Le storie raccontate da Gesù: il ricco e Lazzaro, Luca 16,19-31

Ottobre 26, 2014

di Peter Amsterdam

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Quella del ricco e di Lazzaro è un’altra delle storie raccontate da Gesù sull’atteggiamento giusto da tenere nei riguardi della ricchezza e dei suoi usi. Anche la parabola del ricco stolto (di cui ho parlato in precedenza) e quella dell’amministratore infedele (la prossima nella nostra serie) affrontano l’argomento della ricchezza. Come vedremo, il confronto si estende da questa vita a quella futura. Vediamo come Gesù descrisse il ricco.

Or vi era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e bisso, e ogni giorno se la godeva splendidamente.[1]

In questa breve descrizione introduttiva non si dice molto, ma il pubblico originale ne avrebbe tratte delle impressioni ben precise. Non soltanto quest’uomo era ricco, ma faceva in modo di sfoggiare le sue ricchezze mediante gli abiti che portava. Ogni giorno indossava toghe di porpora, cosa che solo i molto ricchi potevano permettersi. Il procedimento di estrazione della porpora da un mollusco chiamato murice richiedeva molta mano d’opera e ciò rendeva il tessuto molto costoso. I reali e i personaggi di alto rango indossavano vesti di porpora.

Il ricco indossava anche bisso, dal greco bysson, un tessuto di lino, soffice, delicato e molto costoso. Indossare indumenti di lino sotto toghe di porpora era un segno di grande ricchezza. Per di più, faceva banchetti sontuosi tutti i giorni, il che potrebbe significare che intratteneva ospiti quotidianamente o piuttosto regolarmente, pratica molto costosa. Il concetto che si vuole esprimere, sia qui che in altri punti della storia, è che l’uomo era decisamente molto ricco ed egocentrico.

Vi era anche un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta tutto coperto di piaghe ulcerose, e desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.[2]

Coerentemente con la brevità della parabola, anche le informazioni su Lazzaro sono poche. Un punto notevole, comunque, è che viene fatto il suo nome. Questa è l’unica delle parabole di Gesù in cui si fanno i nomi delle persone. Più tardi viene nominato anche Abramo, il padre del popolo ebreo. Il nome Lazzaro è la versione greca del nome ebraico Eliezer o Elazar, che significa colui che Dio aiuta.

Lazzaro è così povero che deve mendicare il cibo. È anche malato, coperto di piaghe suppuranti, e non può camminare. O ha le gambe paralizzate, o è così debole e malato che non è in grado di camminare. La parola usata in greco per giaceva è un verbo passivo, indicando che doveva essere deposto da altri alla porta del ricco. Nella Palestina del primo secolo non c’erano servizi statali che si occupassero dei poveri, quindi ogni cura doveva essere prestata dalla comunità o da singoli individui. L’elemosina, il denaro o il cibo dato ai bisognosi, era il principale mezzo di sopravvivenza per le persone come Lazzaro. Quest’ultimo dipendeva da altri che lo portassero ogni giorno alla porta del ricco, dove poteva mendicare e dove sperava di ricevere il cibo che cadeva dalla tavola.

Durante i banchetti, gli ospiti spezzavano un pezzo di pane e lo usavano per prendere il cibo dal piatto comune. Durante il pasto, quando volevano pulirsi le mani, prendevano un pezzo di pane, lo usavano per pulirsi, poi lo buttavano sotto il tavolo. Era questo il cibo che Lazzaro sperava di ricevere.

Ogni giorno Lazzaro si sedeva alla porta del ricco, sapendo che lì si facevano banchetti tutti i giorni e che avrebbe potuto saziare la sua fame, anche solo con i pezzi di cibo gettati sul pavimento. Desiderava quel cibo, ma non poteva averlo perché nessuno gliene dava; oppure, se glielo davano di tanto in tanto, non era sufficiente a saziare la sua fame.

I cani venivano a leccare le sue piaghe. La maggior parte dei commentatori biblici presume che i cani fossero dei randagi sporchi e rognosi; uno però esprime la possibilità che fossero i cani da guardia del ricco e che leccare le ferite aiutasse a farle guarire.[3] In qualsiasi caso, avere quelle piaghe ed essere leccato dai cani rendeva Lazzaro ritualmente impuro. Se quelli fossero effettivamente i cani del ricco, possiamo supporre che fossero loro a mangiare gli avanzi della tavola gettati per terra, e non Lazzaro.

