Le storie raccontate da Gesù: il fattore infedele, Luca 16,1-9

Novembre 9, 2014

di Peter Amsterdam

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Questa è l’ultima di tre parabole che parlano dell’uso del denaro e delle proprietà. La prima era quella del ricco stolto. La seconda, quella del ricco e di Lazzaro. Questa parabola, sul fattore infedele, è considerata una delle più difficili da comprendere. È interessante vedere quante interpretazioni diverse e contrastanti se ne danno e se ne sono date nei secoli.

Gesù raccontò la storia di un fattore, o amministratore, di un ricco possidente terriero, che da lui fu licenziato dopo che ebbe scoperto la sua disonestà. Il fattore poi agisce nei suoi migliori interessi, defraudando ulteriormente il suo capo. Quando questi lo scopre, gli fa i suoi complimenti.

La parabola sembra insegnare che Gesù giustifica, e perfino loda, il comportamento peccatore del fattore — ed è certamente una cosa un po’ imbarazzante. Anzi, nel quarto secolo, l’imperatore Giuliano, chiamato l’Apostata, ultimo degli imperatori romani non cristiani, usò questa parabola per affermare che Gesù insegnava ai suoi seguaci ad essere ladri e bugiardi.[1]

C’è una grande varietà d’interpretazioni del significato di questa parabola. Nel corso dei secoli è stata descritta in vari modi, tra i quali: il fare l’elemosina ai poveri; l’uso corretto del denaro; l’avvertimento di una crisi imminente; l’annullamento dei debiti; la legge contro l’usura; la rinuncia del fattore al suo impiego; che Gesù usa l’ironia per spiegare un concetto; che invece del fattore è il ricco a essere “cattivo”; che il ricco e il fattore sono entrambi cattivi; che il ricco è uno stolto e non gli importa che il fattore sia disonesto; che sia un avvertimento a Israele.[2] Leggendo le varie interpretazioni, alcune sembrano molto forzate, mentre altre sono più plausibili.

In mezzo a tutte le interpretazioni e le spiegazioni diverse e perfino contrastanti, io darò quella che a me sembra una spiegazione accurata del messaggio della parabola.[3] Non è l’unica spiegazione possibile e forse voi avrete un’idea diversa. Viste le numerose possibilità, mi limiterò a questa, ma se la cosa v’interessa, potete indagare altri punti di vista.

Cominciamo con il primo versetto della parabola, che introduce i due personaggi principali e prepara la scena per ciò che verrà in seguito.

Vi era un uomo ricco che aveva un fattore; e questi fu accusato davanti a lui di dissipare i suoi beni.

Man mano che la storia si sviluppa, si fa evidente che questo ricco aveva una considerevole quantità di terra che affittava ad altri perché la coltivassero, e che aveva un fattore responsabile di curare i suoi affari. Qualcuno era andato dal ricco possidente e gli aveva detto che il suo fattore stava sperperando le sue risorse. La parola usata qui per dissipare è lo stesso termine greco utilizzato nella parabola del padre e dei due figli, quando parla di come il figlio più giovane aveva sperperato la sua ricchezza in piaceri personali. Il fattore era stato accusato di sperperare la ricchezza del suo padrone.

Allora egli lo chiamò e gli disse: “Che cosa è questo che sento dire di te? Rendi ragione della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore”.

Il ricco fa sapere al fattore che altre persone gli hanno parlato della sua cattiva gestione — presumibilmente che aveva approfittato della sua posizione e si era riempito le tasche alle spese del vero padrone.

Nella Palestina del primo secolo e negli altri paesi del mondo antico, i fattori conducevano gli affari in nome del proprietario. Avevano piena autorità di gestirli a suo nome, come se i proprietari fossero loro. Qualsiasi contratto fatto in nome del proprietario era legalmente vincolante. Prima di nominare qualcuno gestore dei suoi affari, della sua casa e delle sue questioni finanziarie, un proprietario doveva avere completa fiducia in lui. Evidentemente questo ricco aveva quel tipo di fiducia nel suo fattore, che però lo aveva ripagato male. Anche se il possidente si fidava completamente del fattore e non si era reso conto di essere stato truffato, altri nella comunità locale gli avevano fatto sapere cosa stava succedendo.

