Le storie raccontate da Gesù: il seminatore e i semi (parte 1), Matteo 13,3–23
Agosto 23, 2016
di Peter Amsterdam
Le storie raccontate da Gesù: il seminatore e i semi (parte 1), Matteo 13,3–23
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[The Stories Jesus Told: The Sower and the Seed (Part 1), Matthew 13:3–23]
La parabola del seminatore è una delle quattro che sono raccontate in tutti e tre i Vangeli Sinottici.1 La possiamo trovare in Matteo 13, Marco 4 e Luca 8. Anche se sono raccontate con differenti parole nelle tre versioni, tutte hanno lo stesso concetto. Come base per la spiegazione userò la versione di Matteo e aggiungerò alcuni punti tratti da Marco e da Luca.
Questa parabola è unica perché Gesù la raccontò a una vasta folla e al momento non ne diede alcuna interpretazione. In seguito i suoi discepoli gli posero alcune domande al riguardo e Lui diede una risposta piuttosto difficile da comprendere, prima di spiegarne il significato.
Vediamo la parabola come viene raccontata in Matteo 13:
Ecco, un seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono. Un’altra cadde in luoghi rocciosi, dove non c’era molta terra, e subito germogliò perché il terreno non era profondo; ma, levatosi il sole, fu riarso e, perché non aveva radice, si seccò. Un’altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. E un’altra cadde in buona terra e portò frutto dando il cento, il sessanta, ed il trenta per uno. Chi ha orecchi da udire, oda.
Gli ascoltatori potevano visualizzare facilmente la scena. Essi stessi avevano visto o partecipato molte volte a una simile attività. La maggior parte degli Ebrei palestinesi, come la maggior parte degli altri popoli mediterranei dell’epoca, vivevano in villaggi e cittadine di campagna e si occupavano in qualche modo di agricoltura.2 Il seminatore teneva la borsa con i semi a tracolla, davanti a sé. Camminava nel campo, infilando la mano nella borsa a intervalli regolari, e ne traeva una manciata di semi che sparpagliava sul terreno nel modo più regolare possibile.
L’epoca della semina per cereali come l’orzo e il grano – le due colture principali diffuse all’epoca in Palestina – era in genere nel tardo autunno o all’inizio dell’inverno, da ottobre a dicembre, che era anche la stagione piovosa. Le piante germogliavano in primavera, verso aprile o maggio, e il raccolto era fatto verso la fine di giugno.3 Nel Vecchio Testamento si fa riferimento all’uso di due metodi di semina in Palestina. In alcuni casi, i contadini aravano i campi, spargevano i semi e ripassavano a coprirli di terra. In altri, spargevano i semi sul terreno duro, non arato, e poi vi passavano sopra l’aratro.
Anche se è conosciuta come “la parabola del seminatore”, in realtà ha pochissimo a che fare con il seminatore né del resto con i semi che sparge. L’attenzione è dedicata tutta ai quattro tipi diversi di terreno di cui si parla: il primo duro, il secondo roccioso, il terzo già infestato dai rovi e il quarto finalmente buono. Si concentra tutto sul modo in cui i semi si comportano in ciascun tipo di suolo.
Gesù cominciò la parabola dicendo alla folla:
Un seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono.
Qui abbiamo l’immagine di un sentiero che costeggia il campo o lo attraversa. Quando vengono lanciate manciate di semi, alcuni cadono in posti cui non erano destinati – in questo caso sul sentiero o immediatamente di fianco. Il sentiero era fatto di terra compatta, non arata, quindi i semi sarebbero rimasti sopra il terreno e non avrebbero messo radice. Luca aggiunge che, oltre a essere mangiata dagli uccelli, una parte dei semi fu anche calpestata.4 Questi semi andarono sprecati.
Un’altra cadde in luoghi rocciosi, dove non c’era molta terra, e subito germogliò perché il terreno non era profondo; ma, levatosi il sole, fu riarso e, perché non aveva radice, si seccò.