Lazzaro era in condizioni miserevoli — impossibilitato a camminare, coperto di piaghe, sempre affamato, completamente dipendente dall’aiuto degli altri per spostarsi di luogo in luogo e seduto ogni giorno alla porta del ricco, che a quanto pare lo ignorava. Era un emarginato sociale, ritualmente impuro.

La parabola continua:

Or avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abrahamo.[4]

Essere nel seno di Abramo, o accanto ad Abramo, come viene anche tradotto, indica lo stato di beatitudine dopo la morte e veniva paragonato a pranzare con i patriarchi, come vediamo in Matteo 8,11:

Or io vi dico, che molti verranno da levante e da ponente e sederanno a tavola con Abrahamo, con Isacco e con Giacobbe, nel regno dei cieli.[5]

Lazzaro, che non era mai stato invitato al banchetto del ricco, che desiderava saziarsi di quello che cadeva dalla sua tavola, ora è seduto a tavola in un posto d’onore vicino ad Abramo, il padre della fede. Nel frattempo il ricco ha un destino molto diverso.

Morì anche il ricco e fu sepolto. E, essendo tra i tormenti nell’inferno, alzò gli occhi e vide da lontano Abrahamo e Lazzaro nel suo seno. Allora, gridando, disse: “Padre Abrahamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito per rinfrescarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.[6]

Il ricco, di cui non si fa il nome, è morto ed è stato sepolto, indubbiamente con un funerale molto costoso. Comunque la sua esistenza ora è molto diversa da quella che aveva passato sulla terra. Ora è lui, che banchettava ogni giorno con cibo e vino in abbondanza, ad avere bisogno e a dipendere dall’aiuto degli altri.

Così invoca Abramo, assicurandosi di chiamarlo “padre”, forse nella speranza che ricordandogli la sua discendenza ebraica l’avrebbe in qualche modo spinto ad aiutarlo.

A questo punto della parabola, facciamo la scoperta sorprendente che il ricco conosceva il nome di Lazzaro. A quanto pare era ben consapevole che Lazzaro sedesse ogni giorno davanti a casa sua, disperatamente bisognoso. Tuttavia non dimostra alcun rimorso per averlo trascurato; chiede invece ad Abramo di mandarlo a svolgere un incarico da parte sua.

Kenneth Bailey ha espresso bene la situazione quando ha scritto:

La prima richiesta del ricco è incredibile. Quando Lazzaro soffriva, lui l’aveva ignorato. Adesso è lui a soffrire e bisogna fare qualcosa — immediatamente! Dopotutto, non è abituato a cose del genere. Invece di chiedere scusa esige dei servizi, e per di più dallo stesso uomo che aveva rifiutato di aiutare nonostante la sua grande ricchezza. Non gli dava nemmeno il suo “cibo per cani”. Tanto valeva che dicesse: “Adesso che Lazzaro sta bene ed è in piedi, vorrei qualche servizio da parte sua. Considerando chi sono io, e che lui fa parte della classe dei servitori, un simile servizio è scontato. Mandalo giù, Abramo — e in fretta. Al contrario di Lazzaro, io non sono abituato ai disagi!”[7]

Non ci sono segni di rimorso, nessuna richiesta di perdono, solo la continua preoccupazione di sé e della propria importanza.

Ma Abrahamo disse: “Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita e Lazzaro similmente i mali; ora invece egli è consolato e tu soffri”.[8]

Abramo non risponde in maniera brusca, anzi, lo chiama “figlio”. Poi gli suggerisce di ripensare alla sua vita passata e a tutte le cose buone che ha ricevuto, al contrario delle cose cattive di cui aveva fatto prova Lazzaro. Abramo gli ricorda che ciò che possedeva non era realmente suo; era un prestito di Dio e avrebbe dovuto utilizzarlo con saggezza. La sua vita terrena è terminata ed è a causa delle sue azioni in quella vita che adesso soffre.

Lazzaro, d’altra parte, ora viene consolato. Dopo aver avuto una vita difficile, non prova più dolore e tormento. Non è più trascurato. Dopo la morte ha trovato consolazione.

Poi Abramo dice:

“Oltre a tutto ciò, fra noi e voi è posto un grande baratro, in modo tale che coloro che vorrebbero da qui passare a voi non possono; così pure nessuno può passare di là a noi”[9]

Anche se Lazzaro volesse compassionevolmente intingere un dito nell’acqua e rinfrescare la lingua del ricco, sarebbe impossibile. Lazzaro avrebbe ogni diritto a indicare quanto sia ridicolo che il ricco gli chieda di andare ad alleviare un po’ la sua sofferenza. Non aveva sofferto ogni giorno, sulla soglia di casa del ricco, senza ricevere niente? Tuttavia Lazzaro non dice niente, come nel resto della parabola.