Messo alle strette dal proprietario, il fattore non dice niente. Non si difende. Non chiede chi siano i suoi accusatori. Non lo nega. Il suo silenzio è preso come un’ammissione di colpevolezza.[4] Il proprietario lo licenzia immediatamente e gli impone di riconsegnare i libri contabili. Da quel momento l’uomo non è più l’amministratore e non ha più l’autorità legale di condurre affari in nome del proprietario. Nei due versetti successivi ascoltiamo i pensieri del fattore che considera le sue possibilità di un impiego successivo, mentre va a prendere i registri.

E il fattore disse fra se stesso: “Che farò ora, dato che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? A zappare non son capace, e a mendicare mi vergogno”.

La sua valutazione del futuro è sconfortante. Se fosse stato uno schiavo del ricco, probabilmente non si sarebbe chiesto cosa fare, perché la decisione sarebbe dipesa dal suo padrone e probabilmente avrebbe ricevuto qualche lavoro umile. Dato che non è uno schiavo, il suo licenziamento significa che ben presto tutti nel villaggio sapranno che è stato licenziato. Lui non è abbastanza forte per lavorare nei campi come contadino o bracciante, e ammette di vergognarsi di mendicare.

A proposito del soliloquio del fattore, lo scrittore Kennet Bailey dice:

Lavorare nei campi vuol dire zappare, che è necessario per preparare il terreno per il raccolto successivo. I terrazzi stretti e angolati non possono essere arati, quindi bisogna zapparli. A suo credito, [il fattore] prende in considerazione un simile lavoro da poco, pur ammettendo i suoi limiti fisici. Poi continua: “A mendicare mi vergogno”. Non tutti si vergognano, ma, in aggiunta al suo senso dell’onore, sa che gli mancano i requisiti accettati dalla comunità per i mendicanti (la cecità, una schiena rotta, la mancanza di un arto e così via).[5]

Le sue prospettive non sono molto buone. Ora sentiamo il suo ragionamento interiore successivo.

“Io so cosa fare affinché, quando io sarò rimosso dall’amministrazione, mi accolgano nelle loro case!”

Ha un piano. Farà qualcosa che spingerà altre persone a ospitarlo a casa loro. Accoglierlo “nelle loro case” è una frase idiomatica che significa ricevere un altro impiego da un altro possidente terriero. Il suo piano gli darà la possibilità di trovare un altro lavoro, nonostante la gente sappia che è stato disonesto ed è stato licenziato dalla sua posizione.

Poi comincia a mettere azione il suo piano.

Chiamati dunque ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: “Quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento bati di olio”. Allora egli gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siedi e scrivi subito cinquanta”. Poi disse ad un altro: “E tu quanto devi?”. Ed egli disse: “Cento cori di grano”. Allora egli gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.

Il fattore convoca i debitori del suo padrone individualmente. Questo fatto informa l’ascoltatore che a questo punto le uniche persone che sanno che il fattore è stato licenziato sono il proprietario e il fattore stesso. Evidentemente i servi del proprietario non lo sanno ancora, perché probabilmente il fattore ne ha mandato alcuni a chiamare i debitori del suo padrone. Se avessero saputo che non era più l’amministratore, non avrebbero seguito i suoi ordini.

Nemmeno i debitori lo sanno, perché se l’avessero saputo, probabilmente non sarebbero andati a un incontro privato con lui. Questi debitori non erano povera gente; avevano affittato vaste parti delle terre del possidente. Uno aveva affittato un uliveto e un altro un campo di grano.

In quei giorni una persona affittava e lavorava campi, frutteti e vigneti, pagando al proprietario una certa quantità del raccolto. In questo modo il proprietario non doveva lavorare la terra, ma riceveva parte dei suoi prodotti. Uno di questi uomini aveva concordato di dare cento misure d’olio d’oliva e un altro cento misure di grano.