Il terreno roccioso non si riferiva a parti del campo con molti sassi, ma a zone in cui c’era un leggero strato di terra sopra un letto calcareo, cosa molto comune nelle zone collinari della Palestina.5 Lo strato roccioso era così vicino alla superficie che quello di terreno al di sopra non era molto spesso. Per questo, con l’aumento del calore in primavera, il suolo poco profondo si sarebbe scaldato e i semi sarebbero germogliati. Era un inizio promettente, perché i semi germogliarono in fretta e crebbero per qualche tempo, ma con l’arrivo di un clima più caldo, seccarono e morirono. Avevano radici poco profonde a causa dello strato roccioso sottostante. Luca dice: appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Anche questi semi andarono sprecati.6
Un’altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono.
In questo caso, il terreno poteva sostenerne la crescita, così i semi germogliarono e crebbero, ma non portarono frutto perché furono soffocati dai rovi che crescevano insieme a essi. Questi cespugli spinosi possono crescere fino a due metri e spesso fioriscono. Tolgono così tante sostanze nutritive al suolo che nient’altro può crescervi intorno.
Nei semi piantati in questi tre tipi di terreno vediamo una certa progressione. Il primo non crebbe per nulla; il secondo germogliò, ebbe un inizio promettente, ma poi seccò e morì; il terzo crebbe ma non portò frutto.
E un’altra cadde in buona terra e portò frutto dando il cento, il sessanta, e il trenta per uno.
Contrariamente all’insuccesso dei primi tre tipi di terreno, le piante che crebbero dai semi caduti nella buona terra produssero del grano. Molto probabilmente la maggior parte dei semi cadde su un terreno buono e fu produttiva, anche se non tutti produssero la stessa quantità. Si pensa che in media il raccolto in Palestina rendesse da sette volte e mezzo a dieci volte tanto il seminato. Quindi dei raccolti che producessero da trenta a cento volte il seme investito sarebbero stati straordinariamente abbondanti per quella zona.7 Nel libro della Genesi leggiamo che grazie alla benedizione di Dio Isacco seminò in quel paese e in quell’anno raccolse il centuplo.8 In altre zone del Mediterraneo più fertili non era raro avere un incremento del centuplo.9
Gesù terminò la parabola dicendo:
Chi ha orecchi da udire, oda!
Gesù usò questa frase sette volte nei Vangeli Sinottici e otto volte nel libro dell’Apocalisse.10 Il concetto rappresentato in tutti questi passi è che l’azione fisica di udire non è sufficiente. È necessario prendere ciò che si è udito, comprenderlo e assimilarlo.11 Questo detto è una sfida a capire il significato della parabola. Chiaramente non tutti hanno “orecchie per udire”, come Gesù indicò chiaramente ai suoi discepoli quando gli chiesero di questa parabola in privato.
Vediamo la domanda dei discepoli e la risposta di Gesù.
Allora i discepoli, accostatisi, gli dissero: «Perché parli loro in parabole?». Ed egli, rispondendo, disse loro: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chiunque non ha, gli sarà tolto anche quello che ha.
«Perciò io parlo loro in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non odano né comprendano. Così si adempie in loro la profezia d’Isaia, che dice: “Voi udirete ma non intenderete; guarderete ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è divenuto insensibile, essi sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi, e non intendano col cuore e non si convertano, ed io li guarisca”.»
I Vangeli di Marco e di Luca presentano una versione abbreviata della risposta di Gesù, che però trasmette gli stessi concetti.12
I discepoli volevano sapere perché Gesù usasse le parabole come mezzo per dare il suo messaggio. Perché parlava in maniera criptica, invece di dire le cose chiaramente alla gente?13 Nella sua risposta, Gesù cominciò col dire che ai suoi discepoli era dato di conoscere i misteri (segreti, in alcune traduzioni) del regno dei cieli, ma ciò non era dato a chi non era suo discepolo.
In questo contesto vediamo due gruppi di persone: i discepoli, che fanno la volontà di Dio, e quelli che non la fanno. Il Vangelo di Marco si esprime così: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a coloro che sono di fuori tutte queste cose si propongono in parabole».14 Quelli che “sono di fuori” sono quelli che non fanno ancora parte della nuova famiglia in cui si entra appartenendo a Gesù,15 come Egli descrisse in precedenza in Matteo quando stese la mano verso i discepoli e disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Poiché chiunque fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello, sorella e madre».16
Alcuni pensano che Gesù parlasse in parabole per evitare che le persone fuori dal suo cerchio di discepoli capissero i suoi insegnamenti e così non avessero un rapporto con Dio. Quell’interpretazione, però, indicherebbe l’opposto di quello che generalmente crediamo su Gesù, la sua missione e lo scopo delle parabole. I suoi insegnamenti e le sue parabole, i suoi esorcismi e i suoi miracoli erano tutti mezzi per dimostrare la natura e il carattere di suo Padre, per rivelare il piano divino del perdono e della riconciliazione a chiunque volesse ascoltarlo e riceverlo. Parabole come la pecora smarrita, la moneta persa, il figliol prodigo, il padrone compassionevole e altre, rivelano l’amore, la premura e la misericordia di Dio e il suo desiderio che uomini e donne abbiano un rapporto con Lui. Sembra improbabile che Gesù usasse un metodo per trasmettere il suo messaggio che lo nascondesse intenzionalmente e lo rendesse difficile da capire.