Allora il ricco trova un altro incarico per Lazzaro.

Ma quello disse: “Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa di mio padre, perché io ho cinque fratelli, affinché li avverta severamente, e così non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.[10]

Rendendosi conto che la sua situazione non cambierà, il ricco chiede che Lazzaro venga inviato con la missione di avvertire i suoi fratelli. Capisce che li aspetta lo stesso destino, molto probabilmente perché vivono come viveva lui, cercando il proprio piacere egoista senza preoccuparsi dei bisognosi.

Abrahamo rispose: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino quelli”.[11]

Abramo dice che hanno a disposizione i cinque libri di Mosè, la Torah, oltre a quelli dei profeti, in ebraico Nevi’im. Con questo indica che le Scritture, la Parola scritta di Dio, sono sufficienti a istruire i suoi fratelli nella fede e in una vita retta. Se ascolteranno quelle parole, cioè ubbidiranno a esse e le seguiranno, non finiranno come il loro fratello morto.

Quello disse: “No, padre Abrahamo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno”.[12]

È ironico, visto che in quel momento il ricco stesso sta vedendo “qualcuno dai morti”, Lazzaro, seduto a tavola con Abramo, ma non dimostra alcun segno di pentimento. Tuttavia è convinto che se Lazzaro apparirà ai suoi fratelli, questi si pentiranno. Abramo gli fa sapere che non è così.

Allora egli gli disse: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”».[13]

Il ricco vuole mandare un segno ai suoi fratelli. Suppone che, se andrà da loro Lazzaro, che è morto e della cui morte sono a conoscenza, allora crederanno. I fratelli del ricco avrebbero riconosciuto Lazzaro, perché per anni gli erano passati accanto mentre entravano nella casa per banchettare. Il ricco sa che i suoi fratelli avevano ignorato Lazzaro come aveva fatto lui e che il loro destino sarà simile al suo.

Sa anche che o non leggono la Parola di Dio, o non credono in essa. Il ricco chiede che i suoi fratelli possano avere un segno. Nelle Scritture la richiesta di un segno indica incredulità, come vediamo in Giovanni 6,30 e altri versetti.[14]

Allora essi gli dissero: «Quale segno fai tu dunque, affinché lo vediamo e ti crediamo?”[15]

Anche se qui non viene precisato, perché le parabole non danno molti particolari o fatti storici, è possibile che il ricco e i suoi fratelli fossero sadducei. I sadducei erano l’aristocrazia di Israele e tanti di loro erano molto ricchi. In quel periodo i sommi sacerdoti venivano dai sadducei. Il ricco era vestito di porpora, cosa che potrebbe indicare che era un membro dell’aristocrazia e quindi probabilmente un sadduceo; o è possibile almeno che Gesù alludesse alle idee dei sadducei.

I sadducei non credevano che la vita continuasse dopo la morte. Non si attendevano nessuna vita dopo questa; di conseguenza, se un uomo viveva in maniera prospera e felice, se moriva in pace ed era sepolto onorevolmente, aveva tutto ciò che potesse aspettarsi.[16] Comunque la parabola di Gesù indica che non è così. Il ricco, contrariamente a ciò che credevano i sadducei, scopre che effettivamente c’è una vita oltre la tomba e che le nostre azioni durante la vita terrena hanno qualcosa a che fare con la vita dopo la morte.[17]

 T. W. Manson scrive:

Il ricco adesso pensa ai suoi fratelli che vivono come aveva vissuto lui, credono quello che aveva creduto lui e quindi si stanno condannando a unirsi al suo stesso tormento. Chiede che Lazzaro venga mandato da loro per testimoniare. Che cosa? L’unica cosa che una persona che tornasse dai morti poteva testimoniare: che c’è una vita dopo la morte e che la sua natura è il castigo. I cinque fratelli corrono il pericolo di essere puniti dopo la morte proprio perché non ci credono. […] Il credo dei cinque fratelli è quello dei sadducei.[18]

Che i fratelli fossero sadducei o no, ciò che è chiaro è che il ricco sapeva che non vivevano in ubbidienza agli insegnamenti della Parola di Dio e che, se non avessero ricevuto un segno, sarebbero finiti nelle stesse condizioni in cui si trovava lui. Abramo però dice che non avrebbero ricevuto nessun segno, perché avevano a disposizione la Parola di Dio, che era sufficiente. Dalla Torah, dalle Scritture, sapevano abbastanza da essere consapevoli di ciò che dice Dio su come vivere rettamente e come trattare i poveri.

