Le storie raccontate da Gesù: la parabola del servo spietato, Matteo 18,21-35

Luglio 7, 2018

di Peter Amsterdam

[The Stories Jesus Told: The Parable of the Unforgiving Servant, Matthew 18:21–35]

Nel diciottesimo capitolo del libro di Matteo, l’apostolo Pietro sollevò il tema del perdono, domandando:

«Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte?». Gesù gli disse: «Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.1

Alcune versioni bibliche lo traducono come “settantasette volte “, che è anch’esso un modo legittimo per tradurre il greco originale. Gesù disse ai suoi discepoli di perdonare qualcuno o 77 volte o 490 volte. In ogni caso, il concetto espresso da Gesù era che i suoi seguaci devono sempre perdonare gli altri. A questa conversazione segue la parabola del servo spietato, che sottolinea la necessità di perdonare gli altri.

La parabola inizia con:

Perciò il regno dei cieli è simile ad un re, il quale volle fare i conti con i suoi servi. Avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. E non avendo questi di che pagare, il suo padrone comandò che fosse venduto lui con sua moglie, i suoi figli e tutto quanto aveva, perché il debito fosse saldato.2

È un inizio irreale: un servo3 deve al suo re diecimila talenti. È irreale perché diecimila talenti rappresentavano una somma astronomica. Il talento era una misura di peso usata in quei giorni, che probabilmente equivaleva a circa trenta chili. Se usato in riferimento alla moneta stava a indicare una certa quantità di oro o argento, come vediamo in questo esempio del Vecchio Testamento:

Il re d’Egitto lo depose a Gerusalemme e impose al paese un tributo di cento talenti d’argento e di un talento d’oro.4

Messo in prospettiva, nel caso di questa parabola, se Gesù si riferiva a talenti d’argento, un talento avrebbe avuto il valore di circa seimila denari (una moneta d’argento dell’epoca). Un denaro era considerato il salario giornaliero di un operaio. Così, un talento d’argento (seimila monete d’argento) equivaleva a circa vent’anni di lavoro. Diecimila talenti, o sei milioni di denari, erano ovviamente un debito enorme in maniera assurda.

Tutti quelli che ascoltavano Gesù avrebbero capito che stava usando l’esempio di una somma esorbitante per dimostrare un concetto. Lo scrittore Brad Young ha detto:

Diecimila talenti, un po’ come una cifra associata al debito nazionale, erano semplicemente una somma incomprensibile per l’operaio medio. Nemmeno i più ricchi avrebbero potuto concepire una somma di denaro così grande.5

Uno scrittore spiega che diecimila era la cifra più alta usata nella contabilità e un talento era l’unità monetaria più alta di quei tempi.6 Come vedremo, è la dimensione enorme del debito che rende tanto forte questa parabola.

L’impossibilità del servo a restituire un prestito così immenso, significava che lui e la sua famiglia sarebbero stati venduti come schiavi fino al completo pagamento. In 2 Re leggiamo un esempio avvenuto in tempi biblici di come i figli di qualcuno furono resi schiavi fino alla restituzione di un debito:

Una donna, moglie di un discepolo dei profeti, gridò a Eliseo, dicendo: «Il tuo servo, mio marito, è morto, e tu sai che il tuo servo temeva l’Eterno; ora il creditore è venuto a prendersi i miei due figli per farli suoi schiavi».7

Gesù si riferiva alla pratica di mettere in prigione i debitori quando disse:

Quando vai col tuo avversario dal magistrato, per strada fa’ di tutto per accordarti con lui, perché non ti trascini dal giudice e il giudice ti consegni all’ufficiale giudiziario e l’ufficiale ti metta in prigione. Io ti dico che non ne uscirai, finché tu abbia pagato fino all’ultimo spicciolo.8

Forse, in circostanze normali, i parenti del servo sarebbero stati in grado di pagare al suo posto, così che lui e la sua famiglia non dovessero andare in prigione o essere venduti; ma in questo caso nessuno sarebbe stato in grado di pagare la somma incredibile che gli doveva. Il servo e la sua famiglia erano sull’orlo del disastro.

Allora quel servo, gettandosi a terra, gli si prostrò davanti dicendo: “Signore, abbi pazienza con me e ti pagherò tutto”. Mosso a compassione, il padrone di quel servo lo lasciò andare e gli condonò il debito.9

Altre traduzioni della Bibbia parlano di pietà. Il servo chiedeva una dilazione per il pagamento del debito, ma il re si spinse oltre e lo liberò completamente dall’obbligo di restituirlo. Un gesto di grande magnanimità! Condonò un debito di trecentomila chili d’argento. Immaginatevi lo shock, il sollievo e la gratitudine del servo debitore.

