un concetto che dopo la morte di Gesù, l’apostolo Paolo ha espresso così:

Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti.[17]

Anche se la salvezza per grazia e non per opere è uno dei punti principali di questa parabola, ne possiamo ricavare altre lezioni, come:

  • Le preghiere o le prediche che esaltano i propri conseguimenti o trattano gli altri con condiscendenza per le loro mancanze, sono inopportune.
  • Il modo in cui Dio vede gli altri può essere molto diverso da come li vediamo noi, quindi non dovremmo essere moralisti e critici[18] nei loro confronti. Dovremmo ricordarci che “l’Eterno non vede come vede l’uomo; l’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore”.[19]
  • Il fariseo pensava di poter ubbidire Dio e allo stesso tempo disprezzare le persone che riteneva meno sante, come il pubblicano. Presumeva che il rispetto dei comandamenti lo rendesse migliore della maggioranza degli uomini e quindi guardava gli altri con disprezzo. Per lui, essere religioso era più importante di vedere gli altri con amore, mentre in altri passi Gesù indica chiaramente che l’amore è più importante della religiosità e che l’amore per il prossimo è secondo solo a quello per Dio.[20]

La parabola rivela che Dio non si lascia impressionare da gesti ipocriti e sentimenti di superiorità, ma al contrario, è un Dio di misericordia, che risponde ai bisogni, alle preghiere sincere e al pentimento delle persone.[21] Come dice in Isaia 66,2: “Ecco su chi Io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola”.

  • La presunzione e l’orgoglio, il ritenersi superiori agli altri e criticarli, sono tutti segni di un atteggiamento che non è armonia con il modo in cui Dio vede la gente. Una maniera efficace di ridimensionare la visione esagerata che si ha di se stessi è di mettersi a confronto con la grandezza e la perfezione di Dio, invece che con i presunti peccati e difetti degli altri.

Dio è un Dio di amore e misericordia. Ama l’umanità e ha provveduto alla nostra salvezza mediante il sacrificio e la morte di Gesù. Vuole ardentemente salvare tutti, anche quelli che agli occhi del mondo sembrano essere i peccatori peggiori, come il pubblicano di questa parabola.

Come cristiani, dovremmo fare tutto il possibile per aiutare gli altri a conoscerlo, conducendo la nostra vita in maniera da dimostrare l’amore, la pietà e la comprensione che il nostro Salvatore ha dimostrato a ognuno di noi. E poi dovremo condividere con gli altri la notizia meravigliosa che per conoscere Dio basta accettare il suo dono della salvezza per grazia.

Amen? Cercheremo di farlo? Dio vi benedica.


Il fariseo e il pubblicano, Luca 18,9-14

9 Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri:

10 «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano.

11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano.

12 Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo".

13 Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore!"

14 Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».


Nota

Se non altrimenti indicato, i brani biblici sono tratti da La Sacra Bibbia, Versione Riveduta 2006 — Copyright © 2008 Società Biblica di Ginevra. Tutti i diritti riservati.


[1] Poi i farisei e gli scribi gli domandarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli anziani, ma prendono il cibo senza lavarsi le mani?» (Marco 7,5).

[2] Ma i farisei, veduto ciò, gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare in giorno di sabato» (Matteo 12,2).
    Ed ecco, vi era un uomo che aveva una mano secca. Ed essi domandarono a Gesù, per poterlo poi accusare: «È lecito guarire qualcuno in giorno di sabato?» (Matteo 12,10).
    E i farisei gli dissero: «Guarda, perché fanno ciò che non è lecito in giorno di sabato?» (Marco 2,24).
    Ma il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse guarito in giorno di sabato, si rivolse alla folla e disse: «Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato» (Luca 13,14).
    Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo, perché faceva queste cose di sabato (Giovanni 5,16).

[3] Joel B. Green, Scot McKnight, Dictionary of Jesus and the Gospels (Downers Grove: InterVarsity Press, 1992), 809.

[4] Joel B. Green, Scot McKnight, Dictionary of Jesus and the Gospels (Downers Grove: InterVarsity Press, 1992), 806.

[5] Luca 3,13.

[6] Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto, mentre i pubblicani e le meretrici gli hanno creduto; e voi, nemmeno dopo aver visto queste cose, vi siete ravveduti per credergli (Matteo 21,32).
    Mentre Egli era a tavola in casa di Levi, molti pubblicani e peccatori si misero a tavola con Gesù e con i suoi discepoli; infatti erano molti quelli che lo seguivano (Marco  2,15).
   Tutti i pubblicani e i peccatori, si accostavano a lui per udirlo. E i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro» (Luca 15,1–2).

[7] Luca 18,9.

[8] Luca 18,10.

[9] Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 346.

[10] Luca 18,11–12.

[11] Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 347.

[12] Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 348.

[13] Il significato fondamentale di propiziazione è un’offerta che allontana l’ira. Questo concetto ha a che fare con l’ira di Dio, perché a causa della sua santità e giustizia Dio deve giudicare e punire il peccato. Tuttavia l’offerta sacrificale della morte di Gesù, come i sacrifici del Vecchio Testamento, propizia Dio, cioè ne soddisfa l’ira. Grazie al suo amore per noi, Dio ha creato un modo per perdonare il nostro peccato, pur rimanendo fedele alla sua natura. (Vedi "Al cuore di tutto: la salvezza.")

[14] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, and Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985), 154.

[15] Kenneth E. Bailey, Poet & Peasant, and Through Peasant Eyes, edizione combinata (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1985), 154.

[16] Luca 18,14.

[17] Efesini 2,8–9 NR.

[18] Critico (agg.): chi critica esprimendo giudizi sfavorevoli sul comportamento delle persone; in contrasto con l’inclinazione a non giudicare le qualità morali degli altri.

[19] 1 Samuele 16,7.

[20] E Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la tua mente". Questo è il primo e il gran comandamento. E il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso" (Matteo 22,37–39).

[21] Klyne Snodgrass, Stories With Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2008), 474.


Titolo originale: The Stories Jesus Told—The Pharisee and the Tax Collector, Luke 18,9–14
Pubblicato originariamente in Inglese il 25 Giugno 2013
versione italiana affissa il 14 Luglio 2013;
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