Tragedie e trasformazioni, terza parte
Dicembre 2, 2013
di Maria Fontaine
Tragedie e trasformazioni, terza parte
Tesori nella spazzatura
Possiamo trovare uno degli esempi più visibili di una miseria estrema ai margini della maggior parte delle grandi metropoli del mondo: le discariche di rifiuti. La loro puzza si allarga per chilometri e le molte migliaia di poveri che si sudano un’esistenza frugando in quelle montagne interminabili di sostanze in decomposizione e spesso tossiche sono un chiaro esempio di persone ignorate, emarginate o abbandonate dalla società.
Passano la vita cercando materiale scartato, oltre ad avanzi di cibo o altri oggetti da raccattare per sopravvivere. Anche se le persone che vivono nelle discariche del mondo di solito non fanno la fame, la loro situazione è disperata. La vicinanza delle discariche ai centri della società le rende un’immagine viva della sofferenza e della povertà che ha travolto una parte così grande della popolazione mondiale.
Ho avuto l’opportunità di visitare uno di questi posti che, anche se non si avvicina molto alle dimensioni di luoghi simili alla periferia di città come Calcutta, Città del Mesico, Giacarta, o Rio de Janeiro, è pur sempre un’immagine di miseria estrema.
La discarica di Tijuana, in Messico, non solo “ospita” tutti i rifiuti di questa città di un milione e mezzo di abitanti, ma anche più di cinquecento tra uomini, donne e bambini che vi conducono la loro esistenza. Sono noti come “la gente della spazzatura”. La maggior parte di loro passa dodici ore al giorno a setacciare i rifiuti che arrivano con il flusso ininterrotto di grandi camion ribaltabili.
Lavorare su quelle montagne di rifiuti è un’attività pericolosa che fornisce appena di che sopravvivere. Ci sono ruspe enormi che spostano montagne di spazzatura; la visibilità è ridotta e a volte qualcuno muore schiacciato.
I bambini lavorano tutto il giorno con i loro genitori. Molti bambini sono nati lì ed è tutto ciò che conoscono del mondo. Le condizioni di vita sono veramente povere; il cibo generalmente viene da ciò che è stato buttato via perché scaduto o marcio; tutti sono in competizione con molti cani e rimestano nei rifiuti per trovare qualsiasi cosa possa essere recuperata.
Mentre cerca di aiutare le persone intrappolate in questa situazione, chi viene a prestare assistenza in questo posto vede ripetersi ogni giorno lo stesso scenario di povertà e disperazione.
Insieme al direttore e ai suoi figli, abbiamo viaggiato oltre un’ora per arrivare alla discarica e conoscere le persone che ci vivono. Il posto assomiglia a un enorme cratere, con sentieri in terra battuta che scendono a zig zag lungo i bordi per arrivare fino in fondo. La puzza è quasi insopportabile e l’aria è anche tossica, se respirata regolarmente. Non era possibile entrare nella parte dove la gente cerne le montagne di rifiuti, perché non saremmo stati accolti molto bene in mezzo a tutta la ricerca frenetica e la competizione per trovare qualcosa. Invece siamo andati a meno d’un chilometro di distanza, dove ci sono le baracche delle famiglie che vivono lì. La gente qui non ha facile accesso all’acqua. E non sembrava neanche che ci fossero gabinetti.
Le loro baracche sono fatte di cartone, metallo, plastica, legno o teloni che sono riusciti a recuperare dalla discarica. Anche se nella baraccopoli non c’erano molte persone quando siamo arrivati, dato che la maggior parte era al lavoro nella discarica, abbiamo trovato tre persone che lavoravano all’esterno di una baracca cernendo un grande mucchio di frammenti di plastica, che poi abbiamo scoperto essere l’interno di vari apparecchi elettronici, come TV ecc. Esaminavano ogni parte alla ricerca di qualsiasi pezzo di rame potessero recuperare.
Una donna, Elena, e suo marito José erano accovacciati a terra e lavoravano in mezzo ai frammenti a mani nude, perché erano troppo minuti per usare i guanti. Ha ammonito i figli del direttore di non toccare niente, perché tutto conteneva prodotti chimici che avrebbero rovinato la loro pelle come era successo a lei e a suo marito.