Allora perché Gesù stava insegnando questa parabola?

Molte delle persone a cui Gesù stava parlando avrebbero inizialmente presunto che il ricco era benedetto da Dio e che Lazzaro stava subendo un giudizio, perché credevano che la prosperità fosse la benedizione divina e la mancanza d’essa fosse il giudizio di Dio. Gesù indicava che non era necessariamente così. Essere ricchi non è necessariamente un segno che una persona abbia ricevuto la benedizione di Dio, o che sia giusta; né che chi ha meno, o soffre di malattie o povertà, stia subendo i giudizi divini.

Un’altra cosa importante che Gesù voleva indicare era che essere discendente di Abramo non bastava a salvare il ricco dai tormenti. In un altro momento e in un altro luogo, Gesù aveva indicato che far parte della discendenza fisica di Abramo non bastava, ma che bisognava vivere come aveva fatto Abramo.

Essi gli risposero: «Nostro padre è Abraamo». Gesù disse loro: «Se foste figli di Abraamo, fareste le opere di Abraamo».[19]

La parabola inoltre indica ai ricchi come non comportarsi. Il ricco era consapevole di Lazzaro e delle sue esigenze, ma era indifferente nei suoi riguardi. Non aveva fatto niente per aiutarlo, anche se chiaramente aveva i mezzi per farlo. È molto facile girare lo sguardo quando si vede un mendicante, specialmente se è sgradevole, come nell’esempio molto grafico fatto da Gesù sulle piaghe purulente leccate dai cani. Invece di vedere un essere umano, fatto a immagine di Dio e che Dio ama, è più facile evitarlo o guardare da un’altra parte e non fargli caso, trattarlo con indifferenza. Come cristiani, come discepoli, dobbiamo rispondere con amore e compassione quando vediamo le condizioni in cui versano i bisognosi.

Anche se in questa parabola Gesù usa un uomo ricco come cattivo esempio, non c’è niente di intrinsecamente sbagliato nell’essere ricchi. Anche Abramo era ricco. Il pericolo, comunque, è quando le ricchezze influenzano nel modo sbagliato l’atteggiamento di una persona. C’entrano solo l’importanza che diamo ai nostri beni e il modo in cui li usiamo. Siamo come il ricco stolto nel capitolo 12 di Luca, che progetta nuovi granai per il suo raccolto straordinario e pensa di usarlo solo per sé? Siamo servi del nostro denaro e dei nostri beni, o li usiamo alla gloria di Dio? Anche se non abbiamo abbastanza da dare finanziariamente, diamo quello che possiamo per aiutare chi ha bisogno, magari dando loro un po’ del nostro tempo e delle nostre attenzioni, o facendo modo di venire incontro alle loro necessità? Che atteggiamento abbiamo verso i poveri e i bisognosi? Siamo indifferenti? Li guardiamo dall’alto in basso? Li giudichiamo perché pensiamo che meritino di essere in quella situazione? Oppure dimostriamo compassione, premura e attenzione nelle nostre azioni?

La parabola dà anche un avvertimento sull’ignorare o rifiutare la Parola di Dio. Il ricco non credeva, o credeva nelle cose sbagliate. Sapeva che i suoi fratelli erano nelle stesse condizioni. Chiese che fosse dato loro un segno, ma Abramo disse che non ne avrebbero ricevuto nessuno perché avevano a disposizione la Parola di Dio. Dio ritenne responsabile il ricco perché aveva a disposizione la Parola di Dio, ma non la viveva, come era dimostrato dal fatto che non aveva trattato i poveri come indicano le Scritture.

Il modo in cui viviamo influenza il nostro futuro eterno. Le nostre azioni, o la nostra mancanza di azioni, fanno la differenza, non solo nella nostra vita odierna, ma anche in quella eterna. Dovremmo stare attenti alle scelte che facciamo, al modo in cui viviamo, a come usiamo i nostri soldi e i nostri beni e a come trattiamo chi ha bisogno. L’insieme delle nostre decisioni, scelte e azioni non fa di noi solo quello che siamo oggi, ma ha effetto anche sul nostro futuro nella vita che verrà dopo questa.

Come cristiani e come discepoli, un altro punto che dovremmo imparare da questa parabola è che siamo circondati da molte persone che, come il ricco, o non credono o non si rendono conto che esista un’altra vita dopo questa. Forse non capiscono che credere nella Parola di Dio e ricevere la salvezza mediante suo Figlio Gesù Cristo cambierà la loro vita adesso e per l’eternità. Il nostro compito è condividere con loro le nostre ricchezze spirituali. Non dovremmo essere come il ricco della parabola, soddisfatti della nostra opulenza spirituale, delle ricchezze che possediamo in cielo, trascurando i “Lazzari” di questo mondo, così bisognosi non solo materialmente, ma anche spiritualmente.

