Vivere il cristianesimo: i Dieci Comandamenti (Autorità, parte 4)
Marzo 24, 2020
di Peter Amsterdam
Vivere il cristianesimo: i Dieci Comandamenti (Autorità, parte 4)
Autorità sul lavoro
[Living Christianity: The Ten Commandments (Authority, Part 4)]
Finora in questa serie abbiamo visto l’autorità genitoriale e governativa. In questo articolo esamineremo un altro aspetto dell’autorità, riguardante il rapporto tra datori di lavoro e dipendenti. Cercare un orientamento nelle Scritture riguardo all’autorità dei datori di lavoro non è semplice come per l’autorità genitoriale o governativa, perché ai tempi del Vecchio e del Nuovo Testamento esisteva la schiavitù, che ai tempi del N.T. era diffusa in tutto l’impero romano. Oggi sono disponibili dei buoni libri che offrono una prospettiva cristiana moderna sui rapporti tra datori di lavoro e dipendenti. Qui la nostra attenzione è rivolta al testo del Nuovo Testamento e in quel contesto limitato ci sono vari riferimenti alla schiavitù.
Il Nuovo Testamento dà per scontato che vendere e comprare esseri umani è un peccato. In uno degli elenchi dei peccati stilati dall’apostolo Paolo sono inclusi i mercanti di schiavi,1 come viene tradotto il termine greco per trafficanti di uomini o rapitori di uomini. Paolo affermò anche che in Cristo tutti, compresi gli schiavi, sono uguali agli occhi di Dio.
Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù.2
Nella lettera a Filemone Paolo scrisse di uno schiavo fuggiasco, Onesimo, che era diventato cristiano e gli era di grande aiuto. Stava rimandando Onesimo al suo proprietario, Filemone, chiedendogli di trattarlo come un fratello invece che come uno schiavo.
Ti prego per mio figlio che ho generato mentre ero in catene, per Onesimo. Te lo rimando, lui, che amo come il mio cuore. Forse proprio per questo egli è stato lontano da te per un po’ di tempo, perché tu lo riavessi per sempre; non più come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello caro specialmente a me, ma ora molto più a te, sia sul piano umano sia nel Signore! Se dunque tu mi consideri in comunione con te, accoglilo come me stesso.3
Paolo voleva chiaramente indicare a Filemone che, come cristiano, non doveva più praticare la schiavitù.
Le opere di Paolo influenzarono molti cristiani in tempi successivi a liberare gli schiavi. Nel secondo e nel terzo secolo molti dei primi cristiani liberarono i loro schiavi durante cerimonie condotte nelle chiese. Sant’Agostino vedeva la schiavitù come un prodotto del peccato, contrario al piano divino. San Crisostomo, nel quarto secolo, predicava che quando Cristo sarebbe arrivato avrebbe abolito la schiavitù. Scrisse:
In Cristo Gesù non ci sono schiavi. […] Quindi non è necessario avere schiavi. […] Comprateli e, dopo aver insegnato loro qualche lavoro mediante il quale possano mantenersi, liberateli.4
La ESV Study Bible afferma:
Paolo esorta gli schiavi cristiani che possono ottenere la libertà a farlo. Non giustifica il sistema schiavistico, ma fornisce ai padroni e agli schiavi credenti alcune istruzioni riguardanti il loro rapporto nel Signore e il modo in cui questo doveva essere vissuto entro i limiti della loro cultura sociale e legale. Il risultato di questo, come viene spesso osservato, è che nell’antichità lo schiavismo morì lentamente grazie all’influenza del Cristianesimo.5
Nel Nuovo Testamento, il termine greco doulos è tradotto con “schiavo” o “servo” e “domestico”, a seconda della versione biblica usata e del contesto del versetto. Per esempio:6
Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia? —NR, CEI, TILC
Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia? —LND
Altre volte le varie versioni coincidono:
Sei tu stato chiamato quando eri schiavo? Non ti affliggere; se però puoi divenire libero, è meglio che lo fai. Perché chi è chiamato nel Signore da schiavo è un liberto del Signore; parimenti anche colui che è chiamato da libero, è schiavo di Cristo.7
In altri casi è tradotto con servo, come nella parabola dei talenti raccontata da Gesù:
Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni.8
A volte la condizione dello “schiavo” o “servo” era una specie di schiavitù a termine, o di servitù coatta, che gli conferiva uno stato sociale e una sicurezza economica maggiore di quella di un bracciante che doveva cercare lavoro in piazza ogni giorno. Era legato per legge al suo datore di lavoro per un periodo di tempo specifico, solitamente per pagare un debito, ed era libero una volta che l’aveva saldato. Molti tutori, medici, infermieri e amministratori domestici erano servi coatti, come pure alcuni amministratori di proprietà, negozi e navi, o delle finanze e del personale, oltre a dirigenti con potere decisionale.9 Nel Vangelo di Matteo, Gesù raccontò la parabola dei servi (doulos) che ricevettero dei talenti – cinque, due e uno – da amministrare, dove un talento equivaleva a circa € 535.000 di oggi. Ciò indica che almeno in alcuni casi i doulos erano amministratori di fiducia.