Elena era cordiale e contenta di parlare con noi; sembrava grata per la nostra visita. Da una baracca lì accanto è uscita sua sorella e abbiamo dato a entrambe dei vestiti e qualche volantino. Ho parlato con loro e ho dato un messaggio simile a quello che avevo dato agli uomini al ricovero: questa vita a volte può sembrare quasi insopportabile, ma se accettiamo Gesù, il suo amore e il sacrificio che ha fatto per noi, un giorno Lui spazzerà via tutto il male e renderà tutto bello, giusto ed equo. Ho detto loro che se mantenevano la speranza nel cuore, avrebbero avuto la forza di continuare a sopportare le difficoltà.
Ci hanno detto: “Dall’altra parte della collina ci sono persone che stanno peggio di noi”. Abbiamo fatto una piccola salita e poi siamo scesi in un punto dove c’erano diverse baracche. Una giovane donna, che poi abbiamo saputo chiamarsi Maria, è apparsa all’ingresso della sua baracca, che sembrava un po’ più grande delle altre. Quando ci siamo avvicinati, ha fatto capolino dalla porta un bambino di circa tre anni, che si è aggrappato alla mano della mamma. Un momento dopo è arrivata anche la madre di Maria, Rosi, con un bambino di sei anni, e poi una ragazza adolescente, Daniela, che era incinta. Rosi ed io (con l’aiuto di un interprete) abbiamo cominciato a parlare di come nel mondo le cose vanno male, ma Dio aggiusterà tutto.
Daniela, la figlia minore di Rosi, aveva quattordici anni ed era all’ultimo mese di gravidanza. Avevo un po’ di denaro con me e ho sentito che il Signore voleva che glielo dessi. Si capiva che aveva un po’ di paura all’idea di avere un figlio. E poi immagino che la gente non voglia veramente portare una nuova vita in una situazione del genere. Le ho offerto il denaro, dicendo che era un regalo che poteva usare per comprare dei vestiti per il bambino. Mi ha guardato dritto negli occhi e senza esitare ha detto: “Comida”, spagnolo per “cibo”. Capiva fin troppo bene la difficoltà di dare il giusto tipo di nutrimento al suo bambino in quella situazione.
Rosi, Daniela e suo fratello minore vivevano in un’altra baracca a qualche centinaio di metri più in là sulla collina. Mentre mi dirigevo con Daniela verso la loro abitazione, ho visto un’interessante esposizione sparsa nello spiazzo intorno alla baracca: una collezione di macchine e camion giocattolo. Molti avevano visto giorni migliori, chiaramente, ma erano stati disposti e allineati con cura. Le ho chiesto se li vendevano. Lei ha indicato il fratellino di sei anni e ha detto “Sono suoi”. Perfino in una discarica, i genitori cercano di fare il possibile per provvedere ai loro figli. Sembrava che con il tempo Rosi avesse recuperato tutte quelle automobiline e quei camion per il suo bambino.
Poi sono tornata alla baracca di Maria e mi hanno invitato a entrare. Mi ha fatto piacere vedere che, anche se l’esterno era di plastica e cartone, il suo letto aveva un copriletto trovato nella spazzatura. Aveva trovato anche delle tendine, con cui aveva coperto le pareti, dando colore alla stanza.
Dall’altra parte di un piccolo sentiero abbiamo visto altre due persone in una baracca. Erano due uomini tra i trenta e i quarant’anni che stavano pranzando e cucinando su una stufetta da campeggio. Uno di loro stava mangiando da una lattina di fagioli che probabilmente aveva trovato nella spazzatura. La loro baracca era un magazzino tetro e sporco, con sacchi, scatole e oggetti d’ogni tipo che pendevano dal soffitto. Non sembrava nemmeno che avessero un letto o un materasso. Uno di loro ha detto che aveva letto la Bibbia. Erano sorprendentemente ottimisti per il tipo di vita che conducono.