Non importa se abbiamo o non abbiamo denaro o beni da condividere con i bisognosi, come Cristiani ognuno di noi possiede le cose più preziose che si possano avere: la vita eterna e un rapporto personale con chi la rende possibile — Gesù. Intorno a noi ci sono moltitudini di persone di tutti gli strati sociali con un bisogno disperato; e noi abbiamo le ricchezze spirituali della fede, della salvezza e del profondo amore di Dio, da condividere con loro. Cerchiamo di fare del nostro meglio per portare loro conforto e salvezza, va bene?


Il ricco e Lazzaro (Luca 16,19-31)

19 «Or vi era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e bisso, e ogni giorno se la godeva splendidamente.

20 Vi era anche un mendicante chiamato Lazzaro, che giaceva alla sua porta tutto coperto di piaghe ulcerose,

21 e desiderava saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.

22 Or avvenne che il mendicante morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abrahamo; morì anche il ricco e fu sepolto.

23 E, essendo tra i tormenti nell’inferno, alzò gli occhi e vide da lontano Abrahamo e Lazzaro nel suo seno.

24 Allora, gridando, disse: “Padre Abrahamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito per rinfrescarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.

25 Ma Abrahamo disse: “Figlio, ricordati che tu hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita e Lazzaro similmente i mali; ora invece egli è consolato e tu soffri.

26 Oltre a tutto ciò, fra noi e voi è posto un grande baratro, in modo tale che coloro che vorrebbero da qui passare a voi non possono; così pure nessuno può passare di là a noi”.

27 Ma quello disse: “Ti prego dunque, o padre, di mandarlo a casa di mio padre,

28 perché io ho cinque fratelli, affinché li avverta severamente, e così non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.

29 Abrahamo rispose: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino quelli”.

30 Quello disse: “No, padre Abrahamo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno”.

31 Allora egli gli disse: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”».


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


[1] Luca 6,19.

[2] Luca 16,20–21.

[3] Kenneth E. Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes (Downers Grove: InterVarsity Press, 2008), 385.

I cani si leccano le ferite. Leccano le persone come segno affettivo; ma, ancora di più, recenti studi scientifici hanno identificato nella saliva degli “antibiotici peptidici endogeni” che favoriscono la guarigione. La saliva di un cane contiene questi antibiotici peptidici e gli antichi in qualche modo avevano scoperto che se un cane leccava una ferita, questa guariva più rapidamente. Nel 1994 il Prof. Lawrence Stage dell’Università di Harvard scoprì più di milletrecento cani sepolti nell’antica città di Ashkelon. Le tombe datavano dal quinto al terzo secolo a.C., quando Ashkelon era governata dai Fenici. Questi animali erano probabilmente collegati a un culto guaritore. I cani erano probabilmente addestrati a leccare ferite o piaghe e i loro padroni erano pagati per questo trattamento. Questo potrebbe spiegare il contesto di Deuteronomio 23,18, che proibisce ai fedeli di portare “il prezzo di un cane” nella casa del Signore.

[4] Luca 16,22.

[5] Matteo 8,11.

[6] Luca 16,22–24.

[7] Bailey, Jesus Through Middle Eastern Eyes, 388.

[8] Luca 16,25.

[9] Luca 16,26.

[10] Luca 16,27–28.

[11] Luca 16,29.

[12] Luca 16,30.

[13] Luca 16,31.

[14] “Una generazione malvagia ed adultera richiede un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno del profeta Giona”. E, lasciatili, se ne andò (Matteo 16,4).

Sopraggiunsero i farisei e cominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo per metterlo alla prova (Marco 8,11).

Altri invece, per metterlo alla prova, chiedevano da lui un segno dal cielo (Luca 11,16).

Allora i Giudei risposero e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Gesù rispose e disse loro: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò” (Giovanni 2,18–19).

[15] Giovanni 6,30.

[16] T. W. Manson, The Sayings of Jesus (Grand Rapids: William B. Eerdmans, 1979), 299.

[17] Manson, Sayings of Jesus, 300.

[18] Manson, Sayings of Jesus, 300–301.

[19] Giovanni 8,39 NR.


Titolo originale: The Stories Jesus Told: The Rich Man and Lazarus, Luke 16:19–31
Pubblicato originariamente in Inglese il 22 Luglio 2014
versione italiana affissa il 26 Ottobre 2014;
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