Un bato d’olio, dalla parola ebraica bath, corrisponde approssimativamente a 39 litri, quindi uno dei debitori aveva concordato di pagare circa 3.900 litri di olio d’oliva, cioè più o meno il prodotto di 150 ulivi, per un valore di circa mille denari.[6] Un denaro (in Latino denarius) era l’equivalente della paga giornaliera di un operario non qualificato. Un altro debitore aveva promesso di pagare 28 tonnellate di grano, cioè il raccolto di un campo di 40 ettari. Il valore del grano dovuto era all’incirca 2.500 denari.[7]

Il fattore infedele diminuì la quantità di olio dovuto del 50 percento, o 500 denari. Diminuì la quantità di grano dovuto del 20 percento, altri 500 denari. Così disse a entrambi di riscrivere la bolletta così da indicare 500 denari meno di quella originale, una bella somma. Dopo aver truffato il possidente a proprio vantaggio, lo truffò di nuovo di 10.000 denari, soltanto che questa volta non fu per un guadagno finanziario, ma perché questi uomini si facessero una buona opinione di lui e forse gli offrissero un lavoro una volta che avessero saputo del suo licenziamento.

I debitori se ne andarono contenti che il proprietario dei terreni fosse stato così generoso, e contenti anche con il fattore, a cui probabilmente diedero il merito di aver convinto il padrone a fare un gesto tanto generoso.

In un certo senso, il fattore aveva messo il padrone con le spalle al muro. Una volta scoperto che il fattore aveva cambiato la somma dovutagli, il padrone aveva legalmente diritto a non rispettare lo sconto, ma a esigere il pagamento completo al momento del raccolto. Il fattore non lavorava più per lui e non aveva l’autorità legale di fare simili accordi. Comunque, se avesse annullato la modifica, avrebbe perso tutta la buona reputazione appena guadagnata con i suoi affittuari. E quando gli altri abitanti del villaggio l’avessero saputo, come sarebbe senz’altro successo, la sua reputazione sarebbe scaduta anche con loro. Il fattore stava derubando ancora una volta il suo padrone, tuttavia con la sua astuzia lo stava facendo in maniera che andasse a suo vantaggio e offrisse dei benefici anche al proprietario.

La storia termina con il seguente commento:

Il padrone lodò il fattore disonesto, perché aveva agito con avvedutezza.

Qui si afferma chiaramente che il fattore è disonesto, quindi non ci sono suggerimenti che venga lodato per essere buono, virtuoso o pentito. Il padrone si complimenta con lui per la sua avvedutezza; in altre parole per la sua scaltrezza e astuzia nel trattare con la gente.

Per capire il punto sottolineato dalla parabola, è utile capire alcune cose sul carattere del ricco. Anche se alcuni commentatori biblici suggeriscono che non si sia comportato eticamente, sotto molti aspetti, vi sono alcune cose nel testo che sembrano indicare il contrario. La prima è che qualcuno era andato a dirgli che il suo fattore lo imbrogliava. Ciò potrebbe indicare che l’uomo ricco non trattava male i suoi fittavoli; gli erano abbastanza leali da aiutarlo a evitare di essere truffato dal suo fattore.

Un’altra indicazione di che tipo d’uomo fosse il padrone è il modo in cui tratta il suo fattore infedele. Aveva tutti i diritti di portarlo in tribunale e perfino di vendere sua moglie e i suoi figli come schiavi. Invece si limita a licenziarlo.

Kenneth Bailey spiga il significato della natura del ricco possidente come si vede nella parabola:

È un uomo generoso perché ha licenziato il fattore ma non lo ha mandato in galera. Per di più, avrebbe potuto vendere come schiavi il fattore e la sua famiglia per recuperare le perdite, tuttavia non lo fece. La sua natura generosa lo spinse a evitare entrambe le azioni.

Dinanzi alla grazia straordinaria appena ricevuta, il fattore decide di rischiare ogni cosa in un colpo solo. Ricorre a uno stratagemma basandosi sull’incrollabile consapevolezza della natura generosa del suo padrone. Pecca “affinché abbondi la grazia”. Come vedremo viene condannato per la sua azione e lodato per la sua fiducia nella natura magnanime del suo padrone.[8]

Il fattore viene lodato per la sua scaltrezza. Ciò che aveva fatto era sbagliato e lui era stato punito con la perdita del suo lavoro, ma era stato lodato per aver giudicato bene la natura e il carattere del suo padrone e per il suo piano astuto e avveduto.