L’apostolo Paolo scrisse a proposito dell’essere gentili e amorevoli con il prossimo in generale, ordinando specificamente ai proprietari di schiavi di trattarli equamente. Ciò non significa che acconsentisse al sistema della schiavitù o che lo approvasse; al contrario, affrontò la situazione che esisteva a quei tempi dando buone istruzioni sia ai proprietari di schiavi sia a questi ultimi. Anche se per la maggior parte il rapporto tra padrone e schiavo/servo nei tempi antichi e quello tra datore di lavoro e dipendente dei nostri giorni è differente, nelle opere di Paolo possiamo trovare alcuni principi generali che sono di guida per principali e dipendenti sui posti di lavoro odierni. Impiegati, supervisori, dirigenti e capi devono trattare equamente i loro dipendenti. Lo vediamo riflesso negli insegnamenti di Paolo:
Padroni, fate ciò che è giusto e ragionevole verso i servi, sapendo che anche voi avete un Padrone nei cieli.10
Dall’ingiunzione di Paolo concludiamo che i datori di lavoro che non trattano equamente i loro lavoratori ne saranno ritenuti responsabili dal loro padrone supremo, Dio, se non in questa vita, per lo meno nell’aldilà. Ciò implica anche che se trattano bene i loro dipendenti, Dio ne sarà compiaciuto e li ricompenserà. Paolo dà anche altri consigli ai padroni:
E voi, padroni, fate lo stesso verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che il loro e vostro Signore è in cielo e che presso di lui non c’è alcuna parzialità.11
Le persone con autorità sul posto di lavoro devono ricordare di essere responsabili davanti a Dio per come trattano i loro dipendenti. Potrebbero avere posizioni più importanti, potrebbero essere più ricchi, potrebbero essere colonne portanti della società, ma ciò non avrà alcun significato quando si troveranno davanti a Dio, perché Dio non usa alcuna parzialità.12 Non dimostra preferenze, perché siamo tutti uguali ai suoi occhi.
Sul posto di lavoro e nel rispetto dei doveri e delle responsabilità dei lavoratori, i dipendenti devono sottomettersi all’autorità dei loro datori di lavoro ubbidendo a tutte le istruzioni legittime che riguardano il loro lavoro. Lo vediamo negli insegnamenti di Paolo:
Servi, ubbidite ai vostri padroni […] nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo.13
Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore.14
Ovviamente i dipendenti non devono ubbidire ai loro principali “in tutto”; quando però si tratta del lavoro per cui soni stati assunti, dovrebbero seguire fedelmente le istruzioni dei loro capi riguardo al lavoro che sono pagati per fare – e dovrebbero farlo bene. L’apostolo Pietro ha scritto qualcosa di simile:
Domestici, state soggetti con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli difficili.15
Anche se il principale è una persona che non ci piace, siamo eticamente responsabili di svolgere i doveri del lavoro per cui ssiamo stati assunti.
Giustamente, i principali hanno autorità sopra i loro impiegati per quel che riguarda le loro mansioni in orario di lavoro. Hanno l’autorità conferita loro dai proprietari (oppure sono loro stessi i proprietari) e hanno la responsabilità di far prosperare l’azienda. Al contrario degli schiavi, i dipendenti hanno scelto di lavorare per qualcuno e possono lasciare il lavoro se lo desiderano. Anche se i dipendenti sono eticamente obbligati a seguire le istruzioni dei loro capi, non sono costretti a ubbidire se viene chiesto loro di fare qualcosa che è moralmente sbagliato, li spinge a infrangere la legge o va oltre il contratto o l’accordo riguardante il lavoro. Se il capo dice al dipendente di mentire a un cliente, di alterare i registri finanziari o di fare qualsiasi altra cosa che sia disonesta e richieda di disubbidire alle leggi morali di Dio o alle leggi dello stato, quest’ultimo dovrebbe rifiutarsi di farlo.
L’apostolo Paolo disse ai servi di non contraddirli, non derubarli, ma mostrare sempre lealtà perfetta.16 Il termine greco nosphizō, tradotto con derubare, significa appropriarsi o sottrarre indebitamente per il proprio tornaconto. Quindi i dipendenti non devono rubare ai loro datori di lavoro. Il furto da parte di un dipendente può avere molti aspetti, compresi l’appropriazione vera e propria di prodotti o denaro, lo spreco di tempo mentre si lavora, gli sconti non autorizzati agli amici, l’addebito di ore di lavoro non effettuate, la sottrazione di materiale d’ufficio e così via.