Nella risposta a cui si accenna sopra, Gesù citava il libro di Isaia, che offre utili informazioni sul messaggio che dava in questa parabola. Isaia era un profeta; Gesù, anche se più di un profeta, si presentava come tale e così lo vedeva la gente.17 Comprendere il significato di ciò che Gesù diceva ai suoi discepoli riguardo alle parabole, e comprendere le parabole stesse, inizia dal riconoscimento del ruolo profetico di Gesù. Il messaggio di Isaia e della maggior parte dei discepoli del Vecchio Testamento era che Israele si era spinto troppo oltre nella sua ribellione a Dio e che Dio ne aveva già decretato il giudizio. La nazione aveva rifiutato gli appelli divini e il richiamo di Isaia presumeva che l’indurimento dei cuori fosse già avvenuto e stesse arrivando il giudizio.18 Né Gesù né Isaia prima di Lui parlarono di proposito in maniera da nascondere il messaggio divino; fecero invece dichiarazioni esagerate, con parole dure, nella speranza che la gente udisse, capisse e ubbidisse, anche se il suo cuore era già indurito. La difficoltà non stava nel capire la parabola, ma nel fatto che essa esigeva una decisione, un impegno, che molti non erano disposti a prendere.
Citando Isaia 6,9-10, Gesù si riferiva a quelli che, anche se avevano udito e capito, sceglievano di non ubbidire perché avevano indurito il loro cuore. Questo versetto è citato altre cinque volte nelle Scritture per indicare quella stessa durezza del cuore delle persone.19
Brad Young spiega:
Il testo di Isaia parla di gente che ascolta ma non comprende. Un’occhiata ravvicinata alle parole di Isaia indica che le persone comprendevano il messaggio, ma non erano disposte a pentirsi. Gesù voleva che tutti accettassero il messaggio riguardante il regno di Dio. La gente ascoltava e capiva Gesù, ma non tutti erano disposti ad accettare il messaggio sulla regalità di Dio. Molti seguirono Gesù. C’erano molti altri discepoli, oltre al cerchio più interno, come si vede chiaramente nel libro degli Atti e nella storia del suo primo gruppo di discepoli. Tuttavia non tutti ricevettero la parola di buon cuore.20
Gesù sottolineava la responsabilità e la volontà delle persone di udire e comprendere. Voleva che evitassero di comportarsi come aveva fatto Israele in passato, rifiutando di ascoltare e rispondere ai messaggi mandati da Dio mediante i profeti del Vecchio Testamento.
Quando Gesù parlò dei segreti o dei misteri del regno dei cieli, il termine originale greco tradotto qui con misteri non si riferisce a cose misteriose e sconosciute, ma a rivelazioni, cose che sarebbero sconosciute se Dio non le avesse rivelate.21 Significava la rivelazione divina fatta ai devoti. Gesù disse che a quelli come i discepoli, che udivano, credevano e prendevano un impegno, era dato di conoscere il mistero del regno dei cieli; ma a quelli che rifiutavano di credere non era dato. I discepoli che credevano, e a cui quindi era stato svelato il segreto, avevano la possibilità di ricevere altre verità e rivelazioni spirituali, mentre quelli che avevano rifiutato di credere non ricevevano altri insegnamenti e perdevano quelli che avevano già sentito. Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chiunque non ha, gli sarà tolto anche quello che ha.22
R. T. France ha scritto:
Quando si tratta di percezione spirituale, guadagno e perdita hanno entrambi un interesse composto; sono i discepoli, a cui è già stato svelato il mistero, a trovarsi adesso nella posizione di trarre beneficio da altri insegnamenti. Una volta iniziata la strada dell’illuminazione spirituale, le benedizioni si moltiplicano; ma chi non accetta il “messaggio del regno” perderà tutto.23
Gesù termina la sua spiegazione con:
Beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché odono. Perché in verità vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete e non le videro, e udire le cose che voi udite e non le udirono.