Le sue azioni lo misero in buona luce con i fittavoli. Molto probabilmente anche la comunità locale avrebbe sentito che il padrone era stato incredibilmente generoso. La storia di quello che il fattore aveva fatto probabilmente avrebbe finito per diventare nota e gli abitanti della zona avrebbero sorriso di quello che sembrava un piano audace e del modo astuto in cui lo aveva messo in pratica. Si sarebbero anche resi conto che il padrone avrebbe potuto punirlo e vendere la sua famiglia ma non l’aveva fatto. Anche se è improbabile che qualcuno l’avrebbe assunto localmente come fattore, vista la sua disonestà, molto probabilmente avrebbe trovato qualche altro lavoro a causa della sua avvedutezza — e questo era il suo obiettivo. Il suo piano si rivelò una vittoria per lui e una vittoria per il padrone, anche se per quest’ultimo fu costosa.

Un altro scrittore lo spiega così:

Il fattore che sistema le cose per sé disonestamente, è così furbo, così saggio, che l’uomo ricco, il padrone dei terreni, non può fare a meno di stupirsi. Possiamo solo immaginarci cosa deve aver fatto. Probabilmente si è sbattuto una mano su un ginocchio e ha detto: “Quel mascalzone! L’ho licenziato soltanto un paio di giorni fa per la sua cattiva gestione e adesso guarda: si è sistemato per bene con i miei debitori — e ha usato quello che appartiene a me per farlo! È decisamente un mascalzone, ma è in gamba!”[9]

Probabilmente questa parabola ha fatto sorridere gli ascoltatori originali, come può succedere oggi a chi legge un libro o guarda un film che parla di un ladro il cui piano è estremamente astuto, complesso e fantasioso. Ma avrebbero anche capito che il padrone era buono e generoso. Invece di far pagare al fattore il prezzo delle sue malefatte facendolo giudicare dalla legge, aveva misericordiosamente salvato lui e la sua famiglia, pagando generosamente un prezzo molto alto perché potesse restare libero.

Alla fine della storia, Gesù dice qualcos’altro per spiegare come applicarla:

Poiché i figli di questo mondo, nella loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce. Or io vi dico: Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste perché, quando esse verranno a mancare, vi ricevano nelle dimore eterne.

Con quest’affermazione difficile da comprendere, Gesù fa un paragone tra i figli di questo mondo e i figli della luce. I figli di questo mondo trattano i loro simili con maggior astuzia dei figli della luce. I figli di questo mondo, come il fattore, sanno lavorare astutamente all’interno del sistema del mondo. Sanno come fare buoni affari, fare soldi, diventare ricchi, avere successo secondo le maniere e i principi del mondo. Usano la ricchezza materiale del mondo per preparare il loro futuro qui sulla terra.[10] Gesù suggerisce un modo diverso di operare. Dice ai figli della luce di operare saggiamente con una serie diversa di principi, quelli del regno di Dio, basati sulla natura amorevole, generosa e misericordiosa di Dio. I figli della luce sono abituati alle maniere del regno, operando secondo la volontà divina e agendo con amore e generosità verso gli altri, per diventare ricchi verso Dio, per farsi dei tesori in cielo.

Ai credenti viene detto di usare il denaro e le ricchezze di questo mondo — chiamate ricchezze ingiuste o mammona in alcune traduzioni e ricchezze mondane in altre — per farsi degli amici in questo mondo. In altre parole, di fare cose buone con il vostro denaro, essere generosi, condividere, dare a chi ha bisogno, aiutare chi potete. Verrà il momento in cui il denaro non avrà più valore né importanza; e verrà quando passerete da questo mondo in quello a venire. Se vivete secondo i principi del regno di Dio, quando arriverete in cielo sarete accolti nelle vostre dimore eterne dalle persone che avete aiutato e che sono arrivate là prima di voi.