Gesù continuò la storia:

Ma quel servo, uscito fuori, incontrò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari; e, afferratolo per la gola, lo soffocava dicendo: “Pagami ciò che mi devi”. Allora il suo conservo, gettandosi ai suoi piedi, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto”. Ma costui non volle, anzi andò e lo fece imprigionare, finché non avesse pagato il debito.10

Il servo cui era stato cancellato un debito ammontante a sei milioni di denari era creditore di cento denari nei confronti di un altro servo – una somma equivalente a quattro mesi di lavoro per un comune operaio. La proporzione tra ciò che il servo doveva al re e ciò che l’altro servo doveva a lui era di 600.000 a 1.11

L’uomo a cui era stata condonata una cifra astronomica non rispose con la stessa compassione dimostrata a lui, ma con violenza e con una sentenza. Il conservo debitore si comportò nello stesso modo in cui si era comportato il servo perdonato, prostrandosi davanti al suo creditore e implorando pazienza, promettendo allo stesso tempo di restituire il debito. La reazione, comunque, fu l’opposto. Invece di dare al suo conservo più tempo per pagare, o di cancellare misericordiosamente il suo debito, il servo spietato lo fece mettere in prigione.

Ora gli altri servi, visto quanto era accaduto, ne furono grandemente rattristati e andarono a riferire al loro padrone tutto ciò che era accaduto.12

Anche se all’epoca era lecito mandare qualcuno in prigione per non aver pagato i debiti, questo gesto dimostrò una grave mancanza di compassione, viste le circostanze. Gli altri servi, stupefatti di fronte all’insensibilità e alla durezza del servo spietato, informarono il loro padrone di questa ingiustizia.

Allora il suo padrone lo chiamò a sé e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai supplicato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?”. E il suo padrone, adiratosi, lo consegnò agli aguzzini finché non avesse pagato tutto quanto gli doveva.13

Il re era giustamente furioso e definì malvagio il suo servo. Si riferì alla somma enorme del debito che aveva condonato perché il servo aveva implorato la sua misericordia; al servo era stato perdonato tantissimo, ma non era disposto a perdonare un altro. Essendogli stata dimostrata una misericordia così grande, il servo avrebbe dovuto fare lo stesso per gli altri. Invece non lo fece e per questo sarebbe stato giudicato.

Questa traduzione dice che il servo fu consegnato agli aguzzini, ma c’è di più. Il termine greco usato qui è basanistēs, che significa “uno che ottiene la verità mediante la tortura”. Questo servo spietato fu condannato alla tortura fino alla restituzione del debito – il che, vista la somma enorme, significava che sarebbe morto in prigione in mezzo alle sofferenze.

Come spiega uno scrittore: Lo schiavo non aveva semplicemente perso il perdono che gli era stato concesso; il suo debito gli è ricaduto sulle spalle e ora deve affrontare le torture che indubbiamente lo porteranno a una morte prematura. In qualsiasi caso, dato che gli è impossibile pagare un debito di diecimila talenti, resterà sotto i torturatori per il resto della sua vita.14

Dopo aver raccontato questa parabola, Gesù si rivolse agli ascoltatori con un’affermazione profondamente inquietante:

Così il mio Padre celeste farà pure a voi, se ciascuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello i suoi falli.15

Queste parole forti di Gesù rispecchiano l’importanza che i suoi seguaci si perdonino a vicenda. Questa parabola illustra drammaticamente la serietà del non perdonare gli altri e si allinea con gli insegnamenti di Gesù sul perdono che troviamo in altri punti dei Vangeli. Quando insegnò ai suoi discepoli a pregare, incluse la frase: Perdonaci i nostri debiti, come anche noi perdoniamo ai nostri debitori.16 Insegnò anche: Se voi perdonate agli uomini le loro offese, il vostro Padre celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini le loro offese, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre.17 La parabola espone questi insegnamenti sotto forma di storia per aiutarci a riconoscere l’importanza di perdonare gli altri. Illustra la necessità del perdono umano come condizione per la misericordia divina.18

Anche se la parabola parla di debiti finanziari, il termine “debiti” è un altro modo di dire “peccati”. Lo vediamo nel Vangelo di Luca:

Perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore.19

Lo vediamo anche nella parabola dei due debitori.20

Questa parabola insegna alcune verità profonde. Vediamo la gravità del peccato manifestata nel debito di diecimila talenti. Vediamo anche l’amore, la misericordia e la compassione di Dio nella figura del re che condona un debito enorme. Con questo esempio dell’amore e del perdono per grazia divina, sentiamo anche la chiamata a far conoscere agli altri Dio, il suo amore e la sua generosità. Uno scrittore l’ha espresso in questo modo: L’essenza del discepolato cristiano non è soltanto amare il prossimo come vorremmo essere trattati noi, ma anche come siamo stati trattati da Dio. L’esposizione classica di questo principio è in ciò che Gesù disse ai discepoli: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.21

Nel nostro passo d’apertura, quando Pietro chiese a Gesù quante volte avrebbe dovuto perdonare un fratello che aveva peccato contro di lui, chiese anche se dovesse essere perdonato sette volte. Questo era già il doppio di quanto diceva una comune interpretazione rabbinica di quei giorni, che suggeriva di dover perdonare un altro solo tre volte. La risposta di Gesù, invece, e questa parabola, indicano che non ci dovrebbero essere limiti alle volte in cui perdoniamo gli altri, né dovremmo tenerne traccia.

Quando Dio passò davanti a Mosè sul monte Sinai, descrisse Se stesso dicendo: “L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato”.22 Uno degli attributi divini è il perdono e, come Gesù illustrò con questa parabola, come figli di Dio dobbiamo imitarlo perdonando gli altri – proprio come Lui ha perdonato noi.


Il servo spietato, Matteo 18,21-35

21 Allora Pietro, accostatosi, gli disse: «Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte gli dovrò perdonare? Fino a sette volte?».

22 Gesù gli disse: «Io non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23 Perciò il regno dei cieli è simile ad un re, il quale volle fare i conti con i suoi servi.

24 Avendo iniziato a fare i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti.

25 E non avendo questi di che pagare, il suo padrone comandò che fosse venduto lui con sua moglie, i suoi figli e tutto quanto aveva, perché il debito fosse saldato.

26 Allora quel servo, gettandosi a terra, gli si prostrò davanti dicendo: “Signore, abbi pazienza con me e ti pagherò tutto”.

27 Mosso a compassione, il padrone di quel servo lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28 Ma quel servo, uscito fuori, incontrò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari; e, afferratolo per la gola, lo soffocava dicendo: “Pagami ciò che mi devi”.

29 Allora il suo conservo, gettandosi ai suoi piedi, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto”.

30 Ma costui non volle, anzi andò e lo fece imprigionare, finché non avesse pagato il debito.

31 Ora gli altri servi, visto quanto era accaduto, ne furono grandemente rattristati e andarono a riferire al loro padrone tutto ciò che era accaduto.

32 Allora il suo padrone lo chiamò a sé e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché mi hai supplicato.

33 Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?”.

34 E il suo padrone, adiratosi, lo consegnò agli aguzzini finché non avesse pagato tutto quanto gli doveva.

35 Così il mio Padre celeste farà pure a voi, se ciascuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello i suoi falli».


Nota

Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.


1 Matteo 18,21–22.

2 Matteo 18,23–25.

3 Tradotto come schiavo in alcune versioni, poiché nel Nuovo Testamento la parola greca doulos si riferisce sia a servi che a schiavi.

4 2 Cronache 36,3.

5 Brad H. Young, Jesus the Jewish Theologian (Grand Rapids: Baker Academic, 1995), 120.

6 Joachim Jeremias, The Parables of Jesus (New Jersey: Prentice Hall, 1954), 210.

7 2 Re 4,1.

8 Luca 12,58–59.

9 Matteo 18,26–27.

10 Matteo 18,28–30.

11 Arland J. Hultgren, The Parables of Jesus (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2000), 27.

12 Matteo 18,31.

13 Matteo 18,32–34.

14 Hultgren, TheParables of Jesus, 28.

15 Matteo 18,35.

16 Matteo 6,12.

17 Matteo 6,14–15.

18 Brad H. Young, The Parables, Jewish Tradition and Christian Interpretation (Grand Rapids: Baker Academic, 1998), 121.

19 Luca 11,4.

20 Le storie raccontate da Gesù: la parabola dei due debitori.

21 David Wenham, The Parables of Jesus (Downers Grove: InterVarsity Press, 1989), 153.

22 Esodo 34,6–7.


Pubblicato originariamente in Inglese il 21 novembre 2017.