I discepoli sono beati perché vedono e odono, comprendono e si prendono un impegno. Sono beati nello stesso senso in cui il termine beati è usato nelle Beatitudini, nel quinto capitolo di Matteo.24
Leon Morris spiega:
Ciò che vedono e odono è ciò che le profezie hanno indicato nel corso dei secoli. Molti dei grandi di Dio avrebbero voluto prendere parte a quegli avvenimenti. […] Quei giganti della fede del passato avrebbero desiderato vedere e udire le cose viste e udite dai discepoli, ma non ebbero una simile benedizione. Gesù dice che la sua missione nel mondo è il culmine del proposito divino indicato chiaramente nelle antiche profezie. I servi di Dio dei tempi antichi avrebbero voluto vedere questi giorni e desiderato farne parte, ma quel privilegio non era stato loro concesso.25
Dopo aver spiegato ai suoi discepoli perché insegnava mediante parabole, Gesù passò a interpretare la parabola per loro. Parleremo dell’interpretazione nella seconda parte.
Nota
Se non altrimenti indicato, tutte le citazioni bibliche sono tratte da: La Nuova Diodati, © Edizioni La Buona Novella, Bari. Tutti i diritti riservati.
1 Le altre tre sono: Il granello di senape — Matteo 13,31–32; Marco 4,30–32; Luca 13,18–19; L’amministratore malvagio — Matteo 21,33–43, Marco 12,1–11, Luca 20,9–18; Il servo fedele —Matteo 24,42–51, Marco 13,33–37, Luca 12,35–48.
2 Craig S. Keener, The Gospel of Matthew: A Socio-Rhetorical Commentary (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2009), 375–76.
3 Darrell L. Bock, Luke Volume 1: 1:1–9:50 (Grand Rapids: Baker Academic, 1994), 723.
4 Luca 8,5.
5 Bock, Luke Volume 1: 1:1–9:50, 724.
6 Luca 8,6.
7 Keener, The Gospel of Matthew, 378.
8 Genesi 26,12.
9 Keener, The Gospel of Matthew, 378.
10 Matteo 11,15; 13,9.43; Marco 4,9.23; Luca 8,8; 14,35; Apocalisse 2,7.11.17.29; 3,6.13.22; 13,9.
11 Leon Morris, The Gospel According to Matthew (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1992), 284.
12 Ora, quando egli fu solo, coloro che gli stavano attorno con i dodici lo interrogarono sulla parabola. Ed egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a coloro che sono di fuori tutte queste cose si propongono in parabole, affinché: “Vedendo, vedano ma non intendano; udendo, odano ma non comprendano, che talora non si convertano e i peccati non siano loro perdonati” (Marco 4,10–12).
Allora i suoi discepoli gli domandarono che cosa significasse quella parabola. Ed egli disse: «A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio; ma agli altri essi sono proposti in parabole, affinché vedendo non vedano e udendo non intendano» (Luca 8,9–10).
13 R. T. France, The Gospel of Matthew (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2007), 510.
14 Marco 4,11.
15 France, The Gospel of Matthew, 511.
16 Matteo 12,49–50.
17 Matteo 13,57; Marco 6,4.15; Luca 4,24; 7,16; 13,33; 24,19; Giovanni 6,14; 7,40; 9,17.
18 Klyne Snodgrass, Stories with Intent (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 2008),159.
19 Geremia 5,21; Ezechiele 12,2; Giovanni 9,39; 12,39–40; Atti 28,26–27.
20 Brad H. Young, The Parables, Jewish Tradition and Christian Interpretation (Grand Rapids: Baker Academic, 1998), 264.
21 Snodgrass, Stories with Intent, 163.
22 Matteo 13,12.
23 France, The Gospel of Matthew, 512.
24 Vedi Gesù – la sua vita e il suo messaggio: il sermone sul monte. Le Beatitudini (parte 1).
25 Morris, The Gospel According to Matthew, 344.
Pubblicato originariamente in Inglese il 2 febbraio 2016.