Abbiamo abbracciato le persone e detto loro che ci stavano a cuore e che gli volevamo bene. Abbiamo detto che avremmo voluto essere in grado di alleviare la povertà e il dolore nel mondo, ma che verrà il momento in cui Gesù libererà i poveri, i sofferenti e gli oppressi: eravamo in attesa di un’altra vita, quando tutti saremo insieme in quella città celeste che il nostro amorevole Padre celeste sta preparando per noi. In quel luogo non ci saranno più disuguaglianze né dolori. Ci sarà solo la gioia di avere ogni bisogno soddisfatto, ogni desiderio esaudito e ogni speranza realizzata da Colui che ha promesso di sistemare ogni cosa.
Abbiamo dato a Rosi degli altri volantini chiedendole di darli alle sue amiche, perché sembrava essere una donna speciale, che avrebbe cercato di influenzare gli altri in maniera positiva. Li abbiamo salutati e siamo ritornati pensierosamente al furgone per il viaggio di ritorno a casa.
Le persone che vivono alla discarica hanno per lo meno modo di raccogliere un po’ di soldi con quello che riescono a recuperare e a vendere; hanno una specie di tetto e ci sono persone che vanno regolarmente ad aiutarle e assisterle.
Il responsabile del progetto missionario mi ha detto che un uomo che aveva vissuto e lavorato nella discarica si era salvato, aveva seguito il corso di discepolato e adesso lavorava a tempo pieno con loro. È servito a ricordarmi che anche nei posti o nelle circostanze peggiori Dio penetra nelle profondità della disperazione per offrire speranza, per salvare chi lo vuole ricevere e per trasformare la sua vita.
Non potevo semplicemente lasciare Tijuana e dimenticarmi di questa esperienza. Ci sono discariche simili in ogni parte del mondo, con migliaia e migliaia di persone che vivono in questo modo. Dovunque andiamo, e in ogni paese, ci sono delle “Tijuana”, con persone smarrite e dimenticate, disperate e a malapena in grado di sopravvivere, che vivono nei tombini o per strada. Molte lavorano praticamente come schiavi in fabbriche sfruttatrici o come “muli” per i cartelli della droga, facendo quel che sono costretti a fare per guadagnare pochi centesimi per sopravvivere e nutrire la loro famiglia.
Signore, grazie per l’esempio che ci hai dato. Non ti sei limitato a vedere il nostro bisogno per poi distogliere lo sguardo dalle sofferenze e dalle perdite che le scelte umane hanno introdotto nel mondo. Il tuo amore non ti ha consentito di ignorare la tragedia del frutto dei peccati dell’uomo. Il tuo amore per noi ti ha costretto a fare qualcosa al riguardo. Il tuo amore ha trasformato lo spirito di quelli che ti accettano.
Aiutaci a seguire il tuo esempio, ad avere empatia e a non limitarci a voltare le spalle davanti a chi è perduto, tormentato e sofferente in questo mondo. Anche se non possiamo aggiustare tutto, anche se non siamo in grado di risolvere ogni problema, possiamo lo stesso vedere il bisogno e cercare di fare il possibile per aiutare.
Possiamo intervenire e influire sulla vita di chi è a portata di mano. Provoca il nostro cuore perché si renda conto del bisogno e sia mosso all’azione dalla tua compassione. Spingici a fare tutto il possibile per portare speranza ai disperati e consolazione agli afflitti. Nel nome di Gesù.
Io sono solo una persona, ma posso fare una differenza se ci provo. E tu?
Elena, José e Lupe, fuori dalla loro casa.
Rosi (a destra) e la sua famiglia fuori dalla casa di Maria.
Maria e sua figlia nell’unica stanza della loro casa.
Daniela (14) con il suo fratellino.
La collezione di auto e camion recuperati dalla discarica per il bambino.
Ecco alcuni clip da YouTube [in inglese] che mostrano condizioni molto simili a quelle in cui vivono queste persone:
La vita in una discarica di Città del Messico; la strada per la casa di Juan (Durata: 3 minuti)
Il popolo della discarica (Durata: 2 minuti)
Prete cristiano copto e sua moglie cambiano la vita delle persone nella discarica del Cairo:
Parte 1 (Durata: 6 minuti)
Parte 2 (Durata: 7 minuti)
Titolo originale: Tragedies and Transformation, Part 3
Pubblicato originariamente in Inglese il 4 Giugno 2013
versione italiana affissa il 2 Dicembre 2013;
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