In un articolo si legge:
Una teoria ben consolidata nell’ambiente delle ditte per il rilevamento delle frodi è quella che a volte viene chiamata la regola del 10-10-80: il 10% dei dipendenti non ruba mai, il 10% ruba sempre e l’80% fa l’una o l’altra cosa a seconda dell’opportunità.17
Come cristiani dovremmo appartenere al 10% che non ruba mai, perché dobbiamo essere onesti, degni di fiducia e fedeli.
Paolo espresse anche il concetto che i servi coatti non dovrebbero pensare di lavorare solo per compiacere i loro padroni terreni, ma anche per Cristo, sapendo che saranno da Lui ricompensati.
Servi, ubbidite […] nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, facendo la volontà di Dio di buon animo, servendo con amore, come a Cristo e non come agli uomini, sapendo che ciascuno, schiavo o libero che sia, se avrà fatto del bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore.18
Dice qualcosa di simile anche nella lettera ai Colossesi, dove aggiunge:
Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete la ricompensa dell’eredità, poiché voi servite Cristo, il Signore.19
L’idea che l’impiego di una persona, il lavoro che fa, sia considerato un servizio fatto al Signore è un concetto importante da comprendere. Dà dignità al lavoro onesto e incoraggia le persone a lavorare sodo e a compiere fedelmente i propri doveri. Il lavoro non è una maledizione divina, perché Lui aveva prescritto il lavoro ancora prima che il peccato entrasse nel mondo. Prima della disubbidienza di Adamo ed Eva, leggiamo che:
Il SIGNORE prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse.20
Anche Gesù lavorò, come falegname.
Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Iose, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non sono qui fra noi?21
La parola greca teckton, tradotta con falegname, può significare anche artigiano o costruttore. Gesù aveva un buon lavoro e lo fece per la maggior parte della sua vita da adulto. Ovviamente era volontà di suo Padre che lavorasse e indubbiamente lo fece con semplicità di cuore, temendo il Signore.
Essere un buon dipendente non vuol dire che uno non possa difendere i propri diritti o quegli degli altri. Se un lavoratore pensa di essere stato trattato male o ingiustamente, se il datore di lavoro ha fatto promesse che non mantiene, se non c’è sicurezza nelle condizioni di lavoro, il dipendente ha il diritto di far notare quelle cose, con l’aspettativa di vedere il problema risolto.
Secondo il quinto comandamento, dobbiamo onorare il padre e la madre.22 Questo comandamento esprime il concetto dell’autorità umana a cui siamo tenuti a sottostare. Include la completa ubbidienza ai genitori, da giovani, e la dimostrazione di amore e rispetto quando si diventa adulti. Significa anche ubbidire alle legge del governo civile del luogo in cui si vive, perché Gesù disse ai suoi discepoli di rendere a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio.23 Da questo, anche se le Scritture non lo precisano, possiamo dedurre che siamo responsabili di mettere in pratica le istruzioni legittime del nostro principale sul posto di lavoro.
Nel mondo creato da Dio c’è una grande gamma di autorità legittime. Noi, come cristiani, dobbiamo fare il possibile per onorarle e ringraziare Dio.
Nota
Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.
1 1 Timoteo 1,10.
2 Galati 3,28 NR.
3 Filemone 1,10, 12, 15–17 NR.
4 Punti tratti da Alvin J. Schmidt, How Christianity Changed the World (Grand Rapids: Zondervan, 2004), 274.
5 ESV Study Bible (Wheaton: Crossway, 2008), 2201, 2273, 2353.
6 Romani 6,16.
7 1 Corinzi 7,21–22 NR, schiavo: anche in LND, CEI, TILC.
8 Matteo 25,14 NR, servo: anche LND, CEI, TILC.
9 Wayne Grudem, Christian Ethics: An Introduction to Biblical Moral Reasoning (Wheaton: Crossway, 2018), 489.
10 Colossesi 4,1.
11 Efesini 6,9.
12 Atti 10,34.
13 Efesini 6,5.
14 Colossesi 3,22 NR.
15 1 Pietro 2,18 CEI.
16 Tito 2,9–10.
17 https://businesspracticalknowledge.wordpress.com/legal-security/employee-theft/
18 Efesini 6,5–8.
19 Colossesi 3,22–24.
20 Genesi 2,15 NR.
21 Marco 6,3.
22 Esodo 20,12, Deuteronomio 5,16.
23 Per altre informazioni sul rapporto di un cristiano con il governo civile, vedi Vivere il Cristianesimo, i Dieci Comandamenti: autorità – Parti due e tre, Autorità governativa.