In questa parabola, Gesù indica ancora una volta la natura di Dio, il quale, come il possidente terriero, è misericordioso e generoso. Sottolinea che i credenti, i discepoli, dovrebbero imparare qualcosa dal fattore infedele. Anche se quello che aveva fatto era chiaramente sbagliato, per lo meno aveva capito la natura del suo padrone e si era comportato di conseguenza. Quanto più noi che crediamo dovremmo capire la natura amorevole e generosa di Dio e con quella consapevolezza condurre la nostra vita con una grande fede nel suo amore, nella sua misericordia e nella sua generosità. E allo stesso tempo imitare le sue qualità essendo generosi e magnanimi nei confronti degli altri.

Tutti abbiamo bisogno di soldi per vivere, per prenderci cura di noi e della nostra famiglia, ma usare parte di quello che abbiamo avuto la benedizione di ricevere per aiutare gli altri è un mezzo per farceli amici e far capire loro che Dio li ama e vuole benedirli. Quando diamo, quando condividiamo le nostre risorse, riflettiamo la generosità di Dio. Nel farlo, non solo aiutiamo gli altri, ma ci facciamo tesori in cielo.[11] E quando ci arriveremo, molti di quelli che avremo aiutato saranno là ad accoglierci con gioia.

Forse non avete molte delle ricchezze di questo mondo da condividere con gli altri, ma avete beni in abbondanza da condividere, molto più preziosi del semplice denaro. Possedete ricchezze celesti — la verità della Parola di Dio, l’amore di Dio e la conoscenza di come fare una connessione con Lui attraverso Gesù. Forse adesso non siete nella posizione di aiutare gli altri finanziariamente, ma potete farlo dando loro il vostro tempo, la vostra attenzione, la vostra assistenza, le vostre preghiere, il vostro conforto e il vostro amore. Forse non avete delle “ricchezze ingiuste”, ma avete la ricchezza della giustizia, il mezzo della salvezza da condividere liberamente con gli altri. Possiamo tutti condividere le nostre benedizioni materiali e spirituali con chi ne ha bisogno, così che possano conoscere il nostro Dio amorevole e generoso e il suo Figlio meraviglioso, Gesù.

Il fattore infedele (Luca 16,1-9)

1 Or Egli disse ancora ai suoi discepoli: «Vi era un uomo ricco che aveva un fattore; e questi fu accusato davanti a lui di dissipare i suoi beni.

2 Allora egli lo chiamò e gli disse: “Che cosa è questo che sento dire di te? Rendi ragione della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore”.

3 E il fattore disse fra se stesso: “Che farò ora, dato che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? A zappare non son capace, e a mendicare mi vergogno.

4 Io so cosa fare affinché, quando io sarò rimosso dall’amministrazione, mi accolgano nelle loro case”.

5 Chiamati dunque ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: “Quanto devi al mio padrone?”.

6 Quello rispose: “Cento bati di olio”. Allora egli gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siedi e scrivi subito cinquanta”.

7 Poi disse ad un altro: “E tu quanto devi?”. Ed egli disse: “Cento cori di grano”. Allora egli gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.

8 Il padrone lodò il fattore disonesto, perché aveva agito con avvedutezza, poiché i figli di questo mondo, nella loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.

9 Or io vi dico: Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste perché, quando esse verranno a mancare, vi ricevano nelle dimore eterne.


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da La Nuova Diodati, Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


[1] Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 333.

[2] Klyne Snodgrass, Stories With Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans, 2008), 406–409.

[3] Ho basato questa interpretazione in gran parte, anche se non esclusivamente, sul libro di Kenneth Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes.

[4] Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 336.

[5] Ibid., 337.

[6] [7] Joachim Jeremias, The Parables of Jesus (New Jersey: Prentice Hall, 1954), 181.

[8] Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 340.

[9] Arland J. Hultgren, The Parables of Jesus (Grand Rapids: William B. Eerdmans, 2000), 153.

[10] Snodgrass, Stories With Intent, 414.

[11] Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine guastano, e dove i ladri sfondano e rubano, anzi fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sfondano e non rubano (Matteo 6,19–20).


Titolo originale: The Stories Jesus Told: The Unjust Steward, Luke 16,1-9
Pubblicato originariamente in Inglese il 26 Agosto 2014
versione italiana affissa il 9 Novembre 2014;
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